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Silvia Vecchini e Bruno Tognolini
CANTI DELL'INIZIO
CANTI DELLA FINE

Illustrazioni di Giulia Orecchia
Cartonato, 64 pagine, 13,8 x 19,4 cm, € 16.00

  in libreria da ottobre 2024
Come inizia, come finisce
un GELATO, la SCUOLA, il TEATRO, l'APPARECCHIO, il BAGNO IN MARE?

E come sarà l'inizio e la fine
di ME, di una VACANZA, di un CONFINE, dell'INFANZIA, di una MATITA?

Come inizierà mai, come finirà mai
un LITIGIO, una GARA, un PIANTO, il SONNO, il GIORNO?

E quale sarà l'inizio e quale la fine
della PIOGGIA, di una CASA, di una STORIA, del GIOCO?

E l'inizio e la fine dell'INIZIO e della FINE?



  • Il semìno del libro
  • Inizi e fini
  • Postfazione di Bruno
  • Postfazione di Silvia
  • Il frisby
  • I Topipittori e Giulia
  • Chi ha scritto cosa?
  • Assaggi



  • IL SEMÌNO DEL LIBRO Il semìno di questo libro è una cena.
    Parlavo con Silvia Vecchini, in una bella cena del Festival Tuttestorie, ottobre 2023.
    Chiacchiere, racconti, ricordi. Approdammo, parla parla, agli scout.
    Anche tu? - Sì! Anche tu?
    Da lì ai campeggi. Da lì ai canti. Ne ricordammo alcuni, riconoscendoli, ridendo.
    E quelli della fine del campeggio? Com'erano tristi, com'erano belli.
    Uno faceva: "È l'ora dell'addio, fratelli, è l'ora di partir..."
    Sììì!...
    E via qualche nota insieme.
    E poi faceva: "Ma noi ci rivedremo un dì, ci rivedremo ancor...".
    Già. Sono belli, i canti delle fini.
    Quel dolceamaro, no? Malinconia.
    Cantare una fine aiuta: allevia, allontana.
    Chissà perché oggi non ci sono in giro libri di canti delle fini...


    Per quella volta finì lì.
    Ma poi dopo qualche mese...

    All'indice



    INIZI E FINI Questo libro parla in versi di INIZI E FINI. Cosa sono, come sono? Sono felici gli inizi e tristi le fini? Per nulla. Basta pensare per esempio a una malattia: non sarà triste l'inizio e felice la fine? Ma poiché mille cose si potrebbero pensare degli inizi e delle fini, in mille modi interminabili, qui ne indico due brevi.

    Il primo modo è questo stesso libro. Marino Sinibaldi nel podcast "Timbuctù" all'inizio di ogni puntata espone un problema complesso, difficile da pensare, poi dice: "Apriamo un libro e vediamo". Facciamo così anche noi. Cosa sono gli Inizi e le Fini? Apriamo questo libro e vediamo.

    Ed ecco il secondo modo. Il Festival Tuttestorie 2024 avrà per tema le FINI. Per studiare per bene il suo tema, quel festival prepara ogni anno un foglio di pensiero chiamato Pasta Madre. Ecco, chi vuole pensare gli Inizi e le Fini può leggere qui la Pasta Madre di quel festival.

    E qui basta parlare di ciò di cui parla il libro, perché ne parla meglio lui da solo.
    Lui però non racconta come è nato. Ed ecco che lo raccontiamo noi.

    All'indice



    POSTFAZIONE DI BRUNO
    A me, a Silvia e ai Topipittori non è che piacciano tanto, le pre e le postfazioni, soprattutto nei libri di poesia. Ma pareva cosa giusta questa volta dire del Festival Tuttestorie, nelle cui giornate folte, oltre ai dovuti incontri coi libri e con gli autori, nascono cose nuove. E alcune crescono altrove, come questo libro. S'è pensato allora di raccontare in postfazione l'intera genesi del libro, fin dal semìno di quella cena detta qui sopra. Con Silvia ci siamo divisi il lavoro in due postfazioni: io, che sono di parte (e di quelle parti) avrei narrato dal Festival fino alla mia prima mail a lei; e lei da quella mail alla scrittura. Ecco dunque la mia.

    Ci sono libri che nascono in riva a un lago, un sogno, un lutto. Questo è nato in riva a un festival di libri.
    I festival dei libri sono feste patronali, il libro ne è il santo patrono. E come in quelle sagre, fra il santo e i festanti si tessono trame screziate di atti diversi: messe, banchetti, bisticci, musica e danze, mercato, patti e progetti, ritrovamenti, pettegolezzi, fidanzamenti.
    A Cagliari nell'ottobre 23, al Festival Tuttestorie, in uno di quei conciliaboli a due nelle affollate cene che queste feste regalano, con Silvia Vecchini osservammo che mancava al nostro mondo una raccolta di Canti delle Fini, che sono luoghi forti della vita. La cosa finì lì, ma non per me, che tacqui allora il seguito che mi veniva in bocca: lo facciamo noi due?
    Passarono mesi. Per puro caso – se mai il caso esista e sia puro – Manuela Fiori propose l'anno dopo per il nuovo Festival il tema delle FINI, che fu discusso e accolto. Era un segno eloquente, dovevo azzardare. Scrissi a Silvia: lo facciamo noi due?
    Noi due, insieme? Due voci così diverse? Una di suono battente a tamburo, l'altra di canto volante e sicuro. Una di senso rifratto in guizzi sparsi, l'altra di passi quieti e poi gran salti. Insomma, fisarmonica e violino. E possono suonare insieme strumenti così, scanzonati fra loro? Lo fanno eccome, per esempio nella musica popolare, che fa ballare.
    Così quei festival che sono feste vive divengono talvolta anche vivaio: accolgono libri, accolgono autori, gli autori si incontrano, fanno nuovi libri. Che dalle rive di quei festival vanno nel mondo.

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    POSTFAZIONE DI SILVIA
    A Silvia era dato il compito di raccontare il tratto da quella prima mia mail all'inizio del gioco.
    L'ha svolto con dolce e chiara maestria. Quando mi è giunta la sua postfazione ne ho molto gioito. Non solo per questo libro: proprio per me. Perché per narrare il suo rapporto con questa poesia condivisa partiva col dire, sacrosantamente, il suo rapporto con la poesia e basta. E lì è partita in me una bella banda. Molte trombette si son messe a suonare in accordo, maggiore e minore, e qualche tamburo a rimarcare in controtempo.
    Che meraviglia: lei "la poesia l'aspetta", e anche io. Se entra, "non le chiude la porta alle spalle", o si dileguerà (Emily Dickinson: "La bellezza non ha causa: esiste. Afferrala, e svanirà. Non afferrarla, e resterà"): e anche io. Lei "non la rincorre mai": io qualche volta sì, suonando il tamburino di rima e metro per convincerla a entrare - ma poi senza chiuderla dentro. Insomma, tante sarebbero le assonanze e dissonanze (i begli accordi di diminuita) che già fin troppo mi ci sono dilungato.
    Ci saranno altre occasioni: ascoltiamo lei.

    Io la poesia l'aspetto. L'accolgo, la riconosco, l'ascolto, la tengo nella bocca e nella memoria a lungo, la rumino e la scordo, la ricordo e la scrivo e la riscrivo ma non la rincorro mai. è la regola d'oro con la quale si è presentata alla mia porta quando avevo quattordici anni, un'ospite scalza ed esigente allo stesso tempo. Da subito mi ha fatto capire che se avessi chiuso la porta alle sue spalle o serrato le finestre lei si sarebbe istantaneamente dileguata. E, dato che avevo un disperato bisogno di un'ospite capace di una parola viva, abbiamo fatto un patto. Le ho dato una piccola chiave e le ho detto "Entra quando vuoi tu, ma torna". Lei deve aver gettato nel fuoco qualcosa che aveva in tasca, qualcosa di profumato e prezioso. Era il segno che aveva accettato. Da allora io scrivo solo quando entra e si siede, quando viene a dormire a lungo o consuma un pasto veloce, quando si ferma anche in giardino o mi saluta dalla finestra perché ha fretta. Ma non la rincorro mai. Posso stare mesi, anni senza scrivere un verso e senza dolermene.
    Ma amo gli inviti a scrivere. A tutti gli inviti, rispondo con entusiasmo vero e una chiara postilla che spiega come non posso scrivere se quest'ospite non si presenta. Se non è il momento, se non ho quel tipo di attenzione, di apertura e desiderio di esplorare o conoscere. Così quando Bruno mi ha proposto quello che al principio era uno scambio, un gioco tra noi e non ancora un libro, ho risposto alla stessa maniera.
    Poi è successo, con mia grande sorpresa, che davvero era un gioco e davvero era il momento giusto. E ho giocato e scritto con gioia, con gusto, con il desiderio di ricevere le parole di Bruno e di mandargli le mie. Inizio e fine, fine e inizio. Ci siamo lanciati una parola dopo l'altra cercando di tenerle in volo. Ora però le passiamo nelle mani delle bambine e dei bambini, i veri esperti dell'inizio e della fine perché è dal loro punto di congiunzione che vengono. Un centro d'oro, un anello che gira e danza e tiene insieme tutto quanto.

    Silvia Vecchini

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    IL FRISBY
    "Ho giocato e scritto con gioia - scrive Silvia - con gusto, con il desiderio di ricevere le parole di Bruno e di mandargli le mie".
    Ci siamo accorti subito entrambi, dal sapore inconfondibile e contento di luce di mattini e pomeriggi, che stavamo facendo un gioco. Per un po' lo abbiamo chiamato il ping pong. Ne abbiamo abbozzato le prime regole, provvisorie: io scrivo e ti mando le poesie di inizio o di fine di due o tre cose; tu scrivi e mi mandi le poesie di fine o di inizio di quelle cose, e rilanci inizi o fini di altre cose. E avanti così.

    Però: di quali cose? Occorrevano liste di titoli, repertori, tralicci per i rampicanti. Ho cominciato io. Le ho inviato un lungo elenco di cose che iniziano e finiscono, spremuto fuori da quella che a Tuttestorie chiamiamo "Pasta Nonna", la raccolta segreta che mette in ordine i pensieri caotici dei nostri brain storming, e che da lì nutrirà la "Pasta Madre", il racconto ufficiale del tema: quest'anno, le FINI.

    Silvia ha raccolto al volo e rilanciato. Da quel primo elenco pletorico ha scelto, tolto e aggiunto. Ed ecco la prima lista breve, per cominciare: IL GELATO, LA SCUOLA, L'APPARECCHIO, IL TEATRO, IL BAGNO DI MARE.
    E via, partito il gioco. Via mail piovevano i compiti, fatti da lei e da fare per me: l'inizio di questo e di questa, e tu scrivi la fine; la fine di quest'altra e quest'altro, e tu scrivi l'inizio. E poi cambio.

    E che gioia di gioco quei compiti. Come altre gioie non si può dire ad altri, come spiegare un colore a parole. Ma nelle mail, con piccole cose, ogni tanto noi ce lo dicevamo. Io aspetto. Anche io aspetto. E quando arrivano ci penso contenta. Anche io. Io ci pensavo guidando sola, nei miei viaggi. Io ci pensavo una mattina di gennaio, spingendo il passeggino del nipote appena nato nelle montagne trentine. E come sarà il pensare di un poeta che mette in fila (rosario, serie ribonucleica, flauto di vertebre) sillabe e parole e versi? Di nuovo, non si può dire come sia: solo che è bello e fa star bene.
    Anch'io.

    "Ci siamo lanciati una parola dopo l'altra - scrive qui sopra ancora Silvia - cercando di tenerle in volo".
    Infatti, in volo. Dopo aver chiamato quel nostro gioco ping pong, siamo passati al frisby. In volo, più lungo, più alto. Meno chiassoso e geometrico, più alato. Più gioco, meno sport. Più sensibile al vento, a tratiettorie oblique, indecifrabili: sembra stavolta che se ne vada altrove, che non lo acchiapperai e invece ecco, fa un bell'arco e ti si posa nelle mani.

    Ma non solo al capriccio del vento dovevamo affidarci: anche a umili, utili conti. Per un bel tratto entrambi abbiamo scritto inizi e fini a caso, a naso, a cuore. Ma a un certo punto io, che da iniziatore del gioco ne ero anche un po' arbitro e ragioniere, ho fatto un po' di conti. "Silvia, siamo sbilanciati: tu hai scritto quattro inizi e una fine, io quattro fini e un inizio. Bisogna equilibrare". "Va bene, fai tu".
    Dunque da lì conteggi, numerini rossi accanto ai cognomi nel mio solito doc di lavoro chiamato Quaderno. E prescrizione di inizi e fini a lei e a me, per arrivare in fondo alle quaranta, venti e venti poesie, a dieci inizi e dieci fini per ciascuno. Bambini che si dividono le biglie.

    Questo contare faceva meno giocoso il gioco? Meno libero e volante? Per niente. I giochi sono austeri ragionieri, hanno regole, conti e graduatorie. Abbiamo lanciato i nostri frisby contenti e roteanti avanti e indietro, sempre via mail senza incontrarci mai, nei cieli d'Italia da posti lontani, e qualche volta lontanissimi oltremare.
    Ci saremmo incontrati di persona, finalmente, soltanto l'8 aprile alla Fiera di Bologna, a gioco finito. E sarebbe stato stato un bel ridere un po' scemi, senza quasi parole e con abbracci. E un dire triste e contento: però finito, peccato!

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    I TOPIPITTORI E GIULIA
    L'edizione

    A colpi di ping pong e a lanci di frisby, dunque, a un certo punto siamo giunti al traguardo: 20 + 20 poesie di Inizio e Fine. A dire il vero nel primo tratto del cammino non c'era altro traguardo che il cammino. Noi giochiamo, ci siamo detti, poi vediamo se viene libro o solo gioco. Ma da un certo punto in poi (impossibile marcare quale) era evidente che il libro era venuto: quindi occorreva pensare a un editore.

    E di nuovo, Silvia, ping: io proporrei i Topipittori. Bruno, pong: avevo già pensato a loro anch'io. Allora avanti: il 14 marzo scrivo una mail per Giovanna Zoboli e Paolo Canton, la sottopongo a Silvia, l'approva, firmiamo insieme, la spedisco. In sostanza diceva due cose: 1) Topi, vi piace questo libro? lo vorreste pubblicare? 2) Ce la fareste a pubblicarlo entro settembre? Troppo presto, troppo in fretta?

    E perché entro settembre? Spiegavo: perché il 2 ottobre parte il Festival Tuttestorie, che quest'anno ha per titolo "E ADESSO?", e sottotitolo "Racconti, visioni e libri sulle cose che finiscono". Quindi tema: le FINI. Sarebbe bello per il festival poter adottare per una volta un libro esatto, centrato sul tema. Sarebbe bello per gli autori che il loro libro fosse festeggiato da incontri con scolaresche e con adulti e pannelli di poesie e figure. E sarebbe bello per gli editori, senza dubbio: proprio una vasta e mirata promozione.

    Ben sappiamo, continuava la mail, che i Topipittori fanno le cose bene, col tempo che ci vuole. Si possono fare le cose bene in fretta e furia? O la gatta frettolosa fa i gattini ciechi? Davvero sempre? No. A ogni artefice d'ogni arte sarà accaduto, una volta o più d'una, di dover sfornare un poemetto, un quadro, un concertino, un'opera a tamburo battente. La stessa maestria che consolida prassi e abilità nei decenni sa se è possibile applicarle in pochi giorni, in pochi mesi. Fa i suoi conti, accetta o rinuncia.

    Paolo Canton ci ha risposto ringraziando, apprezzando, e chiedendo quattro giorni per fare i suoi conti. Dopo quattro giorni ci ha scritto sì, ce la facciamo. Ed è partita la macchina dell'edizione. Su cui qui non dirò molto, perché poco c'è da dire. A Napoli per rassicurare qualcuno s'usa il bel detto "Stai in mano all'arte!". La scelta di Giulia Orecchia per le illustrazioni, la grafica sobria e armoniosa di Anna Martinucci, la direzione artistica "vera" di Giovanna Zoboli: stavamo in mano all'arte, non c'è dubbio.

    Sul quel cammino di edizione, dunque, c'è poco da dire perché Silvia e io poco e niente abbiamo saputo. C'era da lavorare presto e bene, non era il caso di perdere del tempo in confronti premurosi con gli autori. Che magari (io soprattutto, Giovanna lo sa) levano su il ditino per dire "Ma qui...", "Ma perché...", "Ma se invece...": e non c'era il tempo. Così zitti i due autori sono stati, scambiandosi ogni tanto qualche sussurro: "Ma tu hai visto qualcosa?", "Niente, e tu?", "Niente". "Boh. Lasciamoli fare", "Sì, meglio".

    Ci siamo fidati, e abbiamo fatto bene: il 28 giugno ci è arrivata la mail di Anna col PDF dell'impaginato. Ed era vero, stavamo in mano all'arte: il libro è bellissimo.


    Le illustrazioni

    Giulia Orecchia è mia amica da trent'anni. Da quella foto che ci ritrae fianco a fianco, facce fresche e capelli ancora scuri, chini e ridenti sul suo desco di lavoro a complottare le figurine fulminanti del vecchio "Mal di pancia calabrone". Con lei lungo i decenni ho complottato, come due muratori amici tirando su un muro, dubbi e scoperte, scelte ed errori, insomma le cose del farsi dei libri. Qualche volta, addirittura, come per Il Ghiribizzo, abbiamo fatto noi tutto da soli, e consegnato all'editore il libro chiuso. Ma stavolta neanche lei mi ha detto niente.

    O quasi niente. Non mi ha mostrato niente, ma mi ha detto. Che i Topi le avevano dato indicazioni molto esatte: per esempio "niente bambini". E che lei aveva dovuto rifondare la sua visione iniziale delle tavole, che immaginava piene di bambini. Ci ho riflettuto, per quello che riesco nella mia ignoranza asisina sul pensiero visivo: perché niente bambini? Non posso dire di aver capito, ma forse intuito sì.

    Niente bambini. Niente azioni, narrazione, vicende. Ne sono già così dense le poesie, altre azioni potrebbero solo raddoppiarle, magari contraddirle. E comunque non c'è posto: troppa roba. E invece sì colori, sì forme, sì simboli, segni, icone. "Parlare d'altro meravigliosamente", era il mantra del mio primo romanzo, acerbissimo, con santa ragione mai pubblicato. E d'altro parlano meravigliosamente le figure di Giulia, che si sporgono fra i due blocchi dei versi ma con cautela, tenendosi a distanza, lasciando aria bianca, aria vuota di mezzo. Lasciando posto al vuoto, al vano: al Vago, che per Leopardi era il cuore della poesia.

    Ed ecco allora uccelli, rami, forme, pesci, giostre. Qualche oggetto di cui parla una poesia: il gelato, il sipario, le matite. Ma in mezzo a tutte quelle figure vaghe, che mandano altrove, sembra che questi oggetti "didascalici" parlino d'altro anche loro: che non siano quel gelato, quelle matite. Forse per come sono disegnati? E colorati, sì: non pesano, non raddoppiano, non spingono. Sono fatti da Giulia, in mano all'arte.

    (Qualche bambino comunque dentro c'è pure sgusciato. Riescono sempre a sgusciare. I Topi li han visti benissimo, naturalmente, ma hanno fatto finta di niente)

    E oltre non mi spingo, anche perché ho fatto già abbastanza passi in una terra che non è mia: l'illustrazione. Dirò solo allora della figura di copertina, che è anche quella delle due ultime poesie.
    Ma cos'è quel soffione? Ma che meraviglia è?
    Una forma stellante dell'inizio. Ma incompleta perché ha già iniziato a finire. Perché manda in volo nel vento i suoi semini, che sono la sua fine e nuovi inizi. Si vede solo girando il libro, che li ha mandati, sono nell'aria della quarta di copertina. E quei semini alati, con le puntine rosse di sangue, generative, non saranno forse i versi allora? Guardate.





    Brava Giulia, brava Anna, bravi Topi!
    Solo per quello mi sono un po' battuto, in quel cammino muto dell'edizione: perché pareve non fosse certo quel soffione in copertina, era in bilico con non so che altra figura. Come oggetto delle mie mail di perorazione ho messo lo slogan "Salvate il soldato soffione!". Lo ripetevo come Cicerone il suo "Ceterum censeo... Carthago delenda est" in coda a ogni orazione.
    Ed è stato salvato.

    All'indice



    CHI HA SCRITTO COSA?
    Le 40 poesie nel libro non sono firmate.
    Un "codice colore" scandisce i titoli in ogni pagina: alcuni gialli, altri blu. E una didascalia, in alto sopra il colofone, a specchio del frontespizio in prima apertura del libro, dà la chiave di questo codice: "Le poesie con il titolo giallo sono state scritte da Silvia Vecchini; quelle con il titolo blu da Bruno Tognolini". Se il lettore legge il libro per intero, partendo dalla pagina del colofone, non avrà problemi ad attribuire i componimenti.

    Ma a me qualche perplessità pure restava. Ne scrissi all'editore, e in copia a Silvia. Il codice colore per me va bene, scrissi: mi diverte, mi incuriosisce, e in fondo ci sta. Il gioco con Silvia è sempre stato a turno pari, proprio come un battimani Enzo-Lorenzo: ecco, con questo gioco dei titoli gialli e blu in qualche modo andrà avanti anche nel libro.

    Però... Dopo una breve riflessione sui miei due precedenti simili (il remoto ed estinto "Filastrocche e canzoni della Melevisione", scritto con Mela Cecchi, e il più recente "Rime Chiaroscure", scritto con Chiara Carminati), ragionavo un po' oltre. Nel libro con Chiara, su 52 poesie, 34 non sono firmate: niente nomi, o colori o icone o altro. Era un gioco intenzionale, deciso fra noi due, che ha molto divertito tutti e due. Perché quelle filastrocche erano, a bella posta, indistinguibili: scritte tutte in metro e rima regolare, e in gran parte con la stessa struttura di verso e di strofa. Il gioco era proprio (o anche) quello: che i lettori si arrovellassero perplessi, giocassero a indovinare l'autore. E spesso sbagliavano in pieno.

    Per questo libro di oggi non è così. Le poesie di Silvia e mie sono così diverse, a partire dalla forma poetica, metro e rima, che chi conosce me e/o lei non potrà sbagliare. Non ci sarebbe bisogno di scrivere nomi.
    Ma chi non ci conosce? O non tanto da sancire con certezza?
    Se prende una poesia di Silvia per mia, e viceversa, cosa accade? Magari niente: "La poesía no es de quien la escribe, sino de quien la necesita", scriveva Neruda. Ma a qeusto punto viene avanti una materia controversa, che chiederebbe centinaia di righe e non è il luogo.

    C'era invece un risvolto molto pratico: gli editori scolastici (e non).
    Personalmente sono abbastanza bersagliato di richieste, crescenti nel tempo, dei miei editori che mi inoltrano richieste di altri editori, soprattutto scolastici, per questa o quella filastrocca da pubblicare. Ecco, lì forse occorrerà stare un po' attenti. Se mi diverte lasciare nel dubbio nebbioso un lettore, o anche più d'uno, non sarei però contento, e credo non lo sarebbe neanche Silvia, trovando su un libro, scolastico o no, un componimento mio firmato da lei, o viceversa. "Dubia volant, scripta manent". Che fare?

    Fin qui la mia mail. Silvia rispose che anche lei era d'accordo con queste perplessità sull'attribuzione. Che il colore diverso dei titoli funzionava, e non credeva ci fosse bisogno di altro, nelle pagine. Ma che forse sarebbe bene... indicare meglio nell'indice? E in che modo? Per questo si affidava all'editore.

    Ed ecco cosa rispose l'editore.
    Giovanna Zoboli ci scrisse che per rinforzare il codice colore dei titoli nelle pagine del libro avevano provato ad applicarlo anche all'indice iniziale: Silvia titoli gialli, Bruno titoli blu (vedi sotto). Ma che pareva un po' un'arlecchinata, e avevano lasciato stare.

    Ma ecco un mirabile caso esemplare di negoziazione fra autori e editori: fra i loro legittimi, nobili, ma fatalmente a volte un po' divergenti interessi. Giovanna per parte sua aveva ragione: coi quei titoli colorati a un occhio di Topopittore quella pagina è senza il minimo dubbio un'arlecchinata. Confrontando con la prima versione tutta in nero, tanto più sobria ed elegante, me ne rendevo conto perfino io.

    Ma si vede che qualche ragione l'editore la riconobbe anche ai suoi autori, perché (lo so, soffrendo un po') ripristinò quell'indice arlecchino. E gli autori apprezzarono e (magari anche loro soffrendo un po') si riconfortarono. Nessun nome marcava univocamente le poesie, ma almeno il codice colore era ribadito due volte, nell'indice e nelle pagine; e la chiave di quel codice era esposta a un solo sfoglio di distanza: la didascalia che campeggia sopra il colofone, nella pagina immediatamente precedente.

    Ecco le pagine del frontespizio (ingrandire per leggere sopra il colofone la didascalia).





    Ed ecco quelle dell'indice arlecchino.





    Tutto bene, dunque.
    I lettori, individuali o collettivi, a scuola e in famiglia e ovunque, si orienteranno come potranno per capire chi ha scritto cosa. Si industrieranno a cercare segni, e li troveranno.
    Gli editori commerciali, scolastici e non, chiederanno le autorizzazioni ai Topipittori, che in quell'occasione si accerteranno che sia ben compreso l'autore.

    E per le altre pubblicazioni, quelle "unofficial" sui social, nei blog, sul web?
    Tutto bene anche lì. Mi aspetto di vedere poesie di inizio o fine mie attribuite a Silvia, sue attribuite a me, o firmate coi due nomi, o - nel dubbio o per fretta o santa sciatteria - senza firma alcuna.
    E sarà divertente.

    E tuttavia però, a scanso di eventuale dubbio, come fonte di ferma conferma, qui sul mio sito pubblico quest'altro indice, con le attribuzioni d'autore a chiare lettere. Chissà che non torni utile.

    1. INIZIO DEL GELATO (Vecchini)
    2. FINE DEL GELATO (Tognolini)
    3. INIZIO DELLA SCUOLA (Vecchini)
    4. FINE DELLA SCUOLA (Tognolini)
    5. INIZIO DEL TEATRO (Tognolini)
    6. FINE DEL TEATRO (Vecchini)
    7. INIZIO DELL'APPARECCHIO (Vecchini)
    8. FINE DELL'APPARECCHIO (Tognolini)
    9. INIZIO DEL BAGNO DI MARE (Tognolini)
    10. FINE DEL BAGNO DI MARE (Vecchini)
    11. INIZIO DI ME (Vecchini)
    12. FINE DI ME (Tognolini)
    13. INIZIO DELLA VACANZA (Vecchini)
    14. FINE DELLA VACANZA (Tognolini)
    15. INIZIO DEL CONFINE (Vecchini)
    16. FINE DEL CONFINE (Tognolini)
    17. INIZIO DELL'INFANZIA (Tognolini)
    18. FINE DELL'INFANZIA (Vecchini)
    19. INIZIO DELLA MATITA (Vecchini)
    20. FINE DELLA MATITA (Tognolini)
    21. INIZIO DEL LITIGIO (Tognolini)
    22. FINE DEL LITIGIO (Vecchini)
    23. INIZIO DELLA GARA (Tognolini)
    24. FINE DELLA GARA (Vecchini)
    25. INIZIO DEL PIANTO (Tognolini)
    26. FINE DEL PIANTO (Vecchini)
    27. INIZIO DEL SONNO (Tognolini)
    28. FINE DEL SONNO (Vecchini)
    29. INIZIO DEL GIORNO (Tognolini)
    30. FINE DEL GIORNO (Vecchini)
    31. INIZIO DELLA PIOGGIA (Vecchini)
    32. FINE DELLA PIOGGIA (Tognolini)
    33. INIZIO DELLA CASA (Tognolini)
    34. FINE DELLA CASA (Vecchini)
    35. INIZIO DELLA STORIA (Tognolini)
    36. FINE DELLA STORIA (Vecchini)
    37. INIZIO DEL GIOCO (Vecchini)
    38. FINE DEL GIOCO (Tognolini)
    39. INIZIO (Tognolini)
    40. FINE (Vecchini)

    All'indice



    ASSAGGI
    Restano dunque solo ormai i soliti assaggi. Una manciata di doppie pagine, figure e poesie, scelte a gusto da me, dodici su quaranta. Cliccando, si possono ingrandire a schermo intero, per leggere con agio i testi.




































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    Questa pagina è stata creata il 10 luglio 2024, e aggiornata l'ultima volta il 10 luglio 2024


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