PRESENTAZIONI
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I libri hanno pazienza Quando un piccolo lettore mi porta da firmare un mio libro che mi pare ecceda la sua età, non manco mai di scrivergli nella dedica: "Non preoccuparti se ti fermi e lo lasci lì. I libri hanno pazienza...". Hanno pazienza, lunga e a volta infinita. Stanno lì attendere di essere letti, e prima ancora, di essere pubblicati, e prima ancora, di essere scritti. Sanno attendere a lungo, talvolta per sempre. I due romanzi Lilim del tramonto e Lunamoonda hanno atteso per dieci anni ciascuno, da quando ho steso la sinossi e il primo capitolo a quando li ho ripresi in mano e scritti per intero. Altri libri che ho immaginato (Borges direbbe "presagito"), dovranno probabilmente aspettare per sempre d'essere scritti. Questo racconto, scritto nel 1994, ha atteso d'essere pubblicato per vent'anni. Tre racconti sulla pubblicità Eccolo qua, presentato in un'antica pagina di questo sito, fra i "Tre racconti sulla pubblicità" scritti per l'agenzia pubblicitaria di un amico, che quell'anno voleva affrontare in modo diverso l'annuale campagna di auto-promozione. Io non amo la pubblicità, al contrario. Per fortuna non è questo il luogo di parlarne, così posso risparmiare al lettore e a me stesso un'incresciosa antistorica catilinaria. Ma ero affezionato a quell'amico, orgoglioso del compito, ansioso di misurarmi in ogni impresa: così mi son cimentato nella ricerca alchemica di ciò che c'è di buono nella pubblicità. Di potenzialmente buono. Di redimibile. Ho articolato questa ricerca nei tre racconti linkati qui sopra. Son stati pubblicati in uno strano fascicolo con legatura a spirale, di cui credo sia rimasta una copia solo a me. L'ATTACCHINO era il più riuscito dei tre. Lo tenevo d'occhio, era una forma di vita latente in attesa quieta, accucciata in una plaga lontana di questo sito, la tana dei Racconti d'occasione. È arrivata la sua stagione e l'ho svegliato. Che senso ha riesumare testi scritti vent'anni prima? Alcune opere non vengono pubblicate non perché non valgano, ma perché il loro autore non è noto. E viceversa: altre opere vengono pubblicate non perché valgano, ma perché il loro autore è noto. Alcune mie opere aurorali non hanno trovato la stagione propizia per una pubblicazione vera e propria. Io stesso non l'ho cercata: li sentivo come cimenti degli inizi, che avevano già del resto fioriture minori. Ora però la stagione è matura, e anche le vecchie oepre vengono pubblicate. Se ciò accada perché l'autore è noto, o perché valgono, lo sapranno i lettori. |
Gianni De Conno
Questo poi è un racconto speciale: una storia che non solo contiene in sé un fiume visivo, ma che narra propriamente di visione e figurazione. Un attacchino, per trovare e ricondurre a casa suo figlio, trasfigura la città, ne cambia la superficie visiva. E non lo fa introducendo elementi figurali nuovi ed estranei al suo arredo urbano, ma frantumando e ricombinando, con la sua arte-mestiere, quelli abituali e quotidiani. Proprio quelli che fanno della città, secondo alcuni, un inferno di stimolazione visiva continua a unico e ossessivo scopo commerciale: la pubblicità. Trasformare la città in un unico affresco, un colossale collage, usando la sua medesima tavolozza? Non era forse una bella sfida per un illustratore? Uno scrittore asino d'arte Con la lusinga di questa sfida speravo di attrarre nell'impresa qualche grande illustratore dei miei sogni. Per esempio Gianni De Conno. E perché lui? Perché mi piace, lo apprezzo e lo comprendo. La mia cultura e la mia sensibilità son di matrice letteraria, e in seconda battuta musicale (seconda, ma come la battuta delle mani nell'applauso). Antiche e irredente lacune mi rendono, temo ormai per sempre, un fiero asino in tutto ciò che è arte e figurazione. Come si dice degli alunni, "mi mancano le basi". Ho sostenuto lunghe e affettuosissime dissertazioni con Antonella Abbatiello sulla forza e leggibilità delle forme, quando siano ricondotte alla loro essenza figurale archetipica, o ad altre dimensioni concettuali. Qualcosa scorgo, ogni tanto, qualche barlume: ho compreso e apprezzato le visioni di Antonella nei nostri due amati Maremè e Farfalla; ho faticato di più sul nostro Alfabeto delle fiabe, le cui tavole, che estasiavano gli esperti Topipittori, permangono per me asino d'arte, se non mute, abbastanza indecifrabili. Comprendo e amo, invece, l'illustrazione di tipo "realistico" (si chiama così?). Quella che, per intenderci, rispecchiando e rispettando le forme del mondo come le vede il mio occhio, col governo delle luci, la pasta dell'aria, la sceneggiatura degli atti, la postura dei corpi, le direzioni degli sguardi, i dettagli dei dintorni, e altro d'impalpabile che a me sfugge, narra e disegna l'emozione di chi guarda. Ecco: nell'ambito di questo stile di figurazione, mi incantava il realismo onirico di Gianni De Conno. Carlo Gallucci merita una lode Carlo Gallucci, a questo punto, merita una sincera benché partigiana lode: mi ha "accontentato". Beninteso, non era un sacrificio: con De Conno gli stavo proponendo una delle poche star internazionali fra gli illustratori italiani. Ma l'ha fatto, rinunciando all'orgogliosa facoltà dell'editore di scegliere la "mano giusta" per il libro. Chiedendosi con me se la mano giusta fosse quella, curioso come me di cosa sarebbe diventata la rutilante città creata dal mio Attacchino sotto lo sguardo onirico e remoto di De Conno, Gallucci ha accolto l'idea. Ho scritto io a Gianni, era giusto che in prima voce gli dicessi quello che era, prima che un progetto editoriale di Carlo Gallucci, un mio antico sogno. Gli ho spedito il racconto. Gli è piaciuto, ha accettato, ci siamo messi al lavoro. Entrambi, perché un lavoro, nonostante avessi finito di scrivere vent'anni prima, è stato chiesto anche a me. |
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Questa pagina è stata creata il 13 novembre 2013 e aggiornata l'ultima volta il 10 febbraio 2014
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