Testi per gli spettacoli all'aperto di "INCANTI
E MEMORIE"
Un progetto di Monica Maimone e Valerio Festi
I Castelli del Trentino, 1992-94
Cavalese, luglio 1993
L'AQUILA DEL RE RAGAZZO
di Bruno Tognolini
INDICE
I PERSONAGGI
UN VECCHIO (Prima Guida)
UN GIOVANE (Seconda Guida)
UNA BAMBINA (Terza Guida)
CARLO DI LUSSEMBURGO, il Re Ragazzo
MARGHERITA, Contessa di Maultasch
FEDERICO DI SPORO, Cavaliere
GIOVANNI DI CARINZIA, Cavaliere
VOLKMAR DI STALL, Cavaliere
I PAESANI
L'ESERCITO
I LUOGHI
All'inizio dello spettacolo l'intero spazio, ancora poco strutturato
da scenografie, consta di un largo CAMPO APERTO. Al suo estremo nord (qui
e di seguito l'orientamento non è geografico ma convenzione della
scena) c'è una CHIESA, affiancata da ALBERI.
Durante la Seconda Scena (Costruzione del Campo) questo spazio viene
strutturato, ex novo o completando elementi precedentemente disposti: sentieri
di fuoco disegnano quattro larghi tragitti a croce, dal centro dello spazio
- che chiameremo PIAZZA D'ARMI - ai quattro punti cardinali.
A nord resta immutato lo spazio della Chiesa e degli Alberi. A sud,
est, ovest, vengono rizzati tre PADIGLIONI (tende e velari).
Indice
Indice Castelli
I PERCORSI
Comincia l'azione col pubblico orientato fronte alla Chiesa e agli Alberi,
dove hanno luogo il Prologo dei Paesani e la Prima Scena.
Durante la Seconda Scena (Costruzione del Campo) il pubblico viene
diviso in tre gruppi dalle Tre Guide (con l'aiuto dei Paesani).
I tre gruppi - ciascuno condotto da una Guida - percorrendo i bracci
sud, est, ovest dei sentieri di fuoco, si recano nei tre Padiglioni, e
qui assistono in simultanea all'incontro della loro prima Guida
col loro primo Cavaliere.
Terminate insieme le tre azioni, i tre gruppi tornano a convergere
al centro (Piazza d'Armi), stringendosi in un corpo unico, ma restando
distinti mediante corde a raggera (o altro): qui assistono al monologo
di Carlo.
Al termine di questo si scambiano le Guide, e i gruppi vengono
condotti al loro secondo Padiglione, dove assistono all'incontro
della loro seconda Guida col loro secondo Cavaliere (vedi
oltre, rotazione dei Gruppi).
Convergono ancora alla Piazza d'Armi, dove assistono al dialogo di
Carlo e Margherita.
Si scambiano ancora le guide, e i gruppi vengono condotti al loro
terzo Padiglione, dove assistono all'incontro della loro terza Guida
col loro terzo Cavaliere.
Convergono ancora alla Piazza d'Armi, dove assistono al dialogo di
Carlo e la Bambina, che è il finale.
Indice
Indice Castelli
LA RUOTA DEI GRUPPI
gruppo | guida | cavaliere | padiglione |
1 | BAMBINA | GIOVANNI | Ovest |
2 | VECCHIO | FEDERICO | Est |
3 | GIOVANE | VOLKMAR | Sud |
gruppo | guida | cavaliere | padiglione |
1 | GIOVANE | FEDERICO | Est |
2 | BAMBINA | VOLKMAR | Sud |
3 | VECCHIO | GIOVANNI | Ovest |
gruppo | guida | cavaliere | padiglione |
1 | VECCHIO | VOLKMAR | Sud |
2 | GIOVANE | GIOVANNI | Ovest |
3 | BAMBINA | FEDERICO | Est |
1. PROLOGO
Cinque PAESANI appaiono sugli alberi, e si rivolgono al pubblico con grida d'allarme,
PAESANI
Compaesani, uomini del Primiero!
Boscaioli dispersi alla foresta!
Suonate campane a martello! Date voci!
È alle viste un esercito straniero!
Un Re Ragazzo marcia alla sua testa!
Segnatevi coi segni delle croci!
Chi può si salvi, chi non può venga soccorso!
Portate bestie ed averi via di qui!
Chi sente creda, e chi non crede veda!
Date voci! Un'esercito possente
marcia da Fiemme al passo di Cereda!
Cento, mille soldati alla montagna!
Vengono qui! Salvatevi la testa!
Il demonio col sacco li accompagna!
Suonate le campane! Accendete i falò nei luoghi alti!
Fuggite nei monti, nei salti!
Alla foresta!
Segue un resoconto concitato a voci alterne. Altri paesani, sotto i cinque, riprendono come un'eco le parole
PAESANI
Ascoltateci! Abbiamo udito le novelle. Dicono che in terra veneta c'è guerra. Che gli Scaligeri da soli fanno fronte a Veneti, Fiorentini, Casa d'Este, ed ancora ai Visconti, ed ai Gonzaga!
Il Re che giunge è Carlo di Lussemburgo, erede dell'impero di Boemia. Piomba dal nord per profittare del confitto, come cane che attacchi cani in una zuffa.
Si dice che conti appena ventun anni, e ha già in tutela la Contessa del Tirolo, cui ha dato in sposo un fratello ragazzino. E che con essa intrecci tradimenti.
La sua armata è forte di cento cavalieri e mille fanti, che marciano sotto stendardi numerosi. Dicono che il Re Ragazzo non con l'oro, ma con l'astuzia l'abbia reclutata!
Ascoltate: col pretesto d'una giostra, ha radunato ad Egna Cavalieri e Signori di ogni rango, ansiosi di bene apparire al Re straniero.
Si dice che alla fine del duello, abbia rivolto agli animi esaltati dal suono delle armi una proposta, che trattava di guerra breve e ardita, grassi bottini e gloria garantita.
E i signori ch'erano usciti dai castelli in pompa magna di ferri e di fanfare, e per solo veder gli altri certare, d'animo lieto accolgono l'invito a menare le spade a loro volta, e tornare con peso maggior della partenza.
Così si dice. E si fa il nome, tra questi capitani, dello stesso Giovanni di Carinzia, fratello cadetto del Re, e sposo di Margherita del Tirolo.
Ma se Carlo è nomato Re Ragazzo, costui si chiami Cavalier Bambino: ha tanti nemici, infatti, uccisi in campo quanti peli sul mento, cioè nessuno.
Ma si dice vi sia un altro capitano, ben più rischioso per nemici e per consorti: Federigo di Sporo è questo nome, Cavaliere, al vessillo un Unicorno.
Uomo spietato quanto un uomo può, armato con armi magiche d'oriente. E dove queste falliscono la preda, giunge l'astuzia malvagia della mente.
Ma il più temuto è il terzo capitano: Volkmar di Stall, Cavaliere della Pietra. E di costui le voci delle valli portano favole difficili a capire.
Che parli con bocca di donna, e rechi una fanciulla sulla schiena, e mai se ne separi neanche in guerra. E in guerra infine sia una macchina di morte che schianta i suoi nemici con un masso!
Questa è l'armata, questi i capitani,
questo è il Re che si affaccia nella valle.
Uomini del Primiero, compaesani!
Caricate i magri averi sulle spalle,
Date voci! Salvatevi la testa!
Arriva il Re Ragazzo, il Re straniero!
Fuggiamo alla foresta!
Alla foresta!
Alla foresta!
Alla foresta!...
A quest'ultimo grido ripetuto tutti i Paesani scompaiono di corsa
tra gli alberi. L'attenzione del pubblico viene indirizzata verso la Chiesa.
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2. SCENA PRIMA
Qui incontriamo tre abitanti del posto, un Giovane, un Vecchio e una Bambina, che parleranno in monologhi intrecciati. Tutti i loro compaesani son fuggiti nei boschi, solo loro son rimasti ad attendere l'esercito: rappresentano infatti quelle figure irregolari ed emarginate (seppure per motivi diversi) che finiscono sempre per orbitare intorno a un campo d'invasori. Dal loro parlare emergono paure e aspettative che si concentrano sulla figura del Re in arrivo, culminando nella formulazione di tre suppliche che intendono proporgli.
Sul tetto della Chiesa si è arrampicato il GIOVANE, boscaiolo e cacciatore, ardito e affascinato dalle armi. Stringe in mano un arco, arma boschiva e plebea di chi non può pagarsi il costoso acciaio. La sua attesa è segnata da una colpa; ha commesso un delitto, e spera la grazia dell'anima e la salvezza del corpo dal Re Cristiano, cui si offrirà come soldato. Il Giovane parla molto, rivolgendosi al Vecchio e spesso inveendo contro di lui, come nell'ansia di figurare ed esorcizzare paure e speranze.
Nell'albero su cui è arrampicata, invece, la BAMBINA parla solo con le cose intorno a lei: in particolare con una colomba che tiene chiusa in gabbia, e che nei suoi giochi è il falcone d'una piccola principessa falconiera. La piccola, infatti, è tenuta per stramba e visionaria dalla sua comunità, che la deride e la teme come la stessa voce sfrenata della fantasia, cioè - forse - del demonio. Il Re che attende non è simile a San Giorgio, ma San Giorgio in persona, che viene finalmente a trovarla: a questo Re Guerriero e Santo, e forse Mago, intende donare il suo falcone colomba, perché compia al suo fianco gesta più adeguate che in quella banale valle, e vigili su di lui.
Davanti alla Chiesa, infine, attende il VECCHIO, figura schiva e losca di reietto: è un minatore solitario, cercatore dell'argento nei boschi, scomunicato come empio perché ladro dei tesori della terra. Per proteggere quei tesori dall'avidità dell'invasore, il Vecchio tenterà di deviarne la marcia dai boschi: ed è disposto a vendere, per ottenere tale scopo, nomi e segreti del paese che lo ha cacciato. Ammutolito dalla lunga solitudine, il Vecchio risponde appena, con frasi mozze e velenose, all'agitata logorrea del Giovane.
GIOVANE (guardando lontano)
Nessuno!
VECCHIO (guardando dentro la Chiesa)
Nessuno!
BAMBINA (alla Colomba)
Nessuno!
GIOVANE
Non arriva ancora nessuno dalla valle. L'armata del Re tarda.
VECCHIO
Qui nel paese non c'è più nessuno. Scappati, come cani.
GIOVANE
Siamo rimasti solo noi, vecchio.
BAMBINA
Siamo rimasti noi, Falcone Bianco, ad aspettare il Re San Giorgio Luminoso.
Quando arriva? Tu lo sai quando arriva, albero zio? Parlami: se stormisci
proprio ora con le fronde, arriverà tra poco. Se taci immobile,
arriverà tra molto. Se questo ramo si spezza e io cado giù,
piangi Falcone, perché non viene più.
GIOVANE
Ci pensi, vecchio? È una pur nobile ambasceria per l'accoglienza:
un boscaiolo accusato di delitto, un cercatore d'argento ripudiato, una
bambina scempia e visionaria. A chi darà ascolto per primo, il grande
Re? Tu cosa implorerai?
VECCHIO
E tu, assassino?
GIOVANE
Io, vecchio cane, implorerò il dono della spada e delle insegne
cristiane sulla cotta che mi concedano di ricacciare in gola quella parola
a te ed a chiunque! Se io abbia ucciso e perché, e da che forze
maledette invaso, solo uno può giudicare per diritto. E colui, che
oramai giunge, io servirò; a lui voterò il mio braccio, e
la spada di cui pietoso vorrà armarlo. E quella spada farà
sgorgare sangue: sangue nemico a Dio ed al suo Re, sangue bastante da lavare
la mia colpa, e avanzare per buona parte delle tue.
VECCHIO
Qui la strada finisce, oltre c'è il bosco. Dove vanno questi
cinghiali armati? Perché marciano a monte, e non a valle, dove abbondano
prede da rapina?
BAMBINA
Tutte le strade finiscono in un bosco. E tutti quelli che stanno camminando,
stanno andando nel bosco. O ne ritornano. La principessa falconiera va
nel bosco, cinque cinghiali cacciatori fanno scorta, sei usignoli araldi,
sette volpi! Falco falco, tu sei la sentinella! Svetta sopra le cime delle
querce: sta giungendo il mio Re?
GIOVANE
Vedi, vecchio? Se la piccola sciocca sogna il Re, e la mia colpa spera
in lui, la tua lo fugge. L'argento impuro che gratti con le unghie ladre
sacrileghe dal cuore della selva, il grigio argento che hai nascosto chi
sa dove pesa ora sul tuo cuore più di un monte. Temi che il Re lo
trovi? Temi che i suoi soldati scavino, frughino il bosco come cani da
tartufi? Non sono forse Guane e Smare, di cui usi favoleggiare, bastanti
cani da guardia?
VECCHIO
Non andate nel bosco, non andate! Cosa ha mai da cercare un Re nel
bosco? State attenti! Ci sono cose che non danno tempo di gridare.
BAMBINA
Invece la principessa griderà: San Giorgio Sire, Deo Gratias,
benedite! Dove andate formiche tutte in fila? Se questa fila di formiche
gira a destra, il Re San Giorgio si fermerà a parlarmi, ed allora
dirò: Re San Giorgio, grande olmo dei racconti, sei bellissimo come
la statua della Pieve!
GIOVANE
Io invece griderò: Spada di Dio, Re Cristiano, prendimi come
soldato penitente! Donami il ferro, donami il terso acciaio colore di questo
cielo! Elmi, cotte, gambali per baluardo; armi brevi, spade e mazze contro
il fante; lunghe alabarde contro i cavalieri... Armi vere, smaglianti nei
mattini, che io possa gettare nel fuoco questo ramo! E con esse combatterò,
sotto il tuo segno, le sante guerre che mondano la colpa.
VECCHIO
Che salvano dal cappio.
GIOVANE
Taci, talpa! Uomo dei buchi, gnomo che fugge il sole! I minatori scomunicati
del Primiero striscino maledetti da chiunque sotto le pietre dove grattano
l'argento, e non mostrino la faccia ladra al cielo! Il ladro vede ladri
attorno a sé: è un Re ladro, che attendi?
VECCHIO
Un Re è ladro, oppure non è Re, la stessa vita è
rapina d'ogni cosa. Questo Re non deve passare dal mio bosco. Nessuno deve
passare, è mala terra! Mille morti conficcate in mille cuori, dietro
ciascuna delle sue mille foglie!
La Bambina grida all'improvviso, indicando lontano. Anche il Giovane, dopo di lei, scruta la valle.
BAMBINA
Guardate, foglie!
GIOVANE
Vedo qualcosa, vecchio...
BAMBINA
Tacete, merli!
GIOVANE
Una polvere che s'alza...
BAMBINA
Inginocchiati, quercia! Sta arrivando!
Musica.
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3. SCENA SECONDA
Ed ecco l'ESERCITO, irto di lance e gonfaloni, che spunta
in fondo alla strada e dilaga nel piano. Azione di suono, coreografie,
trasformazione dello spazio: l'Esercito monta il campo, vengono rizzati
i tre Padiglioni e tracciati i sentieri di fuoco.
Contemporaneamente il Giovane, il Vecchio e la Bambina divengono
Guide, e con l'aiuto dei Paesani del Prologo individuano ciascuno
un gruppo di circa cento spettatori, preparandolo allo spostamento seguente,
che lo condurrà in uno dei tre Padiglioni.
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4. SCENA TERZA
a) Gruppo 1, Padiglione Ovest: la BAMBINA e GIOVANNI
Il gruppo di spettatori individuato come Gruppo 1, condotto dalla
Bambina, giunge nel Padiglione Ovest, occupato da Giovanni di Carinzia.
La Bambina si inginocchia, posa in terra la gabbia con la colomba,
e attende che il pubblico abbia preso posto: quindi, esordisce con entusiasmo.
BAMBINA
Re San Giorgio, grande Sire dei racconti, sei bellissimo come la statua
della Pieve! Io ti saluto ogni sera ai vespri, e la domenica in quel raggio
di sole che cade sempre a ora di messa sull'altare - e come brilla sulla
tua corazza! - e prego sempre così: San Giorgio Re, San Giorgio
Cavaliere, scendi dal tuo altare, e vienimi a trovare! Ed ora finalmente
sei venuto, e sei qui. Guarda, allora! Questa che vedi non è una
colomba, è un falcone che si chiama Roderigo, e io sono una principessa
falconiera. Ti prego, Re di Fiabe con la spada: porta con te il mio falcone,
portalo in guerra, dove trovi ventura più bella che in questa modesta
valle! Portalo in guerra, che protegga le tue spalle! Lo porterai?
GIOVANNI
Solo ieri, madonna forestiera, anche per me le colombe erano falchi,
le spade in legno erano duro acciaio, e le corse nei cortili erano guerra.
Ma ora quel gioco è finito: io sono Cavaliere, e combatto con vero
acciaio vere insidie che minacciano senza tregua gli innocenti. Io non
trasformo in falco una colomba: io sono il falco, e tu sei la colomba.
E ora mio compito non è più giocare, ma combattere per proteggere
il tuo gioco. Dunque ascoltami: non toglierò una colomba a mani
più candide di lei. Ma accetterò, se tu vorrai, un altro
pegno. Torna da me domani mattina all'alba, e portami il più bello
dei tuoi scialli. Sventolerà accanto al mio stendardo nel pieno
della battaglia, e a Dio piacendo te lo riporterò, forse fra molti
anni, tinto col rosso sangue dell'onore. Questo è il dono di dama
che si addice accettare a un Cavaliere. Portami il pegno, madonna forestiera,
ed io combatterò nel nome tuo.
BAMBINA
Uno scialle, Maestà? La mia nonna ne ha uno, non io. È
tessuto di lino delle valli, ed è tinto con succhi dei boschi, non
con sangue. Ma le dirò che è San Giorgio che lo chiede, e
forse me lo darà.
GIOVANNI
Non è San Giorgio che adorna il mio guidone, ma un cuore rosso
spaccato dalla spada. Il mio nome è Giovanni di Carinzia, il più
giovane Cavaliere del Re, e il suo fratello. E la mia spada, che ancora
non ha nome, possa domani spaccare il cuore del nemico, così come
figura il mio stendardo, e lì trovare nome e vittoria. Dio lo voglia!
BAMBINA
Dio lo voglia, Giovanni di Carinzia. Ma allora non sei San Giorgio,
non sei il Re.
GIOVANNI
Non sono né Re né Santo, giovinetta. Son Cavaliere, Cavaliere
d'arme, ed è per te più che bastante onore. Va': attenderò
in veglia d'armi il tuo ritorno.
La Bambina si leva in piedi, raccoglie la sua gabbia, accenna un
rapido inchino del capo - forse soffocando il riso - e infine esce. Il
suo gruppo di spettatori la segue.
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Il Gruppo 2, condotto dal Vecchio, giunge nel Padiglione Est, occupato da Federico di Sporo. Il Vecchio stringe in mano il suo bastone, e in un punto della tenda è poggiata una lancia dalla strana punta ritorta. Il Vecchio si inginocchia e attende che il pubblico abbia preso posto: quindi esordisce.
VECCHIO
Sire Straniero. Ti parla un vecchio che ha gli anni delle querce, e
querce a sole compagne dei suoi pasti. Io so e conosco queste boscaglie
avare più di qualsiasi cervo, e io ti dico: le tue guide non hanno
fatto buon servigio. La strada termina nella Foresta del Primiero. È
lì che vai? E cosa cerca un Re, nella foresta? Odimi: altre ricchezze,
altre prede sono state nascoste, in altra landa. Tu troverai questo paese
vuoto, e deserti i borghi vicini. Ma bestie, stoffe, vini, grano e oro,
tutto ciò che può trasportare braccio o carro, io so dov'è.
Se tu vorrai cambiare il tuo cammino, e ricondurlo dove si addice a un
Re, io ti rivelerò luoghi nascosti.
FEDERICO
Bene: una spia. No, non vociare, vecchio: lungo la strada di un esercito
in cammino i delatori son meno radi delle pietre. E per miglior mercato,
una spia che mena vanto di sapere ciò che si addice a un Re. Odimi,
dunque: io posso prendermi da me ciò che mi offri, donne, bestie,
danaro, anime e corpi. Tuttavia apprezzo, ed accetto i tuoi servigi. E
posso fin da ora assicurarti che non sarò lasciato solo ad apprezzarli.
Tornerai qui da me domani all'alba, con la tua frode pronta nella bocca.
Io farò convocare al mio cospetto quattro notabili anziani del paese.
Davanti a loro ripeterai l'offerta, rivelerai i luoghi nascosti, i nomi,
i beni. Io li confischerò, in nome del Re. Quindi, per compensare
i tuoi servigi, ti lascerò libero, con una parte del bottino, al
centro della piazza del paese. E infine partirò, traverserò
la foresta che proteggi, e troverò il rimanente. È tutto,
vai.
VECCHIO
Duro Re, questo non piacerà alla foresta. Gli esseri oscuri,
le fate minacciose che ne governano le foglie più remote, mi chiederanno
con quale Re ho parlato, quale Maestà dovranno attendere domani.
Cosa dovrò rispondere? Chi sei?
FEDERICO
Le tue minacce, spia, sono sfide dilettevoli al mio cuore. Puoi riferire
alle fate di cui parli che Federico di Sporo, Cavaliere dell'Unicorno,
sarà ben lieto di cimentar la loro forza. Vedi tu quella lancia?
Vedi la punta ritorta, inusitata? Ebbene quello è un corno d'Unicorno,
la cui magia è tenuta per immensa, ben più possente di cento
fate boscaiole. E tuttavia, io rido d'ambedue: e fido in questa.
Federico impugna la spada.
VECCHIO
Federico di Sporo? Cavaliere? Tu dunque non sei il Re?
FEDERICO
Vecchio! L'Unicorno per le tue fate è un Re. La mia spada, in
questo stesso istante, per il tuo collo è un Re. Vuoi udire altro?
No, il Vecchio ha compreso: retrocede ed esce senza inchini, seguito
dal suo gruppo di spettatori.
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c) Gruppo 3, Padiglione Sud: il GIOVANE e VOLKMAR
Il Gruppo 3, condotto dal Giovane, giunge nel Padiglione Sud, occupato
da Volkmar di Stall. Costui ha un tratto inquietante: è muto, e
per lui parla una FANCIULLA-SCUDIERO, con la quale l'uomo vive in una sorta
di simbiosi, portandola legata sulle spalle, come un doppio individuo.
La genesi di questa bizzarria - di cui la scena dà solo una breve
sintesi - verrà narrata per esteso al pubblico nello spettacolo
di Castelpietra.
Il Giovane, con l'arco in mano, si inginocchia, attende che il pubblico
abbia preso posto, quindi esordisce.
GIOVANE
Sire. Perdona se un boscaiolo osa parlarti, e degnati di udire la sua
storia. Ho cuore ardente, e polso che non trema. Vedi quest'arco? Le sue
frecce sanno cogliere un fagiano che si levi a cinquanta passi alle mie
spalle. Colsero per sciagurata furia, ora fa un mese, non uccelli ma carne
battezzata. Ora vago stordito dalla colpa, braccato dai miei simili nel
corpo, e dagli acri rimorsi dentro il cuore. E il cerchio di questi monti
ormai è stretto. Maestà, io bramo il mondo oltre quel cerchio,
la ventura della guerra salvatrice, armi che brillino nei mattini avventurosi,
e che nel sangue lavino i peccati! Portami via, fammi soldato, Re Cristiano:
sarò l'ultimo dei tuoi servi nel riposo, e il primo dei tuoi arcieri
nell'assalto.
Mentre Volkmar guarda fissamente il Giovane, la Fanciulla-scudiero risponde.
VOLKMAR-DONNA
Le strade dell'espiazione, cacciatore, sono lo specchio di quelle della
colpa: lastricate d'orgoglio, e di peccato. Con l'espiazione laviamo via
la nostra colpa: ma cosa ci monderà dall'espiazione? Chi ha ucciso
uccide per purgare il suo delitto; chi caccia il Drago, nemico d'ogni bene,
colui Drago diviene poco a poco. Guardami, uomo! Tu vedi i segni di prove
e di digiuni che nessun altro mortale ha sopportato: e non un grano delle
colpe mie è mai caduto dal suo vaso in cielo. Odimi, allora: se
la tua colpa è il sangue, non lavarla col sangue, ma col fuoco.
Torna da me domani innanzi l'alba. Sei boscaiolo? Porta fascine e rami.
Insieme, avanti un frate di Dio, li incendieremo. Io pregherò per
te, tu danzerai per me sopra quel fuoco. Se sortirai dall'espiazione indenne,
ti prenderò come primo capitano. Se brucerai, rizzerò sulla
tua tomba una cappella. In ambi i casi, per grazia di Dio, sarai mondato.
GIOVANE
Dure parole mi dici, Sire Oscuro. L'orecchio ascolta, la mente non
intende. Ed occhi e orecchie dicono cose differenti. Vedo un Re fiero e
imperioso nello sguardo, ma odo parlare una fanciulla inerme. Chi mi propone
il rogo? Chi sei tu? Quale condanna ti lega mai a costei?
VOLKMAR-DONNA
La condanna del Drago, boscaiolo. Io sono Volkmar di Stall, Cavaliere
della Pietra. Ho combattuto con l'ultimo nemico, ho vinto il Drago. Ho
strappato costei dalle sue spire. Ma la mia voce in quelle spire, per condanna,
è rimasta in ostaggio. E questa fanciulla ora è la mia voce.
Per tal motivo, per liberare lei e me, son condannato a cercare il mio
nemico.
GIOVANE
Io non intendo questi fatti, Cavaliere. Non sei dunque tu il Re?
VOLKMAR-DONNA
Uomo! Colui che combatte il Drago è re di se stesso, e colui
che combatte i fagiani pieghi il capo!
Spaventato, a capo chino, il Giovane retrocede ed esce dal Padiglione,
seguito dal suo gruppo di spettatori.
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5. SCENA QUARTA
Dopo il loro primo incontro coi Cavalieri, i tre gruppi convergono al centro, nella Piazza d'Armi. Qui le Guide si riuniscono, e si portano in luce. Dopo due brevi battute monologate della Bambina e del Vecchio, che narrano dei loro incontri coi Cavalieri, il Giovane estende la sua in una descrizione estatica del Re d'Armi che vagheggia.
BAMBINA
Dove sei, San Giorgio Re, dove cavalchi? La principessa ti cerca e
non ti trova. Trova solo un Cavaliere ragazzino, che non vuole il suo falco,
ma uno scialle. Io non ho scialli, Falcone Bianco, come faccio?
VECCHIO
Bosco, selva propizia, tana oscura! Aiutatemi, potenze delle fonti!
Non c'è traccia del Re. Soltanto uno spietato Cavaliere, che vaneggia
di un cavallo cornuto, e vuole darmi in mano ai miei nemici. Mille morti
su di lui, da mille foglie!
GIOVANE
Ed io ho incontrato un Cavaliere Mostro, che parla con bocca non sua,
e reca una donna avvinta sulla schiena, e vuole darmi libertà su
un rogo! No, ascoltatemi! Il Re che noi cerchiamo non è tale. Non
è simile a questi. Il Re Cristiano è uomo d'acciaio catafratto,
nell'aspetto e nel cuore, senza fallo di debolezza e senza varco, né
al peccato né al ferro. Non veste maglia ma piastra al duro petto,
e spallacci, cosciali, cubitiere, e schinieri e camaglio sotto l'elmo.
E l'elmo è alto, e chiude tutto il capo: il bacinetto tiene la cervice,
e la celata copre il volto nell'assalto. Tanto è grave che poggia
sulle spalle, ed egli lo reca nella marcia appeso al braccio, e lo veste
alla bisogna dello scontro, e infine, vinto il nemico, lo distoglie, e
mostra le chiome d'oro al sole chiaro!
Già durante le ultime battute della tirata armigera del Giovane, alle sue spalle comincia ad apparire Re Carlo, gradualmente mettendo in ombra le tre Guide. Il Re è armato, se non con la corazza "totale" che viene descritta in quell'istante, con elmo e piastra. Nel momento stesso in cui il Giovane, con le sue ultime parole, menziona l'atto, Carlo si toglie l'elmo, scuote il capo, e prende a parlare. Il Giovane, e le altre due Guide, scompaiono del tutto.
CARLO
Sole chiaro, disperdi l'ombra, giorno, vieni!
Metti in fuga la notte artificiosa che si addensa nell'elmo del soldato.
Soffiate arie diverse, vento, vieni!
Disperdi il calore insano prigioniero che infuoca questo scrigno della
testa!
Dammi la fresca verità di questi monti!
Le armi occorrono per conquistare terre.
Desiderio di terre le ha forgiate.
E perché dunque vietano la vista, il profumo, il sentimento
delle terre
che debbono poi donare?
Le guerre occorrono, per conquistare i regni.
I regni son fatti d'uomini e di cose.
Perché le guerre annientano le cose ed uccidono i sudditi dei
regni
che debbono conquistare?
Per avere occorre forse rinunciare?
Conosco le armi e le guerre.
Sono un Re: la mia armatura è più ricca d'ogni altra.
Il danaro pagato per forgiarla darebbe pasto ad un paese per un anno.
Così dev'essere, com'è stato dall'antico.
I capitani che obbediscono al mio cenno son Cavalieri d'Arme.
Quell'arme, meno preziose delle mie, darebbero pane a una valle per
un mese.
Un anno e un mese di pane, d'armi e fame.
Un anno, cent'anni di guerra, ed il paese
che vede passare stuoli irti di ferro,
e mesi aridi di sete e carestie, e la terra si svena, e muore il posto.
Un regno morto sarà la mia vittoria?
Grande Re, hai conquistato il tuo reame?
Ed ora dunque regna. Sulla fame.
Io sono il Re. Ed io comando e voglio
una guerra veloce e passeggera.
Una guerra leggera e pellegrina,
che colpisca come il tuono alla mattina dove è protervia,
e sparisca alla sera come il vento,
lasciando ai vinti lievito bastante
a fomentare la vita,
la pazienza,
il muto germogliare,
il mite affanno che basta ad ogni giorno.
Finisca prima che finisca l'anno.
E alla fine possa io guardarmi intorno,
veder qualcosa di cui dire: "Questo è mio".
Chinare il capo, e ringraziare Dio.
Tu, Aquila del blasone! Vola in alto!
Più in alto del coraggio sanguinario,
più sù del volo della vittoria alata
che vola sulla terra desolata!
Là forse troverai landa del cielo
novissima, dove alberga novissimo coraggio
e diverso da codesto belluino,
ed abbia luogo cosa mai vista e mai udita:
un Re che ami conquista
e insieme vita.
Ques'ultima strofa del monologo di Carlo può accompagnare
un eventuale Volo Portentoso (razzo pirotecnico?). I gruppi cambiano
le guide, si separano, tornano ai Padiglioni.
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6. SCENA QUINTA
a) Gruppo 1, Padiglione Est: il GIOVANE e FEDERICO
Il Gruppo 1, condotto ora dal Giovane, giunge nel Padiglione Est,
occupato da Federico di Sporo.
Il quesito di ogni Guida, da qui in poi, sarà riformulato
identico ad ogni nuovo Cavaliere: lo scambio dei gruppi, infatti, fa in
modo che questo testo non venga mai sentito due volte.
Il Giovane si inginocchia col suo arco, attende che il pubblico
abbia preso posto, quindi esordisce.
GIOVANE
Sire. Perdona se un boscaiolo osa parlarti, e degnati di udire la sua
storia. Ho cuore ardente, e polso che non trema. Vedi quest'arco? Le sue
frecce sanno cogliere un fagiano che si levi a cinquanta passi alle mie
spalle. Colsero per sciagurata furia, ora fa un mese, non uccelli ma carne
battezzata. Ora vago stordito dalla colpa, braccato dai miei simili nel
corpo, e dagli acri rimorsi dentro il cuore. E il cerchio di questi monti
ormai è stretto. Maestà, io bramo il mondo oltre quel cerchio,
la ventura della guerra salvatrice, armi che brillino nei mattini avventurosi,
e che nel sangue lavino i peccati! Portami via, fammi soldato, Re Cristiano:
sarò l'ultimo dei tuoi servi nel riposo, e il primo dei tuoi arcieri
nell'assalto.
FEDERICO
Un cacciatore, dunque: mi compiaccio. Sai tu come si caccia l'Unicorno?
Odimi: non v'è cane, non v'è rete, non v'è caccia
regale, arco o balestra che possano mai fermare quel cavallo. Un unico
incantesimo lo vince: una fanciulla, vergine per certo, che sieda sotto
un albero cantando, e tessendo pensieri amorosi. L'Unicorno sente la vergine
da lungi, e corre mite, e poggia il capo e il corno nel suo grembo, ed
ella gli scopre il seno, e prendon gioco. Allora, e solo allora, i cacciatori,
con reti e funi accorrendo, fanno preda. Ora ascolta la mia sentenza, ed
obbedisci. Portami qua, domani a prima luce, una fanciulla vergine a te
nota. Portami cani, reti, cacciatori. Faremo caccia: se è caccia
fortunata verrai con me come primo cacciaguida, e la fanciulla ritornerà
al paese. Se invece l'Unicorno eluderà, sarai tu a ritornare nei
tuoi boschi, preda ai tuoi cacciatori. E la fanciulla verrà con
me. È tutto, vai.
GIOVANE
Vado, Sire. La prova è dura, e tuttavia la sosterrò.
Ma oso chiedere: chi mi comanda questa caccia? Di fronte a che Maestà
ho chinato l'arco?... Chi sei?
FEDERICO
Chi sono? Puoi dire alla fanciulla tremebonda che servirà Federico
di Sporo, Cavaliere dell'Unicorno, lancia del Re. Vedi la lancia? Vedi
la punta ritorta, inusitata? Ebbene quello è un corno d'Unicorno,
pagato con molto sangue e molto oro. Quando cavalco contro l'avversario,
cavaliere e cavallo e corno insieme ricompongono il Mostro, ed il nemico
cade senza scampo davanti all'Unicorno Cavaliere.
GIOVANE
Cavaliere? Non sei dunque tu il Re?
FEDERICO
Servo! L'Unicorno per i vostri muli è un Re. La mia lancia per
il tuo arco è un Re. È necessario che ti dica altro?
No, il Giovane ha compreso: chinando il capo, retrocede ed esce,
seguito dal suo gruppo di spettatori.
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Il Gruppo 2, condotto ora dalla Bambina, giunge nel Padiglione Sud, occupato da Volkmar di Stall. La Bambina si inginocchia con la sua gabbia, attende che il pubblico abbia preso posto, quindi, esordisce con entusiasmo.
BAMBINA
Re San Giorgio, grande Sire dei racconti, sei bellissimo come la statua
della Pieve! Io ti saluto ogni sera ai vespri, e la domenica in quel raggio
di sole che cade sempre a ora di messa sull'altare - e come brilla sulla
tua corazza! - e prego sempre così: San Giorgio Re, San Giorgio
Cavaliere, scendi dal tuo altare, e vienimi a trovare! Ed ora finalmente
sei venuto, e sei qui. Guarda, allora! Questa che vedi non è una
colomba, è un falcone che si chiama Roderigo, e io sono una principessa
falconiera. Ti prego, Re di Fiabe con la spada: porta con te il mio falcone,
portalo in guerra, dove trovi ventura più bella che in questa modesta
valle! Portalo in guerra, che protegga le tue spalle! Lo porterai?
VOLKMAR-DONNA
Le mie spalle, bambina? Come vedi sono ingombre d'altro peso. Ma tu
che puoi, sgombra gli occhi dall'orrore. Perché bramare la crudeltà
del falco, finché ti è lecito godere la colomba? Il mondo
è pieno di Mostri, Mostro esso stesso. Non chiamare falcone la colomba,
non chiamare Re e Santo un condannato. Guardami! Sai perché mostro
una pietra come emblema? Perché lungo la strada dell'orrore, per
vincerlo e distruggere i suoi servi, quando non basti più spada
né picca, con una pietra io schianto i miei nemici! Dunque la tua
colomba resti tale, resti tra mani più candide di lei. Io non la
macchierò con queste mie, sporche del sangue gelido del Drago. Accetterò
invece, se vorrai farlo, un altro dono: portami, domani all'alba, l'acqua
pura in cui destandoti ti sarai lavata il viso. E consentimi di lavarvi
queste mani. Dopo, gettala via: vai nella Pieve, inginocchiati davanti
al tuo San Giorgio, e prega a lungo per me.
BAMBINA
Per chi, Messere? Per quale mai dei due? Io vedo un falco e vedo una
colomba. Il primo tace, l'altra parla con lingua di rapace. Chi sei tu,
Re? Quale condanna ti lega mai a costei?
VOLKMAR-DONNA
La condanna del Drago, colombella. Io sono Volkmar di Stall, Cavaliere
della Pietra. Ho combattuto con l'ultimo nemico, ho vinto il Drago. Ho
strappato costei dalle sue spire. Ma la mia voce in quelle spire, per condanna,
è rimasta in ostaggio. E questa fanciulla ora è la mia voce.
Per tal motivo, per liberare lei e me, son condannato a cercare il mio
nemico.
BAMBINA
Io non intendo ciò che dici, Cavaliere. Però intendo
che tu non sei San Giorgio, e neanche il Re.
VOLKMAR-DONNA
Non sono né Re né Santo, giovinetta. Io sono un Drago
che combatte un altro Drago. E dunque va', finché puoi farlo salva.
La Bambina si leva in piedi, raccoglie la sua gabbia, accenna un
rapido inchino del capo, lancia un ultimo lungo sguardo al Cavaliere, e
infine esce. Il suo gruppo di spettatori la segue.
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c) Gruppo 3, Padiglione Ovest: il VECCHIO e GIOVANNI
Il Gruppo 3, condotto ora dal Vecchio, giunge nel Padiglione Ovest, occupato da Giovanni di Carinzia. Il Vecchio si inginocchia col suo bastone, attende che il pubblico abbia preso posto, quindi esordisce.
VECCHIO
Sire Straniero. Ti parla un vecchio che ha gli anni delle querce, e
querce a sole compagne dei suoi pasti. Io so e conosco queste boscaglie
avare più di qualsiasi cervo, e io ti dico: le tue guide non hanno
fatto buon servigio. La strada termina nella Foresta del Primiero. È
lì che vai? E cosa cerca un Re, nella foresta? Odimi: altre ricchezze,
altre prede sono state nascoste, in altra landa. Tu troverai questo paese
vuoto, e deserti i borghi vicini. Ma bestie, stoffe, vini, grano e oro,
tutto ciò che può trasportare braccio o carro, io so dov'è.
Se tu vorrai cambiare il tuo cammino, e ricondurlo dove si addice a un
Re, io ti rivelerò luoghi nascosti.
GIOVANNI
Vecchio! La metà sola dei tuoi detti muoverebbe la mano d'un
Cavaliere all'elsa irata. E anch'io dovrei impartire equo castigo a tanta
sfrontatezza. Osi insegnare a un Re il suo cammino? E qual'è il
tuo? Cosa nascondi in quella tua foresta, che tanto brami stornarne i nostri
passi? Colpe? Delitti? Cose che debba celare a un Cavaliere? Ed osi al
segno da imbandir mercato? Guardami! Non stai parlando a un avido beccaio,
stalle e dispense non sono affare mio. Io scambio un altro genere di merce:
do morte o vita, e cerco onore e fama. E tu medesimo ne stai facendo prova,
dal momento che non recido la superbia e la tua testa insieme. Ma pagherai
altro genere di pegno: tornerai qui da me domani all'alba, recando cento
primogeniti fanciulli, del tuo paese e delle campagne affini, e qui davanti
a me, e alla mia spada, li ribatezzerai tu stesso col mio nome. È
tutto, vai.
VECCHIO
Giovane Sire ardente, dammi venia. Non conosco fanciulli, e i loro
padri, quando mi vedono mi cacciano a sassate. Chi mi comanda un'impresa
così ostile? Che nome vuoi sprecare in quel paese? Chi sei tu, Re?
GIOVANNI
La tua protervia sfida ogni pazienza, vecchio ostinato: tuttavia, il
quesito è legittimo, e lo soddisferò. Il mio nome è
Giovanni di Carinzia, il più giovane Cavaliere del Re, e il suo
fratello. E la mia spada, che ancora non ha nome, possa domani spaccare
il cuore del nemico, e lì trovare nome e vittoria insieme. Dio lo
voglia!
VECCHIO
Dio lo voglia, Giovanni di Carinzia. Ma dimmi: dov'è alloggiato,
dunque, tuo fratello? Dov'è il Re?
GIOVANNI
Vecchio! Non ti è dunque bastato il mio parlare? Non ti è
parsa regale la clemenza? Vuoi cimentare se sia regale l'ira? Bada!
Giovanni, finalmente, mette mano alla spada. Spaventato, il Vecchio
esce correndo scompostamente e senza inchini, seguito dal suo gruppo di
spettatori.
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7. SCENA SESTA
I tre gruppi convergono nuovamente nella Piazza d'Armi, dove ancora si radunano in luce le Guide. A due brevi battute monologate del Giovane e della Bambina, che riassumono i loro incontri coi Cavalieri, segue quella del Vecchio, che si estende in una descrizione torva del Re d'intrighi che paventa.
GIOVANE
Ed ora che farò? Cerco un Re savio che mi salvi dalla caccia,
e trovo un Cavaliere cacciatore, che usa fanciulle vive come esca. E le
prove si aggiungono alle prove, e roghi a cacce spietate, ad oscurare la
mia alba di domani. Il Re solo oramai può darmi grazia, con un unico
gesto, di queste nuove minacce e delle antiche. Debbo trovarlo presto,
o morirò.
BAMBINA
Hai visto, Falco? Un Cavaliere con due teste mi ha chiesto acqua per
lavarsi quattro mani, perché con quelle mani ha vinto un drago.
Anche San Giorgio ha vinto un drago, ma quando arriva avrà una testa
sola, e sarà bella, e bionda di capelli. Vedi, Falcone Bianco? Come
me.
VECCHIO
Possa quest'altro stolto Cavaliere dalla superbia sprofondare nella
tomba prima dell'alba in cui m'ha dato appuntamento! Questo infante che
gioca con la spada, che rifiuta doni e ricchezze e chiede nomi! Si dice
fratello del Re, ma quale Re?... Un Re di bovi dementi, vestiti di ferro,
accecati dalle loro stesse spade... Lo scettro non è una spada,
è una bilancia: è strumento d'astuzia e di conquista, d'intrigo
e di mercato e di rapina. Re è colui che sa accrescere il suo regno
con ogni mezzo adatto alla bisogna: guerre feroci a genti grasse e miti,
paci avvedute con vicini minacciosi, matrimoni con dinastie ricche e morenti,
decime al sole e rapine nella notte. Dare ed avere, e possedere tutto!
I grandi fronteggiano i grandi nell'intrigo, non perdono tempo in sogni
vani, io li vedo! Con la sola bilancia del potere pesano i popoli, mercanteggiano
le sorti, e le terre, e le case, e le foreste. Cambiano i mondi, con un
segno delle teste!
Dalle parole "I grandi fronteggiano i grandi...", pronunciate dal Vecchio, Carlo e Margherita cominciano ad apparire alle sue spalle. I due grandi si fronteggiano a cavallo, gradualmente la luce e l'attenzione passa a loro, i tre paesani scompaiono, i due si scambiano un cenno con le teste, e ha inizio il dialogo.
CARLO
Contessa del Tirolo, vi saluto.
MARGHERITA
Sire di Lussemburgo, vi son schiava.
CARLO
Siete salita a queste solitudini per recare le nuove che attendo, o
ad altro scopo?
MARGHERITA
Occorrono due ali parimenti alla colomba e all'aquila, Maestà:
o il cielo sarebbe un deserto senza voli. Due scopi mi conducono da voi.
CARLO
Nominatemi il primo.
MARGHERITA
Non siate crudele con me.
CARLO
Nominatemi il secondo.
MARGHERITA
Sarà più facile: Belluno è in mano nostra. L'ambasceria
segreta è andata a segno. Endrighetto da Bongajo, Vicario degli
Scala, spalancherà le porte innanzi a voi, se voi vi presenterete
innanzi ad esse con stuolo d'armi adeguato. Questa pare la sua sola condizione,
affinché sia plausibile la resa agli occhi dei sovrani che tradisce.
CARLO
Potete dire al Vicario fin da ora che la sua condizione è soddisfatta.
Lo stratagemma della giostra è andato a segno: i Cavalieri sono
accorsi ad Egna come mosche sul miele dell'onore. Volkmar di Stall, da
solo, vi ha condotto quaranta cavalieri e quattrocento fanti bene armati.
Come vedete, l'esercito c'è.
MARGHERITA
E mio marito?
CARLO
Mio fratello Giovanni di Carinzia ha il comando della mia guardia personale.
MARGHERITA (ridendo con sarcasmo)
Il comando, Maestà?
CARLO
Non siate ingiusta! Se avete un marito fanciullo, di tal caso egli
porta minor colpa che noi due! E ne sappiamo la ragione. Resta inteso che
il vero comando è in mano mia, e se accadesse mai uno scontro in
armi, Giovanni sarà guardato da una scorta, segreta a lui e a chiunque.
MARGHERITA (ancora con sarcasmo)
Che io non debba restare vedova anzi il tempo...
CARLO
Contessa!
MARGHERITA
Perdonatemi, Maestà: il fiume rompe, e parlo con bocca non mia.
Mai infatti, per mia bocca e di mio cuore, augurerei la morte ad un ragazzo.
CARLO
Margherita, cosa stiamo costruendo? Serve a qualcosa regnare sulle
terre, se ci strappiamo noi stessi dalle mani lo scettro del nostro cuore?
MARGHERITA
Ora sei tu che rompi i sigilli del silenzio...
CARLO
Il solo sigillo che il mio cuore riconosce è quello che tu vi
hai impresso col tuo morso! Da allora i giorni non sono che falene che
volano intorno a un lume incandescente.
MARGHERITA
E il lume è torcia che avvampa controvento. Ma non ti brucerà:
fiamma e farfalle volano un volo solo, verso una sola meta:...
Da qui il dialogo drammatico rompe, passando ad un "duetto" di monologhi intrecciati.
CARLO e MARGHERITA
... qui, nel buio.
MARGHERITA
In questa notte madre degli incendi.
CARLO
In queste guerre dove le spade son carezze.
MARGHERITA
Per conquistare regni di carezze.
CARLO e MARGHERITA
Che a ogni alba perdiamo.
CARLO
Camminavo una strada senza ombra, ogni passo era segnato dal destino,
il destino dei re. Ma le notti erano febbre di domande: dove vai, Re Ragazzo?
Alla vittoria. E dove va la vittoria? Alla conquista. E dove va la conquista?
MARGHERITA
Qui, nel buio. Coltivavo un giardino d'ambizioni, trame, poteri, patti,
confidenze. La mia bellezza era l'albero di mele che scoppiava di promesse
nel suo centro. Ma intorno ad esso il giardino rigoglioso oramai s'estenuava
in labirinto, e dov'era l'uscita?
CARLO e MARGHERITA
Qui, nel buio.
CARLO
Ed ora i giorni sono destrieri ardenti, ogni cosa è se stessa
nel bagliore: le montagne che guardo e che conquisto, le armi scintillanti
nei mattini, le aspre avversità, i forti rimedi, e al centro di
questo teatro io, il Re. Ma basta il canto inatteso d'un uccello ed il
teatro crolla su se stesso, io non sono più io, la guerra è
nulla, questo gioco dei regni è vento vano.
MARGHERITA
Allora un gioco diverso prende il volo, fatto di notti più buie,
di occhi accesi, caldi segreti e frasi di bambini, miele ed inferni in
un incendio solo. Non c'è mai stato uomo né donna in questo
mondo fuori di me e di te! Non c'è altro mondo che valga un solo
sguardo, fuori di quello racchiuso in un abbraccio! Io voglio vivere lì,
dicono i cuori.
CARLO
Ma giunge l'alba, e ce ne scaccia fuori.
MARGHERITA
E i cavalli del giorno appassionato...
CARLO e MARGHERITA
... mi rapiscono via,...
CARLO
... verso le guerre, l'ardore, il repentaglio, che mi possiedono come
nuovi amanti. E in questo travaglio chiedo:...
CARLO e MARGHERITA
... qual'è il mondo?
MARGHERITA
Qual'è la verità? La luce o il buio?
CARLO
La nostra guerra o il nostro amore?
MARGHERITA
Quale di questi due specchi è ombra all'altro?
Il "duetto" passa nuovamente al dialogo drammatico, i due attori si rivolgono di nuovo l'uno all'altro.
CARLO
Contessa, se v'è risposta a questo enigma, è celata nei
giorni.
MARGHERITA
O nelle notti.
CARLO
In ambedue, indissolubilmente. Come due spade che si scontrino con
furia, e il colpo è uno, né si può dire chi lo meni.
MARGHERITA
O due bocche che si incontrino in un bacio, e il bacio è uno,
e nessuno ne è padrone.
CARLO
Contessa, non domandiamo dunque al giorno le ragioni della notte.
MARGHERITA
Maestà, voi siete il Sire dei miei giorni, e l'uomo delle mie
notti.
CARLO
Giorni con notti: questa è la nostra via.
MARGHERITA
Giorni con notti, con voi la seguirò.
I due si abbracciano. Buio su di loro.
Luce sui gruppi, che cambiano le guide, si separano, tornano ai
Padiglioni.
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8. SCENA SETTIMA
a) Gruppo 1, Padiglione Sud: il VECCHIO e VOLKMAR
Il Gruppo 1, condotto ora dal Vecchio, giunge nel Padiglione Sud, occupato da Volkmar di Stall. Il Vecchio si inginocchia col suo bastone, attende che il pubblico abbia preso posto, quindi esordisce.
VECCHIO
Sire Straniero. Ti parla un vecchio che ha gli anni delle querce, e
querce a sole compagne dei suoi pasti. Io so e conosco queste boscaglie
avare più di qualsiasi cervo, e io ti dico: le tue guide non hanno
fatto buon servigio. La strada termina nella Foresta del Primiero. È
lì che vai? E cosa cerca un Re, nella foresta? Odimi: altre ricchezze,
altre prede sono state nascoste, in altra landa. Tu troverai questo paese
vuoto, e deserti i borghi vicini. Ma bestie, stoffe, vini, grano e oro,
tutto ciò che può trasportare braccio o carro, io so dov'è.
Se tu vorrai cambiare il tuo cammino, e ricondurlo dove si addice a un
Re, io ti rivelerò luoghi nascosti.
VOLKMAR-DONNA
Vecchio reietto che tradisci i tuoi consorti, a male orecchie oggi
hai posto il tuo mercato! Tu vuoi stornare la mia via dalla foresta? Sappi
che quel che cerco ha le foreste come nera dimora, e nelle aule più
segrete vi si torce. Se tu conosci quelle aule come dici, allora lo saprai:
v'è un ente immondo, un abominio in forma numerosa, generato dal
male originale, custode di tesori e di peccati, primo nemico di ogni Cavaliere.
Se uno di tali esseri è celato nella Foresta di Primiero che menzioni;
se di costui tu ti sei reso schiavo, come talvolta accade a uomini vili;
se vuoi stornare la mia spada dalla cerca per proteggere tale padrone,
allora odi. Domani all'alba noi partiremo soli. Mi condurrai nei recessi
più segreti della foresta che dici di sapere. Mi mostrerai ciò
che nasconde agli occhi. Se non è quel che cerco, intendi vecchio:
la tua foresta rischiarerà la notte come un sole d'incendi. Ti attendo,
vai.
VECCHIO
Doppio Re, chi mai dovrò obbedire? Chi mi comanda di violare
i miei segreti? Re o Regina? Nella foresta che minacci di incendiare ho
visto segni e portenti d'ogni specie, ma mai l'uguale a questo. Chi sei,
tu? Quale condanna ti lega mai a costei?
VOLKMAR-DONNA
La condanna del Drago, vecchio stolto. Io sono Volkmar di Stall, Cavaliere
della Pietra. Ho combattuto con l'ultimo nemico, ho vinto il Drago. Ho
strappato costei dalle sue spire. Ma la mia voce in quelle spire, per condanna,
è rimasta in ostaggio. E questa fanciulla ora è la mia voce.
Per tal motivo, per liberare lei e me, son condannato a cercare il mio
nemico.
VECCHIO
Cavaliere? Non è dunque ancora il Re, che mi comanda?
VOLKMAR-DONNA
Chi è condannato a cercare il Drago, vecchio giuda, non conosce
altro re che la sua cerca. E né la propria morte né l'altrui
per lui valgono un asse. Stai attento!
Persuaso dalla minaccia, il Vecchio esce senza inchini, seguito dal
suo gruppo di spettatori.
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b) Gruppo 2, Padiglione Ovest: il GIOVANE e GIOVANNI
Il Gruppo 2, condotto ora dal Giovane, giunge nel Padiglione Ovest, occupato da Giovanni di Carinzia. Il Giovane si inginocchia col suo arco, attende che il pubblico abbia preso posto, quindi esordisce.
GIOVANE
Sire. Perdona se un boscaiolo osa parlarti, e degnati di udire la sua
storia. Ho cuore ardente, e polso che non trema. Vedi quest'arco? Le sue
frecce sanno cogliere un fagiano che si levi a cinquanta passi alle mie
spalle. Colsero per sciagurata furia, ora fa un mese, non uccelli ma carne
battezzata. Ora vago stordito dalla colpa, braccato dai miei simili nel
corpo, e dagli acri rimorsi dentro il cuore. E il cerchio di questi monti
ormai è stretto. Maestà, io bramo il mondo oltre quel cerchio,
la ventura della guerra salvatrice, armi che brillino nei mattini avventurosi,
e che nel sangue lavino i peccati! Portami via, fammi soldato, Re Cristiano:
sarò l'ultimo dei tuoi servi nel riposo, e il primo dei tuoi arcieri
nell'assalto.
GIOVANNI
Cinquanta passi, dici, boscaiolo? E voltato? Mirabile prontezza, se
non menti. Ho udito Cavalieri d'alto rango affermare d'aver forato con
la lancia, a galoppo sfrenato, l'ala di una farfalla sopra un fiore; d'aver
passato nove querce con un colpo; d'aver colto impossibili bersagli. Non
è lecito, o lo è a rischio di morte, dubitare di ciò
che dice un Cavaliere. Ma tu Cavaliere non sei. Non è lecito a un
Cavaliere cimentarsi con un vile paesano. Ma è lecito ai suoi soldati.
Odimi: tornerai qui domani all'alba, con arco, frecce, ed un fagiano vivo.
I miei servi leveranno quell'uccello a cinquanta passi da te, alle tue
spalle. Al fianco tuo ci sarà il mio miglior arciere, e tirerete.
Io sarò arbitro: se coglierà il bersaglio la tua freccia,
prenderai il posto del mio arciere, e lui il tuo. Se coglierete entrambi,
avrò allora due nuovi capitani. Ma se il fagiano cadrà colto
dal mio uomo, tu morirai, per avere millantato. È tutto, vai.
GIOVANE
Vado, Sire. Domani all'alba dovrò al mio braccio la morte o
la fortuna. Ma qui, adesso, a chi devo questa prova? Qual'è il Re
che mi comanda? Chi sei tu?
GIOVANNI
Ti è lecito domandarlo, boscaiolo, perché tu sappia chi
lodare o maledire. Il mio nome è Giovanni di Carinzia, il più
giovane Cavaliere del Re, e il suo fratello. E la mia spada, che ancora
non ha nome, possa domani spaccare il cuore del nemico, così come
figura il mio stendardo, e lì trovare nome e vittoria insieme. Dio
lo voglia!
GIOVANE
Dio lo voglia, Messere di Carinzia. Ma dunque sei Cavaliere? Non sei
il Re?
GIOVANNI
Sono colui che ha bastante imperio sul tuo braccio da armarlo con acciaio
prezioso, o da fermarlo per sempre nel riposo.
Giovanni distoglie la sua attenzione dal Giovane, che lo guarda ancora
per qualche tempo, quindi esce inchinandosi, seguito dal suo gruppo di
spettatori.
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c) Gruppo 3, Padiglione Est: la BAMBINA e FEDERICO
Il Gruppo 3, condotto ora dalla Bambina, giunge nel Padiglione Est, occupato da Federico di Sporo. La Bambina si inginocchia con la sua gabbia, attende che il pubblico abbia preso posto, quindi esordisce con entusiasmo.
BAMBINA
Re San Giorgio, grande Sire dei racconti, sei bellissimo come la statua
della Pieve! Io ti saluto ogni sera ai vespri, e la domenica in quel raggio
di sole che cade sempre a ora di messa sull'altare - e come brilla sulla
tua corazza! - e prego sempre così: San Giorgio Re, San Giorgio
Cavaliere, scendi dal tuo altare, e vienimi a trovare! Ed ora finalmente
sei venuto, e sei qui. Guarda, allora! Questa che vedi non è una
colomba, è un falcone che si chiama Roderigo, e io sono una principessa
falconiera. Ti prego, Re di Fiabe con la spada: porta con te il mio falcone,
portalo in guerra, dove trovi ventura più bella che in questa modesta
valle! Portalo in guerra, che protegga le tue spalle! Lo porterai?
FEDERICO
Lo porterò, bambina mentitrice. Sarà cimiero alato alle
mie imprese: con il biancore dell'innocenza disperata confonderà
il cuore dei nemici: e il corno della lancia farà il resto. Conosci
la forza magica dei segni? Bene, se ami le fiabe, ascolta questa. Vive
in Arabia un alto destriero ardito, maggiore ad ogni destriero per grandezza.
Ha forza pari a dieci leoni etiopi, e reca un corno ritto sulla fronte,
capace di passare tre elefanti. Alla sua base è una pietra smeraldina,
di luminoso e ineguagliabile splendore. Quel destriero ha nome Unicorno,
e a parlar breve, il segno della sua forza è mio possesso. Dunque
portami qui, domani all'alba, questa colomba che tu chiami falcone, impagliata
a perfezione da un artiere. Ordinerò all'orefice di corte di incastonare
nei suoi occhi due smeraldi, di chiudere le fragili zampe in staffe d'oro,
e di inchiodarle sul mio elmo da battaglia. Avrò insieme la purezza
e la ferocia: nulla mi fermerà.
BAMBINA
Impagliata, Maestà?... Inchiodata all'elmo?... Chi sei? Tu non
puoi essere San Giorgio. San Giorgio non uccide il mio falcone.
FEDERICO
La tua colomba adornerà il cimiero a Federico di Sporo, Cavaliere
dell'Unicorno, lancia del Re. Vedi la lancia? Vedi la punta ritorta, inusitata?
Ebbene quello è un corno d'Unicorno, pagato con molto sangue e molto
oro. Quando cavalco contro l'avversario, cavaliere e cavallo e corno insieme
ricompongono il Mostro, e il mio nemico cade senza scampo. Una colomba
completerà l'emblema. È tutto, vai.
BAMBINA
No, tu non sei San Giorgio, uomo crudele. Non sei neppure Re: sei Cavaliere.
FEDERICO
Attenta, principessa falconiera! Già ti ho prestato orecchio
troppo a lungo. Nel mio cimiero campeggerà imbalsamata la tua colomba
o la tua testa: scegli tu.
Scura in volto, la Bambina raccoglie la sua gabbia, accenna un inchino,
esce seguita dal suo gruppo.
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9. SCENA OTTAVA
I tre gruppi convergono per l'ultima volta nella Piazza d'Armi. Stavolta solo la Bambina si fa in luce, guardandosi intorno per cercare gli altri due, che non appariranno.
BAMBINA
Dove siete? Cercatori del Re, dove siete? Avete lasciato la cerca?
Siete fuggiti nei boschi, come gli altri? Bene, io starò qui. Resta
anche tu, falcone Roderigo: mai nulla al mondo ci farà alcun male,
finché San Giorgio dimora in questa valle.
Carlo appare alle sue spalle e dialoga con lei, che non pare per nulla stupita del prodigio.
CARLO
Dici bene, bambina, nulla al mondo.
BAMBINA
Ti ho cercato, Re Santo Cavaliere, ma lo sapevo che mi trovavi tu.
CARLO
Cosa vuoi dirmi?
BAMBINA
Gli altri due cercatori son fuggiti.
CARLO
Non mi avrebbero incontrato, in ogni modo.
BAMBINA
Questo è un falcone.
CARLO
Lo vedo.
BAMBINA
È Roderigo. Vola nel cielo al mio comando, e caccia e torna.
CARLO
Cosa caccia?
BAMBINA
Colombe, e pipistrelli.
CARLO
Buona preda. Guarda, invece: questa è la mia aquila imperiale.
Carlo mostra l'aquila ricamata nel suo blasone.
BAMBINA
La vedo. E caccia?
CARLO
Caccia regni e città.
BAMBINA
Io voglio regalarti il mio falcone, ti cercavo per questo.
CARLO
E perché vuoi donarmelo, bambina?
BAMBINA
Perché con te compia più degne imprese di quante possa
in questa mite valle. Perché ti segua, e guardi le tue spalle.
CARLO
È un bel dono, forse l'accetterò.
BAMBINA
Tu non dirai che è una colomba, vero?
CARLO
Ascoltami: hai parlato ai miei Cavalieri?
BAMBINA
Sì. Quello matto con due teste, quello che voleva uno scialle,
e lo spietato.
CARLO
Sì, loro tre. Cosa hanno visto: un falco o una colomba?
BAMBINA
Una colomba, e mi hanno mandata via.
CARLO
E i tuoi amici, i Cercatori del Re? Cosa vedono loro?
BAMBINA
Una colomba, ma ora son fuggiti.
CARLO
Lascia che gli uni fuggano, e gli altri inseguano, allora. Si chiedono
cosa voglia dire il mondo, e non sanno vedere. Noi due staremo qui, faremo
altro. Ci chiederemo cosa vogliamo noi che il mondo dica. E il mondo lo
dirà. Non è così?
BAMBINA
Io voglio dire che questo è il mio falcone, e che tu sei San
Giorgio, e che lo accetti. E tu cosa vuoi dire?
CARLO
Io voglio dire che sarò un Re potente, e che conquisterò
terre e città.
BAMBINA
Ed accadrà?
CARLO
Se tu dici che sono San Giorgio, accadrà.
BAMBINA
Se accetterai questo falcone, lo dirò.
CARLO
Se accetterai un dono da me, l'accetterò.
BAMBINA
Cosa mi vuoi donare?
CARLO
La mia aquila.
BAMBINA
Dammela adesso.
CARLO
Eccola, è tua. E ora dammi tu il tuo falcone.
BAMBINA
Eccolo, è tuo.
Carlo porge alla Bambina il suo stendardo, e la Bambina apre la gabbia e libera nel cielo la colomba. Una luce la insegue nel suo volo, e altri prodigi visivi manifestano il volo dell'aquila.
CARLO
Tu e la tua gente siete esentati da ogni prova, da ogni pegno o comando
che da chiunque, nella mia armata, vi sia stato impartito, in qualsivoglia
nome o potestà. Il Re lo afferma. Ora va', principessa falconiera.
Chiama le cose coi nomi che tu vuoi, e loro verranno.
BAMBINA
Abbi cura del mio falcone. Addio.
CARLO
Addio.
Musica e fine.
IL CAST
Attori
Carolina Baggi, Francesca Ballico, Miriam Bardini, Enzo Cecchi, Elena
Chiaravalle, Carla Chiarelli, Renzo Corona, Carlo Gabardini, Susanne Galfredi,
SIlvana Gasperini, Camilla Lombardo, GIovanni Lorenzi, Cristina Molinari,
COmasia Palazzo, Paolo Panbianco, Patrizia Panizza, Maurizio Shmidt, Giovanbattista
Storti, Elisabetta Vergani, Marco Zappalaglio
I Borseus, il Gruppo dei Colibrì, Il popolo di Cavalese
Testo di BRUNO TOGNOLINI
Soggetto di MONICA MAIMONE
Regista assistente MARCO ZAPPALAGLIO
Ideazione luci FERRUCCIO BIGI
Ideazione costumi ANNA CARNELLI
Una produzione TRAFESTI
Regia e ideazione scenica di MONICA MAIMONE e VALERIO FESTI
Indice
Indice Castelli
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