BRUNO TOGNOLINI
Quattro testi per documentari di Gianfranco Cabiddu
IN FACCIA AL VENTO
Orune: vita quotidiana in un paese
di pastori
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Questo documentario è stato commissionato
da un'intera comunità.
Orune è un paese a trenta chilometri da Nuoro, a prevalente
economia pastorale, macchiato da un lungo passato di sangue e faide, e
tristemente famoso per questo. Stufi di questa univoca fama, e convinti
che i problemi e la maestria dei pastori siano ingiustamente ignorati dal
mondo, il sindaco e il consiglio comunale nell'estate del '99 - dopo aver
visto il documentario sulle miniere sarde - hanno commissionano a Cabiddu
"qualcosa di simile" sui pastori di Orune e su Orune. E Cabiddu ha chiamato
me.
Stavolta la scrittura è stata ardua.
A differenza degli altri documentari, per cui avevo scritto "alla
cieca" o vedendo il girato provvisorio, stavolta ho partecipato alle riprese,
in due spedizioni di svariati giorni, in agosto e dicembre '99. Ho visto,
ho interrogato, ho risposto. Il paese intero ci vedeva girare e chiedeva;
una volta saputo, esprimeva la sua commissione - "voi queste cose le dovete
dire!" - o peggio, la sua ironica curiosità - "e voi cosa direte?"...
Ed eccoci infatti, Gianfranco e io, dopo aver appena intuito il
nodo intricato di problemi e passioni e speranze di questa gente, a doverne
parlare. E cosa diciamo? Dopo tanti sociologi, antropologi, economisti
che hanno affrontato questo nodo...
La materia si chiudeva a bastione come una cittadella. Ma è
solo un suo vecchio trucco, che gli anni insegnano a eludere. Si fa finta
di niente, si rizzano le tende intorno, si stende l'assedio. Ecco infatti,
dopo giorni d'attesa, una breccia; una poesia di bambini, di gioco,
mi dà la soffiata:
"Su pibere / pibere in sambene / andat in
sambene / andat in bene..."
Pepe nel sangue, se ne va in sangue, se ne va in bene... Il gioco
è fatto: il duru-duru sarà il paradigma guida, il disegno
magnetico su cui si disporranno le pagliuzze di ferro del testo.
Nel testo si avverte la mancanza delle immagini.
La scrittura stavolta ha intrecciato - e non preceduto o seguito
- la pista visiva. Ci sono parti del discorso che sono state del tutto
affidate alle immagini, e quindi nella pagina c'è un buco. Altri
passi sono pur scritti, ma a leggerli son scarsamente comprensibili, perché
son scritti con metà del senso, destinato a completarsi con le immagini.
Ciononostante questo è un testo letterario, che non è
il caso di appesantire con didascalie e incongrue descrizioni di ciò
che non c'è. Giusto per poco aiuto, ho lasciato i titoletti dei
paragrafi, che erano destinati al regista e non son letti dallo speaker.
Il testo non è identico al parlato
del documentario, perché Gianfranco ha dovuto apportare le ultime
modifiche in mia assenza.
Alla proiezione ufficiale in paese c'erano
tutti...
... i bambini la mattina, nelle scuole, le donne alla proiezione
delle cinque, gli uomini delle sette. Chiasso e brusio, esclamazioni di
chi riconosce luoghi e volti arcinoti: poi silenzio attentissimo. E alla
fine forti applausi e sobri complimenti: "Bravi, avete detto proprio come
siamo", "Avete trovato le parole giuste", "Avete detto tutto, senza tacere
sulle cose più difficili...".
È stata una delle mie esperienze più vive
di scrittura, eticamente palpitante, in presa diretta, senza rete: come
un'operazione a cuore aperto a fronte di una chemioterapia. Ma io rimango
un chemioterapista.
1 . Prologo - DALLA PARTE DEI CANTI
-
PAESAGGI
A capire il paese di Orune ci hanno provato in tanti: a spiegarlo,
ancora di più.
Che cosa si potrà dire di nuovo? E più che di nuovo:
di utile?
Se capire e spiegare è già stato fatto, si può
provare a ‘guardare' e ‘raccontare'.
-
PAESAGGI D'AVVICINAMENTO
Al paese di Orune ci si avvicina da Marreri, ma ci sono altre strade.
Ciò che di più profondo un popolo sa di se stesso lo
affida ai canti, alle arti, alla poesia.
E gli orunesi sono celebri poeti.
Dunque guardare, ma prima ancora: ascoltare. Avvicinarsi a Orune... dalla
parte dei canti.
-
ORUNE
Orune tantos seculos fundadu
in d'una arta collina fazza a bentu,
in d'uno puntu de terrinu elevadu,
paret unu secundu Gennargentu...
"Faccia al vento", ci dice il primo canto, quasi un inno al paese.
Al vento altri popoli oppongono i mulini, perché il vento lavori
per loro: gli orunesi gli oppongono la fronte. "Parare fronte", in sardo,
vuol dire fronteggiare, raccogliere la sfida.
E resistere, senza tregua - dice la storia del paese - a condizioni
avverse, fino a vivere senza mitezza, tesi e all'erta contro tutto e contro
tutti.
Perché i pastori di Orune parano fronte a tutto, perfino al
vento?
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2 . I PAESAGGI
-
INTRECCI DI PIANTE E PIETRE COSTRUITE
Come ondate di fioriture successive i megaliti crescono dalle rocce,
i nuraghe dai megaliti, gli edifici romani dai villaggi nuragici, i muretti
a secco dai ruderi romani...
Le querce insinuano le loro radici in questi muri.
Chissà se li scardinano, o al contrario li tengono insieme.
Tutta questa natura disperde il lavoro degli uomini, o lo protegge?
-
LA CITTÀ ESPLOSA DEI PASTORI
Case, ovili, pinnette, chiusi e muretti a secco: l'architettura dei
pastori è una città esplosa e sparpagliata nel paesaggio.
Dall'antro angusto e nero, tappato dal fumo, alla casina con luce e acqua
e frigoriferi, tutte le sfumature son comprese: pietra su pietra, blocchetto
su blocchetto.
-
RELITTI INDUSTRIALI NEL PAESAGGIO
Disseminati per questa rada architettura oggetti estranei, come relitti
sereni di un naufragio, invecchiano con calma, e si direbbe in pace col
contesto.
Alcuni si rendono utili, adattati a cancelli per chiusi, griglie per
arrosti, tettoie, abbeveratoi.
Altri cercano, col rosso della ruggine, di assomigliare più
che possono alle sughere nude.
Visti al tramonto sembrano gioielli di ferrovecchio nel paesaggio:
e infatti sono la sola garanzia che questo paradiso non è una valle
di pascoli verdi della pubblicità, ma un posto vero, dove arrivano
le ondate del mondo.
-
LA BELLEZZA - LANCIO > PASTORI
Di chi è, per chi è tutta questa bellezza? Chi la abita
ogni giorno?
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3 . I PASTORI
-
I LAVORI DEI PASTORI
Alzarsi prima del sole ogni mattina. Guidare al buio fino all'ovile.
Contare le pecore: una due tre quattro...
I gesti dei pastori sono uguali nei giorni, come quelli di tanti altri
mestieri. A differenza di altri mestieri, sono diversi nelle stagioni.
E molto più che in altri mestieri, sono uguali nei secoli.
Mettere il mangime alle pecore. Mettere gli agnelli alle mamme.
Fare entrare le pecore nel chiuso, farle uscire.
Ogni tanti anni, o secoli, i gesti cambiano, se ne imparano di nuovi:
aprire e chiudere rubinetti e interruttori, azionare mungitrici, guidare
pickup.
Ma sono le cose morte che cambiano, gli attrezzi: gli esseri vivi no.
Le pecore non cambiano perché sono bestie viventi, e non piccole
fabbriche di latte. Così, finché il bestiame avrà
zampe per andare e occhi per vedere - e non sarà rinchiuso in posti
dove non si vede e non si va - i gesti dei pastori a loro volta non potranno
cambiare di molto.
Andare, venire, chinarsi. E viene il sole.
-
I PAESAGGI DEI PASTORI
Questi pastori camminano per boschi di una bellezza abbagliante: la
vedono ancora?
Gli antropologi dicono: "Il pastore legge il terreno come fornitore
di risorse per il suo gregge, spesso in negativo rispetto ad altri occhi:
vede utile e pieno quello che altri - per esempio contadini - vedono vuoto,
inutile e selvaggio".
Davvero è solo così? Sarebbe lo stesso in un'officina
d'elettrauto, col neon acceso per undici ore al giorno? È sempre
lavoro?
I giorni si presentano in fila, a testa bassa, come pecore a farsi
mungere.
Hanno tempo per pensare, i pastori, che camminano in questi boschi?
E cosa pensano?
Le stesse cose che si pensano in ufficio o in fabbrica?
-
PASTORI-MAMME E PASTORI-VETERINARI
Questi pastori sono mamme.
Badano alle pecore sane, che trovino da mangiare se sanno mangiare.
Se non sanno, come gli agnelli neonati, badano che imparino a poppare.
Se non hanno una mamma da poppare, curano che ne trovino un'altra:
per fare accettare un agnello non suo a una pecora che ha perso il suo,
gli fanno indossare la pelle del piccolo morto.
Badano alle bestie ammalate, per cui conoscono cure antiche e modernissime.
Questi pastori son veterinari.
-
IL LAVORO INGRATO: SOLDI E FAMA
Questo è un lavoro ingrato, che in cambio della fatica non restituisce
né soldi né fama.
Il latte è pagato poco, meno che in continente. Un pastore che
ha terreno prende più dalla CEE per tenerlo "a biologico" che dal
latte che ne ricava pascolando. C'è qualche cosa di sbagliato, in
questo: i soldi arrivano - a chi arrivano - da un posto lontano e per motivi
astratti, mentre quello che sanno fare le mie mani, qui vicino a me, non
conta niente.
È un lavoro che non rende buona fama.
Perché un maestro vinificatore toscano, un maestro spremitore
di olio pugliese, un maestro pasticcere torinese, ci vengono mostrati in
TV e indicati come esempi da onorare - e sono attori che fingono - mentre
i maestri sardi del latte sono del tutto invisibili?
-
IL LAVORO INGRATO: LA MAESTRIA NEGATA
Forse perché, anche se i gesti dei pastori si ripetono uguali
nel tempo, questo non porta in dono una "maestria". Il pastore, anche il
più bravo, non è "maestro" come il maestro di muro, di legna,
di armi. Maestro è chi padroneggia la materia su cui lavora. E la
materia del pastore è la natura: è possibile padroneggiare
la natura?
Forse sì, ma è la cosa giusta?
-
LANCIO > MANGIARE
Ci vuole forza per continuare a fare un lavoro ingrato, e che oltretutto
nega ogni maestria. Dove la prendono, i pastori, questa forza?
Prima di tutto bisogna mangiare a mezzogiorno...
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4 . MANGIARE E BERE
-
MANGIARE
(Immagini del pranzo dei pastori)
-
PEPE NEL SANGUE
... Su pibere
Pibere in sambene
Andat in sambene
Andat in bene
In bia beni
In bia torra...
"Pepe nel sangue / se ne va in sangue / se ne va in bene
/ per la via vieni / per la via torna..."
C'è un altro canto, un duru-duru, una cosa da bambini che non
vuole dire niente. Ma tre parole restano in testa: "pepe nel sangue". Che
cosa vuol dire "pepe nel sangue"? È un'altra parola guida da capire?
È il pepe nel sangue che fa venir voglia di bere?
-
BERE
Baccu, dae sa tua imbriachera
pru de chentu bortas che so ruttu
in locos malos e finzas in galera.
A s'ospedale puru m'hana iuttu,
e abbisadu mi han sos professores:
"Chere lassadu de Baccu su fruttu".
Odios, maladias e rancores
supra de me se sun multiplicados
a furia de alcol e de fumu...
-
BERE: LA FORZA ILLUSORIA DEL VINO
E l'odio, le malattie, ed i rancori non nascono dal vino e dalla birra,
ma lì trovano il brodo dove crescere.
Ha un pepe dentro il sangue, questa gente, che gli aizza un bisogno
di fare, dire correre brigare, baciare o picchiare - è lo stesso,
purché non sia morirsene di noia.
Dà forza che basta a una serata da leoni.
Ma per il giorno dopo da pastori, e il giorno dopo ancora, e tutti
gli anni dopo, il vino basta?
Un vecchio pastore povero, era andato in pensione. Vedendolo ancora
all'ovile, i paesani lo hanno consigliato: vendi le pecore, scenditene
in paese; che cosa stai a fare qui, che sei vecchio, solo come una fiera?
Il vecchio ha dato ascolto, ha venduto, è sceso in paese, dove
prendeva tre sbornie al giorno.
Allora, un giorno che era sobrio, ha ricomprato un piccolo gregge ed
è tornato lassù: a sud di qualunque Europa, ma a nord del
vino.
-
BERE: IL PASTORE SI ALLONTANA NEL VINO
Il pepe nel sangue va troppo d'accordo col vino, la loro miscela è
esplosiva.
Quelli che si incamminano nel vino esplodono dentro lentamente, senza
un suono.
Vanno avanti per strade sfinite, e mano a mano si allontanano da noi,
scomparendo in una solitudine dove non c'è più pepe dentro
il sangue, e poi non c'è più sangue.
-
LANCIO > IL PAESE QUOTIDIANO
No, il vino e la birra non bastano a trovare la forza. Ci vuole qualche
altra cosa...
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5 . IL PAESE QUOTIDIANO
Ohi rara cardellina
ohi rara cardellina
rossignolu de su campu
veninne lestru che lampu
a che leare a Columbina...
LE DONNE
In paese ci sono le donne dei pastori: chi non è moglie di pastore
ne è sorella, o cognata, o nipote. E non si sentono sminuite a esser
chiamate così: le donne son dei pastori come i pastori son delle
donne.
Si sono sentite chiamare, del resto, nel tempo, custodi dell'odio,
mandanti occulte delle disamistade; oppure forza nuova, speranza del futuro;
o arcane matriarche, costellazioni misteriose imprecisate; o arruffapopolo,
fomentatrici di rivolte.
E invece sono donne in faccia al vento, come tutte, in tutti gli altri
paesi del mondo.
Ma oggi abbastanza orgogliose di essere qua.
LE CASE
Paese, in sardo, è un nome femminile, e campagna è maschile:
la villa e il salto, "bidda e sartu".
La campagna è maschile perché è il posto degli
uomini, della natura selvatica che va addomesticata. Il paese è
femminile perché è il luogo della casa, dei rapporti, dove
si parla con la gente e si ricreano le forze.
Da un buon matrimonio tra bidda e sartu dipende la vita della comunità.
IL VUOTO - LANCIO > PAESE IN FESTA
Ma basta il paese ai pastori per riprendere forza?
La sua vita di ogni giorno, le occasioni di incontro, i bar: e poi
che altro?
Il vecchio pastore in paese moriva di vino: è dovuto tornare
nel salto.
E abbiamo sentito pastori giovani orunesi parlare del vuoto alla sera,
delle risate fatte di birra in pizzeria, con parole identiche a quelle
dei loro coetanei delle grandi città.
Lo stesso vuoto li colpisce al cuore: e il loro, che ha il sangue pepato,
ne soffre di più.
Se il paese non basta, spento com'è, ogni tanto bisogna accenderlo
in festa...
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6 . IL PAESE IN FESTA
-
LO STRUSCIO E IL BALLO
Qui sì che si ragiona. Qui ci si può vedere tutti quanti.
Orune si guarda allo specchio, nelle feste, e pare molto interessata
agli orunesi. Quasi soltanto a loro...
Quando il gruppo folkloristico di casa sale sul palco, la piazza è
fitta di gente che lo guarda. Quando scende dal palco per il ballo, tutti
quanti formano il cerchio e ballano tra loro, per se stessi, chiudendo
il mondo dentro il ballo tondo.
Quando sale sul palco il gruppo rock di Nuoro, tutti, anche i ragazzi,
girano i tacchi e vanno a guardarsi a vicenda nella passeggiata. Non hanno
voglia di far gli spettatori: oggi è festa, e lo spettacolo son
loro.
Finché dura la festa, non c'è il vuoto.
-
LA SFILATA DEI CAVALIERI
(Immagini di cavalieri e costumi nella festa)
-
LANCIO > CAMPAGNA IN FESTA
Così il paese, acceso dalla festa, diventa fonte dove prendere
forza per andare avanti.
Ma si può fare anche di più: il paese può uscire
dalle vie, a portare un po' di festa alla campagna.
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7 . LA CAMPAGNA IN FESTA
-
RITI RELIGIOSI E MEMORIE PAGANE
I santuari campestri sono sono luoghi del ricordo, e del ritorno: siti
di antichi insediamenti, dove senza saperlo, dietro alla statua della Madonna,
si torna in realtà per cercare il perdono di case e dei abbandonati
in un tempo che precede ogni memoria.
Nella festa di Su Cossolu il santuario è vicino all'abitato,
in una campagna addomesticata, femminile, lontano dal "salto" degli uomini:
sono le donne le prime ad arrivare, e puliscono, adornano, cucinano pecora
bollita: fanno paese.
Gli uomini aspettano il pomeriggio, quando verrà il loro momento.
-
LA CORSA DEI CAVALLI
L'atmosfera è propriamente tex-mex. Al confine fra Texas e Mexico,
Orune raccoglie stile e concorrenti da tutte e due le parti: alcuni cavalli
arrivano sui van più moderni, altri sui furgoni telonati; alcuni
fantini montano con finimenti e divise perfette, altri con pantaloni di
velluto e senza sella; altri ancora sono bambini; tutti si aggirano con
grande calma, nessuno sa cosa stia succedendo; la partenza, annunciata
alle cinque, sarà alle sette.
Le scorte di birra sono adeguate a questa attesa.
E infine si parte.
-
LANCIO > CACCIA
Così la festa, dal mezzomondo femminile, dal paese, si spinge
nella campagna.
Ma si può andare ancora più in là, a cercare la
forza: più lontano dai posti civili, più dentro e in fondo
nel mezzomondo selvatico dei maschi.
E qui si celebra una festa differente...
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8 . LA MORTE
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MORTE PER CACCIA: LA BATTUTA AL CINGHIALE
Racconta una fiaba che una famiglia di cinghiali aveva scoperto un
trucco: se rimanevano completamente fermi nessun cane li avrebbe mai visti,
e nemmeno fiutati.
Si esercitarono ogni giorno, per mesi, finché arrivò
la battuta.
Tutti fermi, tutti fissi come pietre. I cani sentono qualcosa, urlano
come impazziti a un palmo da loro, ma senza vederli. Un cane piccolino,
specialmente, grida e minaccia nemmeno fosse un drago coda accesa. Allora
il cinghialetto minore, che ha il pepe nel sangue, non ce la fa più,
e si muove per fargli una pernacchia. Il cagnetto lo vede, e lo morde.
Allora si muove la mamma per difenderlo, e sei cani le saltano addosso.
Allora si muove il babbo e massacra due cani. Poi arrivano i cacciatori,
e la fiaba finisce.
Questo nostro babbo nero, che è uscito correndo dalla sua macchia,
non ha avuto scampo.
Neanche molti orunesi ne hanno avuto.
Se imparavano a stare fermi...
-
MORTE PER CIBO: LA MACELLAZIONE DEL PORCO
Dalla morte si può prendere la forza, per vivere e lavorare.
Dalla morte di un maiale, ammazzato per nutrirsi; o di un cinghiale,
ammazzato per cacciare; o di un uomo, per vendicarsi. Lo si sente da sempre:
"Se ti ammazzano un figlio e non li ammazzi, che uomo sei?"
-
MORTE PER GIOCO: BAMBINI CHE GIOCANO AI VIDEOGAME
Cinghiale, maiale, virtuale.
Sparare e colpire è un'altra cosa che viene bene a chi ha il
pepe nel sangue.
Ma è molto meglio farlo per gioco, o per l'arrosto, o tutt'al
più per caccia.
Perché la forza che si prende da altre morti è una forza
strana: è troppo intensa, difficile da usare, e prima o poi si gira
su se stessa. "Pepe nel sangue / se ne va in sangue..."
Meglio cercare da un'altra parte. Anzi, proprio dall'altra parte della
vita...
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9 . I BAMBINI
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LA SCUOLA DELLA CAMPAGNA
(Immagni di bambini nell'ovile)
-
LA SCUOLA DEL PAESE: IL CORO
Tui chi ses in sa campagna
Poberittu de Betlemme
In sa notte pru manna
De su chelu Santu Re...
-
LA SCUOLA DEL PAESE: LETTURE E LEZIONI
"Tu che sei nella campagna, poveretto di Betlemme..."
E tutti questi gesubambini, nati anche loro nella campagna, son poveretti?
O non sarà piuttosto il contrario?
Non sarà proprio la campagna quella risorsa in più, quel
qualcosa in più nel sangue?
Il pepe della forza, nel sangue della cultura?
A scuola i bambini di Orune leggono libri di Roberto Piumini, il meglio
che c'è; delle brave maestre glieli hanno portati e se li mangiano.
Hanno in mano le stesse cose che hanno i bambini di Bologna: bei libri,
zainetti, TV.
Ma i bambini di Bologna non hanno mai visto un asino, non giocano a
morra, non prendono in braccio agnelli, non hanno boschi così fuori
di casa. Quanto ci vuole a capire che se abbiamo tutte le loro cose, e
riusciamo a conservarci anche le nostre, siamo noi più ricchi di
loro?
Altro che poberittu de Betlemme...
-
Allora: se non viene dal cibo, dal vino, dalla vita quotidiana del paese;
se non bastano le feste, la caccia, il gioco rischioso della morte: dove
la prende un paese di pastori la forza per continuare la pastorizia?
Nel suo futuro, nei suoi bambini?
Neanche lì ce n'è abbastanza, a quanto pare: quando chiediamo
ai pastori se insegneranno il mestiere ai loro figli, ci rispondono di
no. E allora dove?
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10. Epilogo - PEPE NEL SANGUE
-
Ciò che scriveva Antonio Pigliaru più di trent'anni fa è
ancora vero: c'è una forza cupa nei sardi, un esistenzialismo negativo,
protestatario e irriducibile. Non c'è solo questo: ma ogni altra
mentalità che cerchi di farsi presente nell'economia pastorale sarda
non può non fare i conti con questa cultura.
-
Bisogna però che anche questa cultura incominci a fare i conti con
se stessa.
La forza c'è. Gli orunesi non devono trovarla in nessun posto,
perché ne hanno nel sangue fin troppa.
Il problema non è dove trovarla: è dove metterla.
La scelta che il paese ha davanti è abbastanza chiara:
"Pibere in sambene / andat in sambene / andat in bene..."
La sua forza, il suo pepe nel sangue: se ne va in sangue o se ne va
in bene?
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