Rime e ragionamenti sulla Sardegna
Nel febbraio 2009, in occasione delle elezioni regionali sarde, dagli avi che si levavano nel sangue e dalle nefandezze che si levavano davanti agli occhi mi sono sentito chiamato a dare un aiuto, per ciò che so fare. Ho scritto una Tiritera elettorale di incitamento prima delle elezioni e una Lettera a Renato Soru, di conforto per i suoi sostenitori più che per lui, dopo di esse.
Nelle settimane seguenti ho collaborato alla fondazione di un forum di discussione dal magnifico nome prescelto da Michela Murgia, Corona de Logu (www.coronadelogu.com); il termine designava un'antica istituzione sarda, un consesso di anziani che sorvegliava l'operato dei "Iudikes" nei Giudicati, le entità statuali autonome che ebbero potere in Sardegna fra il IX ed il XV secolo.
Ho partecipato alle discussioni su quel sito per un solo mese. Poi, per il solito tempo tiranno, spinto da altri impellenti compiti ho dovuto abbandonarle. Ma non solo per quei motivi, a esser sincero: anche perchè nel frattempo un severo consesso di voci, quasi onorando quel nome di cerchio d'anziani, aveva occupato il forum con salmodie solenni e talvolta aspre su indipendenza, lingua e identità sarda. Discussioni che mi hanno scosso, appassionato e per qualche strano motivo, che quando verrà il tempo capirò, rattristato. Ma altre aule e sale, biblioteche e librerie sparse per tutta Italia mi chiamavano ogni giorno a dire e a rispondere su altre lingue e indipendenze, su resistenze a altri oppressori che la lingua italiana.
Mi restano due o tre interventi (ho imparato che si chiamano "post"), che portano il segno di quella passione, sofferenza e insofferenza, e che per amore di archivio qui riproduco. Avverto che alcuni e in alcune parti (soprattutto quello intitolato "Basta, dichiaro cixiri") potranno essere poco chiari ai "continentali" oltre che, in taluni passaggi, assai poco eleganti.
Duruduru elettorale, filastrocca scritta prima delle elezioni regionali in Sardegna del febbraio 2009
Lettera a Renato Soru, scritta dopo quelle elezioni
CONTRIBUTI AL SITO DI DISCUSSIONE "CORONA DE LOGU"
Speriamo che mio nonno non torni dalla tomba
Basta, dichiaro cixiri
La fonte aperta
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TIRITERA ELETTORALE SARDA
Una tiritera (in sardo "duruduru") scritta in occasione delle elezioni regionali in Sardegna, febbraio 2009
pubblicata su L'Unità Online, e sul sito di Renato Soru, coi commenti dei lettori
(risorse non più reperibili online)
Noi siamo piccoli, noi siamo sardi
Piccoli uomini che fanno lunghi sguardi
Passano i secoli, con piccoli passi
Noi siamo piccoli però non siamo bassi
Non siamo bassi perché in cuore siamo scalzi
Non ci mettiamo né tacchi né rialzi
Noi stiamo zitti
Guardiamo il mare
Secoli fitti che si vedono arrivare
Arrivano dal mare
I soliti Baroni
Arrivano dal mare i Presidenti ed i Padroni
I sardi sono piccoli
I grandi sono fessi
I nomi son diversi ma i Baroni son gli stessi
Arriva da lontano per dirci chi votare
È un Barone
Non si riesce a moderare
I sardi sono arcaici
Con sopracciglia folte
Per farcelo capire lui ritorna nove volte
Cannoni di sorrisi
Granate di parole
Se siamo piccoli, però, perché ci vuole?
Se siamo piccoli, però, di che ha paura?
Ha paura
Del mulo pelle scura
Ha paura
Dell’asino nascosto
Del cuore di quest’isola che sta in un altro posto
Di qualche spaccatura
Che sta nascendo altrove
Di qualche mulo che si sveglia e che si muove
Di qualche cosa che lo faccia moderare
Gli sappia fare guerra
Lo metta a piede in terra
Qualcosa che è lontana, che a Roma non si sente
Però quest’isola
È un altro continente…
Noi siamo piccoli
Col pepe nelle vene
Noi siamo piccoli però guardiamo bene
Si va a votare
Da chi farci comandare
Però c’è un modo strano di rispondere ai comandi
Noi siamo piccoli
Ma abbiamo gli occhi grandi
Guardate bene, sardi
Io guardo e miro
Guardate bene, sardi
Io guardo e spero
Se si può fare
Un presidente nero
Si può fare anche un presidente vero
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LETTERA A RENATO SORU
Una lettera scritta a caldo, il giorno dopo la sconfitta elettorale di Renato Soru, 17 febbraio 2009,
pubblicata su L'Unità Online, e sul sito di Renato Soru coi commenti dei lettori
Presidente Renato Soru
So che probabilmente avrà ben altro da pensare, oggi.
Ma mi stava a cuore scriverle subito, sul ferro caldo della sconfitta sua e nostra, per dirle due cose.
La prima può parere inutile e puerile, ma non lo è. Piangere compiutamente la sconfitta è importante quanto gioire legittimamente per la vittoria.
E allora la prima è questa: mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. È importante dirlo.
Più di quanto mi sia dispiaciuto altre volte, per le tante altre sconfitte, di cui ormai abbiamo panoplia e galleria. Mi dispiace di più, stavolta, forse perché ho "preso parte" in prima persona, ho contribuito con scritture e letture alla sua battaglia. Ma non solo per questo: anche perché, facendone parte, ho potuto sentire un’onda di energia, una vampa inconfondibile di presenza, che non sentivo da anni. Mi dispiace che quella vampa non sia bastata, neanche stavolta.
Non è bastato, dannazione, ma è servito. Per capire o confermare una visione.
C’è una tribù dispersa, in giro per l’Italia, distratta e distante, una Compagnia di solitari in esilio dentro i propri cammini, come i Raminghi del Signore degli Anelli, che ostinati procedono in silenzio nell’attesa che passi la nottata. Quella nottata che a ogni sconfitta pare allungarsi, e di cui oggi, sarà pure illusione del lutto, ci sembra di non vedere più la fine.
Ci sono ovunque questi Raminghi, in tutta Italia: io li incontro nei miei giri incessanti per scuole e biblioteche e comuni, sono insegnanti e scrittori e dirigenti scolastici e bibliotecari e librai e tanti altri. Altri li incontreranno in altri mondi, ingegneri, medici, studiosi, giornalisti, giuristi…
Una parte, una sotto-tribù, la parte sarda di questa Compagnia Dispersa, si è radunata nelle scorse settimane attorno a Renato Soru. Ciascuno ha tirato fuori sotto la luce del sole le sue idee, che custodiva in silenzio in attesa di momenti come questo. Ciascuno ha tirato fuori le sue armi, cioè la perizia nel dare forma a queste idee. Forma verbale, musicale, poetica, politica, concettuale: le armi che usava ogni giorno nel suo solitario cammino. E queste forme, queste armi di linguaggio e cultura, scoperte al sole, hanno mandato un confortante sfavillio.
Può sembrare consolatorio sgranare ora il rosario dei distinguo, il "quantitativamente" e il "qualitativamente". Può sembrare inutile: nelle elezioni vince la quantità, non la qualità. Ma se è consolatorio è ben giusto che lo sia: consolarsi è sana e legittima cura, dopo i rovesci. E grandemente consola poter dire che la qualità etica ed estetica, intellettuale e artistica e umana dei Raminghi che Renato Soru raduna intorno a sé è molto alta.
E forse il sottile invisibile gioco della quantità con la qualità non è solo consolazione, non è inutile mascheramento, ma al contrario può celare sorprese per il futuro.
Ora molti di questi Raminghi, molti di noi, torneranno nei loro cammini dispersi, torneranno in sonno. Ben svegli e attivi, beninteso, in questo sonno. Io per esempio non mi sono mai fermato, posso dirlo senza rischio di enfasi, come nota di fatto. Non ho cessato mai di combattere contro la miseria culturale, contro la cattiveria impoverita, libro per libro, incontro per incontro coi lettori, puntata per puntata di Melevisione. Ognuno tornerà nella sua contea, a combattere la sua battaglia, solitaria o con pochi compagni di imprese. Ma per la Compagnia – e uno scrittore sente in modo curioso queste parole – ora è il "sciogliete le righe".
E qui viene la seconda cosa, Presidente, che le volevo dire.
Non c’è molto di onorevole nell’offrire la propria opera a un vincitore; è più decoroso offrirla a uno sconfitto. E allora sappia, Presidente Soru, che quando i tempi lo consentiranno, alla minima schiarita nella notte, quando lei riterrà che sia giunto il momento di richiamare a raccolta la Compagnia dei Raminghi, per quello che posso fare e che so fare, io ci sarò.
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