Testi per gli spettacoli all'aperto di "INCANTI
E MEMORIE"
Un progetto di Monica Maimone e Valerio Festi
I Castelli del Trentino, 1992-94
Castel Stenico, agosto 1992
L'INCANTESIMO DEI QUATTRO NARRATORI
di Bruno Tognolini
Testo per la 1^ GUIDA
1. PROLOGO
Nel Cortile Esterno del castello i SERVI DI SCENA spartiscono il pubblico in quattro gruppi di 60 spettatori ciascuno, scaglionati a opportuna distanza lungo il viale d'accesso. Due MUSICI BAMBINI appaiono a un balcone, e intonano una musica di flauto e tamburo. Figure acrobatiche (Angeli, Fate) appaiono in vari luoghi alti, a rappresentare il Prologo, il cui testo viene diffuso dall'amplificazione.
PROLOGO
Ascoltate.
Questo è un racconto che narra di un racconto, di un incantesimo
fatale, e di un Eroe. Vi narreremo dei Quattro Narratori, che si incantarono
da soli nel narrare. Questo castello sarà teatro della storia: la
storia ci porterà nelle sue stanze, le quattro celle della lunga
prigionia. E dopo queste, fuori di nuovo nel fuoco dell'assalto, della
liberazione, e della fine.
Il racconto d'un castello è un castello esso stesso: guardate,
camminate, ed ascoltate.
Era inverno. L'Eroe era partito per le guerre che era ancora un bambino,
e i quattro a lui più cari nella corte, la Madre, l'Amico, la Sposa
Promessa e lo Scudiero, l'avevano accompagnato fino al bivio. Poi l'armata
era scomparsa nella neve: un ultimo sguardo, un ultimo bacio al vento,
ed i quattro tornavano al castello, già narrando di lui e delle
sue gesta.
Racconteranno. Torneranno alle sale rallegrate dai fuochi, berranno
il vino forte delle valli, e racconteranno. Così il corto pomeriggio
dell'inverno correrà via veloce, nei racconti. Così le notti
passeranno via.
E così gli anni, passeranno veloci, uno ad uno. Primavere che
non tornano, estati ardenti, e altri inverni con altre nevi. E altri racconti:
il bambino guerriero ora è un ragazzo; il ragazzo è un giovane
uomo che fiorisce; il giovane è un soldato veterano, che cavalca
per le guerre del mondo: e che non torna. Sua Madre, il suo Amico, la sua
Sposa Promessa, il suo Scudiero, raccontavano quel ritorno sognato con
ostinata e fantastica passione: e a ogni racconto la sua gloria era più
alta, più terribile il suono delle armi, più squillante la
fanfara del trionfo.
E a ogni racconto questo castello è più gelato, la cantina
più spoglia, le vesti più consunte, i capi chini. Una sottile
ragnatela era caduta, una trina di neve, un sortilegio: l'Incantesimo dei
Quattro Narratori.
Musica. I quattro gruppi, seguendo i SERVI DI SCENA, attraversano
il Primo e il Secondo Cortile, accompagnati da musici e apparizioni. Qui
giunti si dividono, avviandosi ciascuno verso la prima tappa del suo percorso.
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2. PRIMO PASSAGGIO
La PRIMA GUIDA accoglie il suo gruppo di pubblico in un luogo opportuno, presso la soglia della prima stanza, la stanza della MADRE. E' un'anziana serva di casa, l'ultima rimasta al castello coi quattro incantati, che accudisce con rassegnazione (come tra breve lei stessa racconterà). Attendendo che il suo gruppo si assesti, la GUIDA armeggia con una sporta: ammannisce un pasto frugale: vassoio, posata, tovagliolo, un piatto, un uovo.
GUIDA
Che caldo! Eccola: un'altra estate. E io sono ancora qui, chissà perché. Tutti! Sono andati via tutti, uno ad uno: i massari, i notari, i cancellieri, e poi i soldati, gli stallieri, i servi... Ognuno rubando ciò che potevano le mani: gente senza coscienza, traditori! Tilde è rimasta, serva ed infermiera. Tilde sola, paziente, ascoltatrice! E chi la tiene dall'andarsene anche lei? La carità la tiene, nessun'altro: la carità di quei quattro disgraziati, crocefissi a questa pazzia di raccontare, prigionieri in questo castello degli imbrogli, e io con loro! Io li ho curati, io li ho nutriti lungo gli anni. E lungo gli anni li ho visti deperire, ammalare, sparire, mentre i racconti crescevano da quelle bocche, sani, possenti loro, come alberi rigogliosi piantati in quattro gole dal demonio! Raccontano il suo ritorno, in cento modi. E più raccontano e meno lui ritorna. Magari non è neanche mai partito, non è neanche mai vissuto, questo eroe!... Questa qui invece vive, e malamente: e non si può lasciarla crepare, poveretta... Coraggio, allora: ecco la Tilde, ecco quella che prende cura delle bocche! Buon cibo per le bocche da sfamare, e buone orecchie per le bocche che raccontano. La signora comandi: posso entrare?
Apre la porta ed entra, seguita dal pubblico. La stanza è piena di piatti simili a quello che lei reca, sparsi in disordine sui mobili e sul pavimento: su ogni piatto c'è un uovo, intatto. In un angolo un letto: la MADRE vi è stesa sopra, muta, sofferente, col ventre gonfio di un'immensa gravidanza.
La GUIDA parla (a lei, e agli altri tre personaggi dopo lei) con quell'aria brusca, confidenziale e un po' umiliante tipica di certe infermiere anziane: nel caso della sua vecchia padrona, quest'aria è tuttavia attenuata da un certo residuo rispetto. Nel corso di questo monologo e dei successivi, oltre ad atti specifici dedicati a ciascun personaggio, accudisce i suoi malati con le cure usuali: riassetta i giacigli, le vesti, può tergere i visi e i corpi con un panno imbevuto nell'acqua di un catino, etc.
GUIDA
Ma santa donna, ma non mangiate nulla! L'ovetto che vi ho portato ieri: è ancora lì! Ma insomma, come pensate di guarire, senza mettere niente in bocca, me lo dite? Ah! Che pazienza che ci vuole!... Allora? Come va il nostro pancione? Questa luna d'agosto, cala o cresce? Ma cosa mai avrà mangiato, donna ingorda! Cos'è che vi ha ridotto in questo stato?... E non ditemi più quella bugia! Gravidanza, per carità: gravidanza un bel niente, mi perdoni! Nove mesi dura una gravidanza, a casa mia! Voi, sono anni che avete questa pancia, non so quanti ma certo più di nove! Date retta: qui dentro non ci sono bambini, c'è qualcosa... che solo il cielo ed il demonio sanno cosa! Magari siete piena di racconti, siete pregna di parole, cara mia. Ecco chi è che v'ha messa incinta: l'alfabeto!
Sù, raccontatemi allora, se non volete toccar cibo. Com'è che andrà? Come sarà il ritorno? Come sarà, farà un bel sole, vero? Eh? Sarà un bel giorno?
3. LA MADRE
Alle ultime domande della GUIDA la MADRE, come un ingranaggio sbloccato, finalmente dà segni di vita. La GUIDA si siede in un angolo, e rassegnata si dispone all'ascolto.
MADRE
Farà un bel sole, sì, sarà un bel giorno, pieno di vento e di presagi fin dall'alba.
Io mi sveglierò presto, anzi dormirò poco quella notte, scossa da un'inquietudine gioiosa. Tutta la notte un gatto in amore griderà, con voce di bambino moribondo. Ed al suo grido questa creatura che ho nel grembo balzerà forte, chiedendo d'uscire dalla sua morte calda, a sfidare la luce. Poi, all'ora nona, sentirò gli zoccoli di un cavallo nei cortili, come d'una staffetta cauta che esplori, e poi riparta al galoppo a riferire: via libera, via libera, avanzate!
E allora farò portare questo letto sugli spalti, ed io vedrò: la grande armata che avanza all'orizzonte, una marea di morte dorata, luminosa, che copre le vigne e i campi, e incenerisce le mosche, i lupi e i ladri di questa contea infame, lasciando dietro di sè soltanto il bene. E il sole, mentre sorge, brilla sulle armature levigate, ed io mi proteggo gli occhi con il velo, e piango piango piango... Quanta luce!
Ecco! Al centro, alto su tutti, misterioso, mio figlio veste un'armatura mai veduta, d'acciaio scuro, irta di punte e ganci, brunita da tutte le morti che io vidi per mille notti, in mille forme nuove, e che lui invulnerabile scampò. E ora smonta, mi corre incontro, abbraccia me! Prima fra tutti, me per prima, abbraccia me! E a quell'abbraccio dispensatore della morte l'eroe minuscolo che mi opprime il ventre rispose impennandosi alla vita - un colpo, due colpi, tre colpi, e venni meno.
Più tardi, il doppio banchetto fu glorioso, doppia fortuna al nato e al ritornato. Furon condotte dalle dispense carni e vini, frutta del sud, stoviglie d'oro e peltro. Mio figlio volle me alla sua destra, e il suo nuovo fratello alla sinistra, e già quel giorno il piccolo cadetto tagliò la sua prima carne con la spada, e masticò.
Da quel momento, e avanti in poi per sempre, tutto cambiò nel castello desolato. Rigoglio, prosperità, gloria, abbondanza: ognuno visse per oltre cento anni, mai nessuno morì, cento bambini nacquero alle donne, cento stanze furono aggiunte e cento stalle.
Era tornato, e non partì mai più.
La MADRE, spegnendosi dopo l'impeto della visione, torna al suo doloroso
stato di silenzio. La GUIDA la guarda muta per un poco; quindi sospira,
si alza, le riassetta brevemente le vesti, e infine lascia la stanza, portandosi
dietro il suo gruppo.
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4. SECONDO PASSAGGIO
Dalla stanza della Madre, la PRIMA GUIDA è uscita nel Secondo Cortile, dove il suo gruppo di pubblico si ferma. Questa volta non vi sono porte da aprire e scene da svelare: la FIDANZATA è già in vista, in alto sulla Loggia, seduta su un'altalena sospesa nel vuoto, immobile. La GUIDA sale a metà la scala che conduce alla Loggia, si ferma, si siede.
GUIDA
Mah... almeno cinque! Cinque anni che non si vedeva un'estate così calda. L'altra che aveva fatto, mi ricordo, i padroni non erano così. Raccontavano, sì, e già da un pezzo: ma almeno raccontavano insieme, e tutti dicevano tutto, e l'uno all'altro. Poi piano piano cominciò a cambiare: non lo saprei spiegare, ma fu come... come se dividessero le parti... La Madre, di là, cominciò a narrare della morte, e ammazzamenti, e imboscate, e pianti e lutti: e come suo figlio le scampava tutte. L'Amico poi narrava senza fine il suo valore guerriero, e armi ed eserciti e schieramenti di battaglia. E lo Scudiero, povero servo scemo, lui raccontava la crudeltà del suo padrone, come se non l'avesse mai provata su quella povera schiena, al tempo suo. E questa, la Fidanzata, parlava solo di bellezze, e com'era alto, e com'era radioso, e che sorriso. Insomma: ognuno si faceva il suo racconto. E infatti poi, piano piano, non si ascoltarono più: ognuno si chiuse in camera, e aspettava. E chi aspettava? Ma la Tilde, che veniva con la cena! Ed eccola qua, la brava ascoltatrice, che ascolta tutti e non racconta mai. E avanti, allora! Ascoltiamone un altro... Sù, colombella, che cosa fai, non voli?
La GUIDA risale le scale e si ferma accanto alla FIDANZATA. A lei si rivolge con una vena di affetto e protezione, che screzia il suo tono brusco d'infermiera.
GUIDA
E allora? Sei già ferma? E come mai: ti ho spinto che era ieri, ieri sera, proprio a quest'ora esatta!... E via volavi come una colomba, sembrava non dovessi tornar più. E invece sei qui di nuovo, eh benedetta? Ferma, incantata, posata su quel filo, a guardare lontano: come se avessi gli occhi... Dài, raccontami cosa si vede da lassù! Si vede il tuo cavaliere?... Sta arrivando?... Cosa si muove al fondovalle?... Si vedono scintillare le corazze? Si vede il sole?... Ma santa santa santa ostinazione! Mille volte te l'ho detto, mille e una! Qualche vigliacco servo traditore, prima di scapparsene con la tua roba, te l'ha fatto lo scherzo! Ti ha appeso l'altalena dalla parte sbagliata, tortorella! Qui c'è il cortile, non ci sono lontananze! Ma già! Anche se ci fossero, per quello che ne caveresti tu, con quei begli occhi...
Basta, parlare a un cieco di un colore è fiato perso. Allora: non me la canti questa sera la storiella? Sù, coraggio! Dimmi com'era bello: come il sole? Dài, ti spingo di nuovo, vola un poco. Canta un poco, com'è che fa: din don, din don, din don...
La GUIDA passa alle spalle della ragazza, e a ritmo col "din don"
comincia a spingere l'altalena.
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5. LA FIDANZATA
Come destata dall'oscillazione, e accordandosi alla voce della GUIDA, la FIDANZATA intona la sua cantilena. La GUIDA continua a spingere e cantare per un poco, quindi prende posto in qualche angolo da cui possa guardare la ragazza, ed esser vista dal pubblico, e ascolta. Il monologo della Fidanzata è giocato entrando e uscendo da una cantilena ritmata sul dondolio dell'altalena.
FIDANZATA
Din don, din don
Suonate campane, suonate lontane
Il mio amore ritorna fra tre settimane
Il mio amore è partito e non torna più indietro
Campane di luce, campane di vetro...
Oh sì sì... sarà una giornata calda fin dall'alba.
Io mi sveglierò dopo un bel sonno, sì, dormirò qui,
sull'altalena...
Sotto la luna, sotto la stella
Dormirò tanto e mi sveglierò bella...
... sì, domirò bene, nemmeno i cani che chiamano la luce
mi sveglieranno. Mi sveglierà la luce invece, che all'ora nona batterà
su questi occhi come una campana tiepida, din don... E poi mi sveglierà
il trotto delle sue staffette nel cortile, tloc tloc... avanti! Via libera,
non c'è nessuno, avanti, entrate!
Din don, avanti e indietro
Campane di luce, campane di vetro
Prima e dopo, tutto e niente
Davanti si vede, di dietro si sente...
... Ecco, davanti, laggiù, si sente il sole! L'armata che arriva
bellissima nel sole, arriva in fondo alla valle, arriva, arriva! Cinquecento
specchietti d'argento sopra gli elmi, e io mi proteggo gli occhi col ventaglio,
e rido rido rido... Quanta luce!
Ecco, ora li sento nel cortile esterno, poi nel primo, e infine nel mio cortile, eccoli qui! Amore, vieni a prendermi! Vieni a mettermi giù da questa forca! Io non so scendere da sola, vieni tu!
Din, don, sù e giù
Scendo io e sali tu
Sali sù, salta e vola
Scendo giù, non lasciarmi da sola...
... Sì, stammi vicino amore, che ora scendo. Scendo e ti corro
incontro, e tu mi abbracci, abbracci me per prima, sono qui! E allora chiesi:
com'è il mio cavaliere? E dissero: le sue spalle sono i ghiacciai
della montagna. Le sue braccia sono i raggi di un tramonto. Le sue vesti
sono corazze di specchietti. E il suo viso è uno squillo d'oro in
mezzo al cielo, insopportabile alla vista, abbacinante - chiudete gli occhi,
per carità, chinate il viso! Solo io posso fissare quel volto! Solo
io!
Apro gli occhi e vedo il sole
Chiudo gli occhi e son solo parole
Apro gli occhi e vedo i monti
Chiudo gli occhi e son solo racconti
Apro gli occhi e vedo te
Chiudo gli occhi e vedo me
Vedo me sull'altalena
Dondola dondola cantilena
Vado sù, vado giù
Chiudo gli occhi e non vedo più...
Sì, ecco, ora vedo: ci fu un grande banchetto di nozze, con piatti bianchissimi pieni di cibi scarlatti. Ed io guarii, e scesi dall'altalena, e non ci tornai mai più. E ogni notte, nel mio talamo nuziale, sognai di volare un volo straordinario, infinito. E il nostro castello fu felice ed infinito, e fu dipinto d'azzurro nella sera, e per mille anni lo vide da lontano ogni viandante. Era tornato, e non partì mai più.
La GUIDA si alza, raccoglie le sue cose, comincia a scendere lentamente le scale, accompagnata dalla cantilena della cieca.
FIDANZATA
Din don, sù e giù
E' tornato e non parte più
E' tornato dalla guerra
Splende il sole su tutta la terra
Splende il sole che non tramonta
Chiude il racconto che non racconta
Chiude la rima e non chiude mai
Ciò che aspetti lo vedrai
Ciò che aspetti non lo vedrai
Ciò che aspetti lo vedrai
Ciò che aspetti non lo vedrai
Ciò che aspetti lo vedrai
Ciò che aspetti non lo vedrai...
"Ad libitum", mentre il pubblico lascia il cortile.
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6. TERZO PASSAGGIO
La PRIMA GUIDA ferma il suo gruppo in qualche luogo opportuno in prossimità della terza stanza, dove è chiuso lo SCUDIERO.
GUIDA
Ecco, è andato giù il sole. Finalmente si è messo un po' al fresco: era tempo. Poverini, così respirano anche loro, gli ammalati!... Quattro! Quattro ammalati insieme! Chissà perché si sono ammalati tutti insieme: piano piano, anno per anno, e sempre peggio... Sarà anche questo un contagio dei racconti, di quell'incanto di raccontare che li ha presi! Beh, se non è così, è uno strano caso: perché davvero, ognuno s'è buscato il male giusto, il male adatto al suo racconto, come dire... Per esempio: la Fidanzata raccontava la bellezza del suo volto? Bene: si ammala agli occhi, piano piano diventa cieca buia, e di bellezze non ne vedrà mai più, né quella né altre. L'Amico narrava del famoso condottiero? E giù, una scrofola maligna della pelle che non potrà mai più vestire un'armatura. E poi la Madre, che parlava di morti scampate in mille casi: eccola gonfia come un tino, e straconvinta d'essere incinta di una vita. E questo disgraziato di Scudiero, che raccontava la crudeltà del cavaliere: ora è qui dentro che si tormenta la gobba con una macchina crudele più di lui, che si è fatto da sè per raddrizzarsi. Ehi! Appeso! Lègati bene stretto che sto entrando!
Apre la porta ed entra, seguita dal suo pubblico. Lo SCUDIERO è appeso in trazione dentro un intricato macchinario ortopedico, alto al soffitto. La GUIDA, nel corso del brano che segue, allenta una corda che lo àncora alla parete, e l'appeso prende ad oscillare. Rispetto agli altri malati, nei confronti di questo servo pari suo la GUIDA è assai più brusca e sprezzante.
GUIDA
Eccoti qua: non sei ancora cascato, bel salame?... Sù sù, dài, scherzo, non ti impermalire... Eccomi: ora ti sciolgo, così dondoli anche tu, come quell'altra. Proprio in tutto vuoi scimmiottare i tuoi padroni, eh, gobbino? Vuoi sentirla? A mio intendere è proprio questa la tua pena: uno scudiero è un servo. Servo, capisci? E invece no, lui vuole fare come i signori: si vuole perdere nelle nebbie dei racconti... Ma che racconti?! Ma cosa dici, tu?! Cosa ne sai?! Non era meglio se te ne stavi zitto, e magari scappavi come gli altri, arraffando la parte?... Vedi cosa ne hai rimediato? Eccoti qui, torto come un olivo sotto i venti, e raddrizzalo pure, un olivo! E ben ti sta! Ma quel che è peggio adesso è che la Tilde deve tenere dietro pure a te: serva che serve un servo, e che bel caso!
Mah! Stai pure appeso lassù, se poi ti piace... E dimmela da lassù la tua storiella. Allora, com'è? Questo guerriero crudele, quando torna? Torna pieno di teste mozze? Sù, com'è che dici sempre: teste mozze?
7. LO SCUDIERO
Lo SCUDIERO, sciolto dal suo ancoraggio, comincia a dondolarsi, con qualche suo gesto ritmico e coatto. Acceso dalle ultime parole della GUIDA, il suo racconto è scandito sull'onda di questo dondolio, da cui si separa e torna a tratti. La GUIDA, come al solito, si sistema in disparte ad ascoltare.
SCUDIERO
O testa mozza
Alla fine sei sorto
Faccia del sole
Testa di morto
Schiaccia le stelle
Una per una
Taglia la testa alla luna
Via la notte, e dentro il giorno, in un'aurora sanguigna, testa mozza! Io me ne accorgerò, sì, io per primo! La notte sarà piena di presagi: le falene si schiacceranno alle finestre, cercando impazzite un varco. E tirato dal sole, il filo della mia schiena si tenderà per tutta la notte dolorosa, per presentarmi dritto davanti al mattino. Ed il mattino sorgerà guerriero, raggiante di luce crudele: il sole si spiccherà dalle montagne come una testa dalle spalle di un gigante. E quando i raggi segneranno l'ora nona, io sentirò tre cavalli nei cortili. Non mi potrò sbagliare, tre cavalli: le staffette dell'armata sono qui. Guardano, fiutano, corrono a dire, via libera, via libera, avanzate!
Allora la valle si riempirà di teste, di elmi lucidi nel sole fulminante, di lance e stendardi in collera di vento, e io mi proteggo gli occhi con la mano, e chiamo chiamo chiamo... Traditori! Tiratemi giù di qui! Fatemi uscire! Portatemi agli spalti, traditori! Voglio vederlo anch'io!
Sento un odore. Sì, eccolo, dopo cent'anni lo conosco: questo odore di morte che si spande, dolce, melato, come fiori amari. Eccolo: irto di punte il Cavaliere avanza, nero e altissimo, sul cavallo gigantesco. Una ghirlanda di teste mozze gli pende alla spalla, un'altra ghirlanda è al collo del destriero... Ora l'odore della morte è ovunque, portato dal vento impazzito: quattro carri, traboccanti di teste, fanno ingresso!
Teste di re
Teste di fanti
Nasi di dietro e capelli davanti
Teste piangenti
Teste felici
Bevono il vento con mille narici
Mani tagliate
Lingue recise
Ma il Cavaliere sorrise...
Sì, il Cavaliere si guardò all'intorno, col sorriso spietato che conosco, e disse: dov'è dunque il mio scudiero? Sono qui, prigioniero del mio corpo! Scioglimi, Sire, consentimi di venire al tuo ginocchio! Quattro fanti vennero allora alla mia cella, mi calarono da questa macchina d'inverno, mi condussero a lui, e fui frustato! "Non c'è forza - mi disse il Cavaliere - non c'è corda o catena a questo mondo, non c'è tormento che debba mai impedire al mio scudiero di correre al richiamo".
Sette frustate per sette anni
Sei le frustate per cento malanni
Cinque frustate per le sue armi
Quattro frustate per perdonarmi
Tre le frustate per tenermi pronto
Due le frustate per questo racconto
Una frustata per la cantilena
Cento frustate alla schiena
"Levati, ora, e presentami il saluto". Quella frusta fu medicina portentosa quale non fu un millennio di tormenti: perché mi alzai, ritto su queste gambe, e ritta questa schiena come un'asta, alta la fronte davanti al mio signore!
Fu servito un banchetto nella lizza, fui nominato Primo Scudiero del Castello, ebbi in custodia le sue armi, stregate dalla vittoria, ed il bottino: dieci carri di acciaio, d'oro e stoffe, e quattro carri di teste. Feci inchiodare quelle teste sulle mura, una ogni merlo: duemila guardie mute, vigili, insonni. Il castello fu il terrore del reame, rispettato dai re, odiato dagli altri vassalli, temuto da tutti. Era tornato, e non partì mai più.
Lo SCUDIERO si spegne lentamente, e torna al suo teso silenzio. La
GUIDA lo guarda, scuote il capo, si alza, controlla ancora una volta le
corde, e infine lascia la stanza portandosi dietro il suo gruppo.
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8. QUARTO PASSAGGIO
La PRIMA GUIDA e il suo gruppo si fermano in un luogo opportuno nei pressi dell'ultima stanza, dove giace l'AMICO. Mentre parla, la GUIDA può armeggiare con una tinozza fumante d'acqua calda che trova sul luogo, e che alla fine del monologo porterà con sè nella stanza.
GUIDA
E insomma: hanno voluto raccontare. Chissà cosa credevano, poveretti! Forse che a furia di dire il suo ritorno, questo bel tipo tornasse davvero, prima o poi. Hanno tentato una specie di magia: un incantesimo, ecco. Beh, se è così, gli è riuscito proprio a rovescio! Che invece di trasformare in realtà le loro fole, la realtà è diventata fola lei, in questo castello: favola storpia, vita storpiata dai racconti, e storpiati anche loro, i narratori! E magari vedono tutto storpio, intorno a loro, e storpiata anche me! E io non ci credo mai, ma se per caso quello tornasse per davvero... beh: gioca l'anima che vedono uno storpio! E non lo riconoscono nemmeno, dopo averlo tanto aspettato, e ben gli sta! Ah sarebbe la giusta fine: tu chi sei? No, tu non sei il nostro eroe, via, torna indietro! E allora io, se fossi in lui, sai che farei? Ma raderei per terra tutto quanto: giù!!! Giù queste mura, giù, a colpi d'ariete! E chi c'è dentro c'è dentro! E Dio me ne tiri fuori, allora, se accade: in tempo da salvare questo collo. E via, lontano!...
Ma qui non arriva nessuno, altro che storie!... Non viene nessuno a salvarci, eh Cavaliere?... Coraggio, Tilde, questa è l'ultima porta, per stanotte... Copritevi, Cavaliere, sto arrivando...
Apre la porta ed entra. L'Amico è immerso in una vasca d'acqua issata in alto, nel vano di una finestra. Una grande spada, legata ad una corda, giace in terra: l'altro capo della corda è a portata di mano del malato. Mentre gli parla, la GUIDA attinge al secchio fumante con un opportuno recipiente, ed aggiunge acqua calda nella vasca. Come nei confronti della Madre, anche per il Cavaliere risuona nel suo piglio brusco da infermiera un accento di rispetto e ammirazione.
GUIDA
Allora, come va il nostro bagno?... Ne traete giovamento?... Beh, son sei anni che siete immerso in quel brodo: perdonatemi la parola, ma date grazie se non siete già una trota. Ah, Cavaliere! Chi l'avrebbe detto! Un uomo forte, un bel signore ardito... Ma perché non siete partito con lui, quel santo giorno? Ah vedo: la salvaguardia del castello, la minaccia dei nemici, tutto giusto... Sì, i nemici: son vent'anni che non si fanno vedere, giù alle porte! E invece, questo assedio degli imbrogli, questo nemico che viene dal di dentro... vi hanno colto di sorpresa, eh, Cavaliere? Poco è servito quello spadone contro i fumi, contro i fantasmi ingordi che ci stanno mangiando l'anima, bel Sire!
Mah! Ci vuole pazienza, che ne dite? Tiriamo avanti tutti, voi ed io.
Sù, sentite che bel calore che vi porto: confortatevi, e ditemi
la storia... Avanti, ascolto: prendete spirito, parlatemi di nuovo... Come
sarà quel giorno? Come sarà la luce? Sarà rossa?
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9. L'AMICO
Rassegnata, la GUIDA si fa da parte, e si dispone ad ascoltare. L'Amico prende vita, ed esordisce. Durante il monologo, recupera con la corda la sua spada e la brandisce penosamente.
AMICO
Rossa, febbrile, accesa: la luce che verrà sarà d'incendi. Un esercito di nuvole guerriere si schiererà rosso nel cielo, a tutto campo. La notte prima un lupo griderà per lunghe ore, e alla fine scenderà dalla montagna, e raschierà alla mia porta. Allora il quinto strato di corteccia si staccherà dal mio corpo avvelenato, e sotto quello fiorirà una pelle nuova, rossa, febbrile, accesa, come il cielo.
All'ora nona sentirò il galoppo di tre cavalli, nei cortili. Io solo saprò cos'è: tre staffette dell'armata che ritorna, silenziose, guardinghe. Leggono i segni delle mura e delle cose, e galoppano via.
Solo allora mi leverò da questo stagno. Vestirò la mia armatura sulle piaghe, senza un lamento. Prenderò questa spada, che aspetta quel giorno per scintillare ancora al cielo. Prenderò il mio stendardo, temuto da molti re, prenderò il mio elmo più bello sotto il braccio, e salirò agli spalti.
Larga, aperta, quanto è larga la valle, ecco l'armata immensa, impietrita in un silenzio febbrile, minaccioso. Innanzi ad essa la compagnia dei cavalieri, e innanzi ad essa lui: nero, alto, sul destriero gigantesco, irto di lame e di bandiere ardenti. Io levo in alto il mio stendardo, in alto la spada nel pugno, poi stringo nel pugno la lama e porgo l'elsa, e infine mi inginocchio.
Allora un urlo immenso, un rombo, un tuono si leva da mille bocche, e come un'onda di marea l'armata si muove in ordine, stupenda. E stupenda con lei avanza un'altra onda, che è vita, forza nuovissima nelle braccia e nelle vene, e ora m'investe, e io mi riparo il viso con il guanto, e grido grido grido... Quanta luce!!
Quando giunsi all'abbraccio, la mia pelle dolorosa era ormai sana, rigenerata fino all'osso, forte e dura come cuoio sotto il ferro. Abbracciò me, me per primo, solo me! E in quell'abbraccio rifiorirono in un colpo tutte le mie perdute primavere, le mie battaglie combattute, e vinte. Ricominciava il gioco splendido dei maschi, l'infanzia della guerra, senza fine.
Il banchetto del benvenuto fu maestoso, ricco di vini e gioia dei racconti. Fui nominato Comandante della Guardia, Consigliere di Guerra, ed altri onori. In mille esercizi e giostre ritrovai la forza antica e paurosa del mio braccio. Combattemmo negli anni fianco a fianco, mille battaglie, mille campagne, mille assedi, e questa spada non ebbe mai più requie. Il nostro castello, il nostro nome fu temuto da oriente ad occidente, da amici e da nemici, e per cent'anni. Era tornato, e non partì mai più.
Lentamente l'AMICO si placa, lascia cadere la spada, si riaffloscia
nel suo bagno. La GUIDA lo guarda pietosa, raccoglie e sistema la spada
al suo posto, quidi esce, seguita dal gruppo. A questo punto ha finito
la sua parte, e scompare indaffarata verso altri siti e occupazioni del
castello.
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10. EPILOGO
I quattro gruppi lasciano le loro ultime stazioni (e le Guide) nel
medesimo tempo, si incontrano nel Secondo Cortile, si fondono in un unico
gruppo. Guidato dai SERVI DI SCENA, dal riapparire dei MUSICI, da suoni
e apparizioni, questo gruppo passa nel Primo Cortile.
Qui scorge e segue un CAVALIERE ARMATO, che galoppa fuori, verso
il Cortile Esterno: è la prima staffetta dell'Eroe che torna.
Nel Cortile Esterno altri tre CAVALIERI ARMATI si uniscono al primo,
e dopo una breve evoluzione galoppano fuori dal castello. Il pubblico invece
indugia ancora nell'ultimo cortile: riappaiono le medesime figure acrobatiche
(Angeli e Fate) che davano vita al Prologo, e il testo dell'Epilogo risuona
all'amplificazione.
EPILOGO
Questo fu l'incantesimo in cui cadde chi tentò di piegare la vita ai suoi racconti: l'incantesimo dei Quattro Narratori. Nessuno poteva spezzarlo, tranne uno. E questo, un giorno, tornò.
Cresciuto, temprato, compiuto dalla guerra, compiutamente Eroe, come avevano voluto il suo destino e i quattro a lui più cari al mondo, ora tornava a mostrare loro il compimento, e riceverne lode.
Chi videro, invece, cosa videro essi quando scrutarono il Cavaliere che avanzava, in testa alla sua armata? Il Servo gobbo vide un gobbo mendicante, la Sposa cieca vide un cieco senza faccia, l'Amico malato vide un infermo imbelle, la Madre vide un morto. Non lo riconobbero, lo respinsero, gli negarono l'accesso al suo castello.
E chi vide lui, l'Eroe, quando guardò le quattro figure curve sul loggione? Riconobbe i quattro cari volti che aveva serbato nella memoria per conforto?
Non lo sappiamo. Sappiamo che ordinò immediatamente, e forse disperatamente alle sue truppe di assaltare il castello, di mettere ogni cosa a ferro e fuoco.
Sguarnito, il castello cadde d'un colpo. L'unico grido che si sentì, tra gli incendi, fu un vagito. Dentro il castello, nella sala delle feste, i quattro Narratori esultavano, chini sopra un neonato: "Sei tornato! - dicevano - Sei tu!".
Era arrivata, infine, la creatura generata dall'attesa, il frutto della loro mesta alchimia. "Crescerà, partirà per le guerre - dicevano - e noi lo attenderemo, e nell'attesa... narreremo di lui".
Un'esplosione di luci e fragori di battaglia, risuonando da fuori
le mura, chiude l'Epilogo. MUSICI, SERVI, apparizioni, suoni e luci conducono
il pubblico nel declivio fuori le mura.
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11. FUORI LE MURA
E qui il pubblico assiste all'assalto e alla presa del Castello da parte dell'EROE Ritornato. Due sole battute: un UFFICIALE a cavallo si avvicina trafelato all'EROE, che dall'alto osserva la battaglia.
UFFICIALE
Signore, ci sono quattro sconosciuti ed un neonato, nella sala centrale. Cosa dobbiamo fare?
EROE
Uccideteli tutti, sono forestieri usurpatori. Spegnete gli incendi. Accampatevi. Domani, col sole, riprenderò possesso di ogni cosa.
IL CAST
"L'INCANTESIMO DEI QUATTRO NARRATORI"
Una memoria nell'incanto del CASTELLO DI STENICO
Testo di BRUNO TOGNOLINI
Soggetto di MONICA MAIMONE
Musiche GIANFRANCO GRISI
Ideazione luci FERRUCCIO BIGI
Ideazione costumi ANNA CARNELLI
Una produzione TRAFESTI
Regia e ideazione scenica di MONICA MAIMONE e VALERIO FESTI
La Madre CARLA CHIARELLI
La Fidanzata SILVANA GASPERINI
Lo Scudiero ENZO CECCHI
L'Amico MARCO ZAPPALAGLIO
1^ Guida CAROLINA BAGGI
2^ Guida SILVIA BARCO
3^ Guida FRANCESCA BALLICO
4^ Guida DONATELLA BERTELLI
Il Principe GIOVANNI LORENZI
Il Prologo COSIMA BARTOLUCCIO
Eroi e Cavalieri sulle mura e a cavallo, Bambini, Reduci dalla guerra
IL POPOLO DI STENICO
Prima rappresentazione a Castel Stenico (TN), 18-19 luglio 1992
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