Laboratorio Teatro Settimo
AB ORIGINE: LUOGHI PER DURA MADRE MEDITERRANEA
LA VIGILIA
DI UN'OPERA
Diario
del laboratorio teatrale "DURA MADRE MEDITERRANEA"
tenuto da Bruno Tognolini
"E' possibile sapere quando comincia la guerra,
ma quando comincia la vigilia della guerra?"
(Nano, da "Cassandra" di Christa Wolf)
La drammaturgia elaborata nel "soggiorno" teatrale di Montalcino
tendeva a coincidere con la giornata stessa. Il dispositivo principale
del lavoro drammaturgico era una fitta rete d'attenzione, che convogliava
in sè i materiali letterari, il lavoro degli attori, i nessi prodotti
dai drammaturghi assieme agli accadimenti quotidiani, alle visite, alle
tensioni, alle notti di discussione e ai pranzi. Se così è,
questo diario, che ha tentato di registrare tutto questo, è un testo
drammaturgico a sua volta. E' il testo della vigilia di un'opera, delle
industriose attività che questi tipi di veglie mettono in campo.
E' un documento che viene dall'interno del processo, non è una ricostruzione a posteriori: del processo conserva quindi l'impronta viva, in tempo reale, comprese le approssimazioni, le irregolarità, le lacune, che volutamente non sono state corrette o integrate. E' un diario, e potrà avere i destini e le funzioni che ai diari sono normalmente riservate: personali, sentimentali, storiche, critiche, documentarie, informative, giudiziarie...
E' infine una scrittura letteraria, con i suoi fronzoli ed i suoi
ammiccamenti. Non intendo avanzare, su questo, alcuna excusatio non petita:
dirò solo che il diario veniva letto quasi ogni notte dalle attrici,
alla presenza di tutti, e diveniva in questo un piccolo rituale tribale
di memoria e celebrazione delle gesta della lunga giornata. Le lingue di
questi rituali hanno da essere in qualche modo cantilene, o nessuno le
ascolta. La cantilena che da sola si è proposta è una sorta
di tono confidenziale e divertito, che conserva la memoria (cromosomica,
credo) di tanti padri uomini di lettere che hanno scritto diari prima di
me. Anche questo non contrasta con l'istanza di normale lavoro dell'arte,
senza punti esclamativi e proclami di palingenesi, che a Montalcino vigeva.
Un lavoro di alta qualità, ma di tono mite, andava raccontato in
tono mite. Se le vigilie hanno questa fervida mitezza, forse le opere ci
daranno ragione.
1 . Notizie da un processo teatrale
Domenica 16 luglio 1989, alle dieci di sera, alla Rocca di Montalcino è andato in scena lo spettacolo "Nel tempo fra le guerre". L'evento ha chiuso la fase del progetto "Dura Madre Mediterranea" ospitata dal Festival di Montalcino: due settimane di ricerca drammaturgica condivisa da quattro autori e registi, sette attori, numerosi ospiti collaboratori. "Nel tempo fra le guerre" è uno spettacolo dell'anno scorso, questa è l'ultima replica, lo spettacolo muore: ma la sua vita è già ricominciata qui, a Montalcino, "ab origine". Vecchi attori hanno consegnato a nuovi attori i loro personaggi, ma non è una sostituzione, è una staffetta: dal punto in cui ricevono il testimone, i nuovi attori dovranno andare avanti. Nuovi drammaturghi hanno ricevuto l'eredità di storie narrate che devono ancora esser narrate, le stesse, diverse. Uno spettacolo muore, si lavora su quello. Cos'è questa vicenda d'inizi e fini, che si accavallano come le onde? Chi può dire quando comincia la vigilia di un'opera?
Dura Madre Mediterranea è una vigilia. Ha il fervore, l'operosità della vigilia. In questo assomiglia al tempo che stiamo vivendo, che è la vigilia di un millennio. Qualcosa deve accadere, ed occorre prepararsi nel migliore dei modi. Meglio ancora, occorre prepararla. Come il negretto del film "Orfeo negro" suona e canta per far nascere il sole, e il sole nasce, così noi: qualcosa accadrà comunque, e allora tanto vale prepararla. Vegliarne l'arrivo.
E come si veglia il nascere di uno spettacolo? La mitezza, e la determinazione.
Non c'è nessuna presunzione nell'identificarsi col proprio tempo,
non alziamo la voce, non intoniamo magnificat o dies irae quando parliamo
di millennio. Tanto il millennio verrà, per i cinici e per i visionari:
tanto vale calmarsi.
Non c'è nessun punto esclamativo, nessun proclama di palingenesi
teatrale, nel raccontare qui un processo. Fare spettacoli uno dopo quell'altro,
e trovare le strade migliori per preparare il successivo, non è
altro che il dovere di ogni artista, che si può fare meglio o peggio,
e che si è sempre fatto.
Tutt'al più questa operosa calma, questa sì, può essere una buona notizia, da opporre al parossismo delle novità, delle nuove drammaturgie annuali, delle nuove tendenze che nascono solo per azzerare le precedenti: degli uccelli che volano, lanciati spesso da critici annoiati, con la testa girata all'indietro, a distanziarsi da presunti inseguitori (gli stessi critici, mascherati?), e picchiano subito contro i muri del futuro, e cadono dopo ogni festival, a decine. Quando si sia capito questo, quando ci si sia sbarazzati dell'equivoco compito novecentesco di rifondare il teatro ogni volta, ci si arrende, e si comincia a costruire.
2 . La vigilia di un'opera
Dura Madre è dunque una vigilia operosa. Veglia Demetra, la primogenita custode dei racconti, e di notte ripete all'infinito la ghirlanda di storie familiari che la giustificano, e confermano la stirpe. Veglia Anna, l'antenata, in qualche suo crepuscolo impreciso, fuori del tempo, anticamera di una contigua eternità. Veglia Zoe nascitura, in un crepuscolo simmetrico al di qua, dove indugia nella pancia di Gaia ormai da anni. Le vecchie madri non muoiono, le nuove non nascono, le presenti sono incantate nei racconti: il tempo forse si è fermato, è una vigilia.
Ma la pazienza è una virtù operosa, una vigilia non vuol
dire ozio: nelle vigilie operose si prepara, si predispone, si costruiscono
dispositivi che accolgano ed anzi attraggano l'evento. I fratelli devono
rivelarsi, presentarsi con il nome e la storia, rendere la loro deposizione.
Queste deposizioni sono testimonianze del mondo, che gradualmente s'ingranano
una con l'altra, si dispongono, costruiscono il dramma.
E ancora una volta il dramma sarà la trappola in cui faremo cadere
la coscienza del re.
3 . Inventio
Inventio, dispositio, elocutio: per provare a spiegare il lavoro drammaturgico che si è svolto nel progetto di Montalcino, ci serviremo dei tre momenti della rettorica antica, le tre fasi di costruzione di ogni testo. Naturalmente si tratta di un artificio del discorso, un fantasma del rendiconto: mai una volta questi tre termini sono stati pronunciati, o pensati, nel lavoro reale.
Cominciamo con la materia prima. Circolavano a Castiglion del Bosco i seguenti materiali: brani letterari selezionati in tempi precedenti, pile di testi e fonti per ulteriori ricerche sul posto; brani d'attore elaborati anch'essi in tempi precedenti e appositamente per questo lavoro, brani d'attore da "Nel tempo fra le guerre", altri brani elaborati ogni giorno sul posto; nessi e informazioni scaturite da discussioni ed escursioni fantastiche o intellettuali in tempi e spazi ad esse dedicati (il "gabinetto drammaturgico"); e infine il testo di "Nel tempo fra le guerre", fonte primaria e guida, a cui confrontare ogni nuova scoperta, da sottoporre ad un'ermeneutica fedele, minuziosa, cabalistica.
Questa è l'inventio, che non significa "invenzione" ma "ricerca", trovarobato di grado superiore, raccolta di materiali preesistenti, o costruzione di materiali adatti. C'è subito da chiarire che i due momenti d'inventio e dispositio non sono successivi ma, come presto si vedrà, simultanei: il trattamento dei materiali preesistenti genera materiali nuovi, che vengono subito rimessi in circuito nel dispositivo. E gira il motore.
4 . Dispositio
La dispositio tratta i materiali forniti dall'inventio in modo da renderli atti a disporsi in uno schema originale e dotato di senso. Il vero dispositivo qui è una rete d'attenzione. Questa non può essere descritta, nella sua essenza: a monte, si può parlare (ma poco) di storie che per alcuni sia necessario raccontare, o di opinioni che alcuni abbiano sul mondo. A valle, si potrebbe elencare (ma sarebbe poco utile) la serie di schemi strutturali, simbolici, mitologici, drammatici, cronologici, storici, di cui questa rete d'attenzione si serve come di meri attrezzi del lavoro. Al centro, tautologicamente, si può parlare di fervore intellettuale, di curiosità, di disponibilità alla meraviglia, di sensitività ai nessi segreti, alle callidae iuncturae tra le cose.
Fatto sta che, passati in questa rete d'attenzione come in un campo
magnetico, i materiali forniti dall'inventio si elettrizzano, si
riempiono di cariche d'attrazione e repulsione, e tendono a disporsi da
soli in quella tavola di Mendeleev che è il dramma. Così,
mano a mano, si scoprono piani segreti e fatti espliciti, conferme ed approfondimenti,
o correzioni, del testo originale.
Così per esempio Nonno Adamo, presente nel testo di "Nel
tempo fra le guerre", presto si rivela labile, dotato di poche
cariche, e scompare: la capostipite è la Dura Madre Anna.
Così Tea e Ulla si rivelano figlie di una qualche Claretta Petacci
imprigionata, e si spiega come mai Ulla sia segnata, e non parli. Così
si scopre perché Fosca, nella matria della memoria, non ricordi
mai nulla, e si spiega il suo nome ed il suo umore. E così via.
Bisogna osservare come questo processo sia vitale, e quindi massimamente
faticoso, ed insieme fluente. Procede tra due istanze contrapposte: ordine
e caos, paratassi della vita e sintassi della rappresentazione. La sua
materia prima è viva, e quindi irregolare: viene dall'alea
delle fonti, delle risposte degli attori, e dello stesso intreccio di umori
e tensioni dentro il lavoro e fuori. Quando tutto funziona, viene perfino
da casi esterni, magiche coincidenze, luoghi scoperti là, incontri,
articoli di giornali, che si dispongono ordinatamente accanto agli altri
materiali, pronti all'uso.
In questo l'inventio rispetta in tutto quello che oggi si chiama
"principio d'indeterminazione", ma che si può chiamare
anche sorprendente molteplicità ed abbondanza della vita.
Ma quasi all'atto stesso in cui compare, questa materia aleatoria viene filtrata nel dispositivo d'attenzione, attraverso schemi non arbitrari (simbolici, mitologici, drammatici, cronologici, storici, etc.), che ne producono una qualche economia, cioè utilità al processo. In questo scontro filtro e materia si modificano e si adattano a vicenda, finché e possibile: quando non è possibile filtri o materia vengono abbandonati. E non si può barare: se per salvare una materia che piace si deforma un filtro oltre la sua tenuta strutturale, o viceversa, si costruisce un edificio fallato, e crollerà.
5 . Drammaturgie
Questo dunque il dispositivo, cioè la drammaturgia. In sostanza una pompa energetica capace di convogliare e disporre sul piano della rappresentazione eterogenei materiali della vita. Qui non c'è stata nessuna antinomia fra le varie accezioni di drammaturgia che si sono combattute nei convegni degli ultimi anni: drammaturgia "totale", come si è visto, che tende a coincidere con la medesima giornata di lavoro, elaborata da un gruppo; e drammaturgia "letteraria", elaborata da un singolo scrittore, ma governata dalle stesse leggi.
Lo scrittore partecipa al processo in tutte le fasi, con gli altri costruisce i filtri, propone e dispone i materiali, pranza e dorme. C'è poi un momento, in questo processo, in cui matura "naturalmente" il bisogno di un testo scritto: questo bisogno, in genere, appare prima e con più forza negli attori. Lo scrittore allora si fa filtro a sua volta, e restituisce un cristallizzazione, una sintesi, di quanto ha visto e sentito, e contribuito a mettere in circolazione nella "pompa". Questa sintesi è letteraria, e quindi personale, ma in genere, una volta tanto, non giunge straniera all'attore, al regista ed a tutti. I testi poi entrano a loro volta nella "pompa" come materiali fra gli altri, solo di grado superiore, in quanto già montati e composti da materiali unitari: non elementi ma molecole complesse.
Indice
6 . Elocutio
E l'elocutio? Elocutio nella rettorica antica è la parola, il discorso: una volta trovati gli argomenti (inventio), ripartiti in schemi dotati di senso (dispositio), rimane da metterli in parole. Cioè, nel nostro caso, da mettere in scena lo spettacolo.
Abbiamo detto che qui drammaturgia non è stata scrittura di un
testo, ma vigilia operosa, costruzione di un dispositivo, costruzione di
una trappola in cui far cadere la coscienza del re. Il re è lo spettacolo,
il prossimo spettacolo di Laboratorio Teatro Settimo, intitolato, forse,
"Dura Madre Mediterranea". La scommessa di questa vigilia,
e dei suoi fervidi lavori, è proprio questa: avere pazienza e non
avere fretta.
Per catturare bestie grosse occorrono trappole grosse elaborate, e bisogna
lavorare con pazienza. Per esempio se si sente barrire in lontananza, non
bisogna precipitarsi a correre con una fragile lancia in mano, ma star
seduti e continuare a tessere la trappola.
Settimo ha progettato una sospensione della corsa alle formalizzazioni sceniche per un tempo lungo, ma non indefinito. In questo tempo possono esserci risultati parziali, alcuni con un grado di finitezza che li renda presentabili al pubblico. Nella fase precedente del progetto, anzi, due tappe sono state addirittura allestite come spettacoli finiti: "Istinto occidentale" e "Nel tempo fra le guerre". Ma ora il processo si rilancia in una fase d'apnea, che non prevede vere e proprie produzioni.
7 . Aknowledgements
Questo sistema è francamente un lusso. Per potersi permettere un lusso bisogna essere ricchi: ma ci sono diversi tipi di ricchezza. Un tipo di ricchezza indispensabile a chi fa teatro è il credito artistico presso i promotori del teatro. E il credito accomuna nel merito chi lo concede e chi lo ottiene.
Qui allora è doveroso un discorso di aknowledgements,
di riconoscimento, e riconoscenza. Dobbiamo a Franco Marzocchi e Angela
Dal Piaz, ed al Festival Montalcino Teatro 1989, questo lusso dell'arte
che tutti insieme ci siamo concessi. Che poi sia un lusso in termini esattamente
contrari a quelli usuali, cioè un lusso che comporta più
lavoro, più rischio e meno guadagno che nelle situazioni di produzione
corrente, è una cosa che tutti sappiamo, e che a Montalcino abbiamo
semmai riconfermato.
Facile sarebbe stato per Settimo imbastire un allestimento finale da portare
in qualche altro festival estivo col marchio di Montalcino, e poi, come
si usa, da lasciare morire in pochi mesi. Siamo grati invece al Festival
di avere compreso l'esigenza di un gruppo d'artisti di non lavorare su
ciò che è facile, su ciò che sanno già fare,
ma su ciò che ancora manca, e che stanno cercando. Li ringraziamo
per aver investito, concretamente, sulla ricerca.
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LA VIGILIA
DI UN'OPERA
Diario
tenuto da Bruno Tognolini
Le quattro e mezza del pomeriggio, Bruno è il primo che arriva, parla con Franco Marzocchi, beve una birra. Alle cinque arriva il primo furgone: Roberto, Mariella, Luca. E' il tramonto quando arriviamo a Castiglion del Bosco, e il sole - che non si farà poi vedere per due giorni - cade di lato sul viale centrale della villa. Noi quattro facciamo la visita del posto, guidati dal marchese giovane, di nome Marco, da Franco Marzocchi e da Angela Dal Piaz. Sembra un piccolo paese minuzioso, con un piccolissimo incrocio al centro, la casa del marchese, la cantina, una cappella con l'affresco del Lorenzetti, altri edifici lindi con teste di cervo a decorare le facciate. Più in alto una bella scalinata tra i cipressi porta alla Rocca (i suoi pochi resti), ed accanto un'altra residenza per gli ospiti, in tutto simile ad un'illustrazione per ragazzi.
Noi prendiamo possesso delle stanze nella prima casa che si incontra
venendo dal paese, chiamata, credo, La Chiusa. Più tardi siamo a
mensa, dove mangiamo i cibi preparati dalla cuoca Santina, e lì,
dopo che sono arrivati Gabriele e Laura col secondo furgone, e Lucilla
col treno e la corriera, finalmente ci siamo tutti e sette. Sono le dieci.
Rimane da tornare alla villa, dove Gabriele e Laura visiteranno i posti
come il buio assoluto permette, e coll'andare a letto chiudiamo la serata
dell'arrivo.
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Alla mattina piove già. La villa dista quattordici chilometri da Montalcino, di cui otto di strada sterrata. Le colazioni sono laboriose perché occorre munirsi di attrezzi da cucina. Partono numerose spedizioni verso la casa del Marchese, per chiedere fornelli, sedie, un tavolo, altri generi e misure di insediamento. La mattinata trascorre nell'insediamento.Ci facciamo aprire dal Marchesino Marco il piano di sotto della nostra casa, che con alcuni traslochi viene adibito a zona giorno: cucina, studio, deposito dei materiali. Molestiamo, e molesteremo per tutto il tempo, una famiglia di rondini che ha il nido nell'atrio di questo piano abbandonato.
La spedizione a Montalcino per il pranzo parte nel furgone, la strada pare lunga e disagevole, piove sempre. Si risolve di ridurre queste spedizioni ad una sola al giorno, forse per pranzo. Nel pomeriggio cominciano i lavori. Roberto, Laura, Gabriele e Bruno nello studio iniziano gli accostamenti drammaturgici; Mariella, Lucilla e Luca scrivono in siti personali che si sono scelti.
Nello studio la prima parte del lavoro è dedicata agli aggiustamenti per "Nel tempo fra le guerre" da rappresentare il 16: sostituzioni d'attore, adattamenti dei testi, dell'azione. Poi parte il lavoro drammaturgico, dove viene chiesto a Bruno di comunicare il suo tragitto di accostamento personale dalla visita a Settimo, in maggio, fino ad ora. Di lì per alcune ore si parlerà, in quella forma che gli americani chiamano "brain storming". Il Colonnello è l'istinto occidentale, le Madri sono le culture scomparse. La forza che spara fuori l'uomo occidentale dalle sue terre, e lo spinge a scoprire, e poi fatalmente distruggere, nazioni e culture. Cortes e gli Aztechi, Ulisse, gli Aborigeni. Come siano forse sfumati i contorni dei vincitori e dei vinti in questa partita, guardati nella prospettiva dei secoli, o di altre e più misteriose eredità. Le sette Matrie sono i sette Continenti (sei + uno)?
Questa sera ancora parte il furgone per Montalcino, ma Bruno e Luca
stanno a casa. Dopo cena, preceduto da un inatteso concerto di nenie e
stornelli genovesi (un nastro di Luca), accade un racconto di stalla. In
una delle due stalle contigue alla casa, illuminata con una quarzina, prima
Mariella e poi Lucilla raccontano ciò che nel pomeriggio avevano
scritto: la storia di "Nel tempo fra le guerre" dall'inizio,
ab origine, dalla loro prospettiva. Sono due lunghi racconti d'attrice,
ma con due diverse sfumature: il racconto di Mariella è corretto
da un'aria di famiglia, in quello di Lucilla filtra l'ambiente del teatro.
In entrambi i due piani di realtà e finzione, come si fanno avanti,
cominciano subito a scivolare uno nell'altro. I nomi degli attori vengono
alternati coi nomi dei personaggi, in apparente disordine; gli episodi
e gli aneddoti delle prove sono (o sono narrati come se fossero) confacenti
alla vicenda del testo; gli attori arrivavano al teatro come i fratelli
arrivavano alla casa. Questo numeroso intrico sanguigno fra teatro e vita
è certamente un preciso modo di produrre: in questi racconti dei
retroscena si vede la larga innervazione a monte che poi convoglia e scarica
in scena la forza. Il racconto di stalla è accompagnato da poco
vino, e da falene grandi come uccelli. Sono le due e mezza della notte
quando si interrompe, e Luca, che aspettava il suo turno, dovrà
raccontare domani.
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Ancora pioggia. Oltre gli alberi di rimpetto alla casa la valle è colma di fumana, la pioggia è soda, e non si vedono le valli successive. Il movimento delle colazioni comincia tardi, tutti si fanno sulla porta con caffè o sigarette, per vedere questo luglio autunnale che dà spettacoli impropri. Oggi è la giornata degli arrivi, ed occorre preparare l'accoglienza. Si formano incontri e confabulazioni, assegnazioni di compiti. Gabriele consegna a Lucilla l'incarico di guidare il lavoro d'amalgama per i quattro attori che arriveranno: come ieri nella stalla è stato raccontato, saranno ancora le camminate a costruire il respiro comune, i fratelli devono mettersi al passo.
Nello studio, per un'ora prima di pranzo, si anticipa il tema del lavoro del pomeriggio: rivedere la presentazione di ciascun fratello, così come avviene in "Nel tempo fra le guerre". L'attenzione si ferma sui tre preti, ma subito è ora di andare. Per pranzo Santina ha fatto i maccheroni con la pummarola, l'arrosto, i finocchi e le zucchine al forno; e dopo pranzo ci prepara una cassa di approvigionamenti: saponi, vino, tè, olio, zucchero, uova, biscotti, tovagliolini, caffè. Dopo pranzo a tutti sembra un po' lunga l'attesa, prima di ripartire. Occorre procurarsi delle sedie, di cui nella casa c'è una penosa carestia: ne carichiamo 14 in furgone.
Alle cinque e mezza comincia il lavoro degli accostamenti, nello studio. Chi sono i tre fratelli preti, Padre Procolo, Padre Marziale e Padre Hacca? Da quale continente arrivano, alla casa? Perchè sono partiti? Affascina il "topos" epico dell'elencazione dei fatti mirabili veduti, nella forma "Ho visto... ho visto... ho visto"; si avvicinano esempi eterogenei: Borges, nell'"Aleph", Roy, il super-replicante di "Blade Runner", Edgard Morin. Affascina la leggerezza con cui Corto Maltese si trova sempre nel punto giusto al momento giusto, o sbagliato: guerre, rivoluzioni, complotti, da Venezia al deserto del Gobi alle Guayane. Leggerezza: come fare per dare agli eventi la luminosa nebbia metastorica dell'avventura, e parlare però di fatti precisi della storia? Trovarsi sempre nell'immediata periferia dei grandi scontri, nel paese vicino, o pochi giorni prima, e insieme oscuramente prendervi parte, o determinarne le sorti addirittura? Ma tutto ciò appartiene al Colonnello, semmai. Scopriamo invece altre cose sui tre preti, con l'aiuto del Calendario Atlante De Agostini. Padre Procolo è un mistico, solitario, non è neppure un vero prete, assomiglia più a Rain Man che a Don Ciotti, e forse addirittura è sempre stato lì - o è arrivato bambino.
Intanto Laura, Mariella e Lucilla complottano un'adeguata cerimonia di accoglienza, si preparano per tutto il pomeriggio. Quando infine arrivano i nuovi, che Gabriele e Roberto sono andati a prendere in furgone, sono le dieci, e tutto è pronto. Demetra, Fosca e Gea fanno gli onori di casa. Antonio, Maurizio, Silvia, Giuseppe, Renata, vengono accompagnati nella casa dove alloggeranno, poi tutti siamo seduti intorno al fuoco acceso nel camino, nella zona notte della casa di sopra. Il fuoco acceso nel camino si addice ai racconti, ma non all'estate australe, e il luglio piovoso e freddo è complice di questo disordine di segni. I racconti però vengono bene come se fosse pieno inverno. Qui si scopre che il grado di miscela fra il teatro e la vita, che già appariva nei racconti di ieri, può essere evidentemente modulato, spostato sull'uno o sull'altro dei due poli. I racconti sono i medesimi di ieri, ma questa volta parlano Demetra, Fosca e Gea, non Laura, Mariella e Lucilla: raccontano l'arrivo degli attori nel teatro, nel maggio scorso, le selezioni, le attribuzioni dei ruoli, le prove. Ma dicono sempre "casa" e "fratelli", non "teatro" e "attori". Qui i personaggi presentano gli attori, ma non è Pirandello. La direzione dei flussi fra teatro e vita non è invertita controcorrente a viva forza, ma accompagnata secondo i suoi fluidi naturali, dove essa può andare. E ancora racconta Luca: la sua memoria di "Nel tempo fra le guerre", di spettatore e di tecnico. Questi racconti, come poi spiega Gabriele, sono tentativi di fornire ai "nuovi" una memoria che non hanno: memoria del processo di lavoro in cui stanno entrando, memoria delle vicende e delle saghe familiari che i personaggi in scena non raccontano, ma che coprono loro le spalle, e memoria del loro lessico famigliare.
E' Gabriele infine che chiude la serata d'accoglienza con alcune descrizioni
e spiegazioni più "fredde" sui processi. Presenta tutti,
uno per uno, ai "nuovi". Poi a letto. L'una.
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Stamattina il cielo pare meno accigliato. Nuvole ovunque, ma in viaggio. Infatti fino alle cinque sarà un cambio di luci ininterrotto, spesso brusco: sole, scuro, sole, scuro. Nel cortile di fronte all'ingresso della casa di sopra partono le camminate degli attori, e gli altri esercizi di costruzione dell'amalgama, guidati da Maurizio e da Lucilla. Immagazzinare chilometri e sguardi condensati, per supplire i chilometri e gli sguardi diluiti negli anni di una fratellanza di bambini, spiagge, scuole, zie. Intanto Laura e Mariella lavorano il brano dell'Angelo per "Nel tempo fra le guerre" che andrà in scena il 16. Bruno e Antonio scrivono questi diari.
All'una e mezza, che diventerà l'ora fissa d'ora in poi, parte il furgone per il paese e per la mensa. Qui ci sono attori e gruppi che mangiano: non tanti, alcuni noti, altri no, tutti in genere amici di Lucilla. C'è Giulia Anzillotti che ha sorrisi dolcissimi per ognuno. C'è Santina, che questa volta presenta caldi ma non cotti pomodori ripieni che andavano freddi e crudi. La ribollita in compenso merita i bis che riceve. Seguono le noie dei traffici per le partenze, inesorabili nei gruppi numerosi e non inquadrati militarmente.
Nel pomeriggio, alle cinque, il cielo che aveva accumulato tempesta già da un po', soddisfattissimo la scarica sul creato: questa volta è un nubifragio, con lampi e scoppi, e buchi di corrente che costringono chi scrive col computer a chiudere tutto e tornare alle carte. Ecco l'ora degli accostamenti drammaturgici. Questa sarà una riunione piena di rivelazioni. Demetra è dunque "Eva Luna", Di Isabel Allende. Sfuma nella lontananza Nonno Adamo, viene avanti la Nonna, che prende il suo posto nella "A", chiamandosi Anna. Prende forma dalla nebbia una stirpe matrilineare. Il Colonnello è un labile, ha crisi di forza ricorrenti, ed allora si sposa, fa figli, si rigenera ed è pronto per un'altra guerra. Peter Handke ci descrive in dieci righe agghiaccianti la vita intera di una "mater dolorosa": questa è madre di figli maschi, si conclude, non di femmine. Allora è madre dei preti, come del resto Peter Handke sembra quasi Padre Hacca in tedesco, o almeno le sue iniziali. Allora la prima matria, morta la madre, partito il Colonnello, viene cresciuta dalla Nonna. E magari la Nonna è ancora viva, dentro la casa in qualche posto santo. Vertigine: sarà lei la "Dura Madre"? Vedremo. Ancora: i fratelli non sono felici, perché sono andati lì? Perché ci stanno? Chi è l'assassino allora, il Colonnello? Ma se non si sa nemmeno se esista davvero, il Colonnello: appunto. Seguono altre vertiginose rivelazioni, che verranno lasciate lì a lievitare, come è giusto.
Nel mentre gli attori preparano gli spettacoli giornalieri per la notte, sparsi in diversi punti del paesaggio. Questi si possono chiamare in molti modi: racconti, spettacoli giornalieri, comunicazioni, e così via. Scopriremo di notte che alcuni attori li chiamavano "provini", e ridevano ma erano apprensivi. La cena è in casa, intorno al tavolo rotondo con dodici coperti: uova, insalate, teglie allestite da Santina a mezzogiorno coi pomodori di cui sopra, salame, patate, anche troppo.
Sono passate le dieci quando comincia la promenade nei dintorni scuri della casa. Non piove più, i lumini delle lucciole lampeggiano, mentre quelli delle stelle stanno fermi. Il pubblico gira con le sedie in mano, inciampa e cade, Antonio più tardi perderà i suoi occhiali nella notte. Prima viene Demetra, sulla soglia della casa. Questa volta, sorprendentemente, Demetra, la terra serena e ferma, appare tesa, buia, in pericolo: presentando l'inizio di "Eva Luna" fa molte rivelazioni importanti intorno a sua madre, che finiscono per sconvolgere un po' Gea, che viene subito dopo, in cucina. Gea però riprende presto il suo buon umore, e anche una nuova forza comica: nella radio che deve aggiustare, aperta e brulicante di lumini (ecco il primo indizio di Lucio il costruttore, ora assente), riconosce e compita ancora una volta l'elenco dei fratelli. Fosca conferma presso una fontana illuminata nella notte il suo nome. Buio nella memoria, la storia si è complicata, non viene più bene neanche l'elenco familiare dei fratelli: Fosca non è contenta, e nemmeno Mariella. Ma non fa niente, la notte continua, prende una sedia in mano e viene via anche lei. Verso Renata, seduta in un angolo, in una camera da letto (Bruno registra un'osservazione: avevo ben visto in questi ultimi dieci anni le dislocazioni spaziali del teatro, le platee disambientate, ma non avevo visto mai il pubblico teatrale accomodarsi numeroso sul mio letto). Renata è una figlia contratta all'infinito letto di morte della madre (Ingrid? Lilith?): il testo è di Cortazar, da "Ottaedro". Poi Luca, il nuovo Nano, vestito da sposa sul limitare del recinto del tempio, da cui Cassandra (Di Crista Wolf) dice le sorti di tutte le guerre, non di una sola, e dei soldati nani come lui. Allora tutti ci stringiamo in un sepolcro ipogeo (che è un porcile abbandonato) e sentiamo nelle tenebre un respiro: Silvia, sepolta viva, con uno scheletro di pietre addosso. Ignoro il brano, ma quando Silvia infine si alza in piedi è una gigantessa nella stanza, con la testa che tocca il cielo: è solo il primo dei trucchi percettivi che capiteranno casualmente questa notte. L'altro è infatti l'eco recisa di una voce che predica alla valle. Un prete, Giuseppe, non so quale dei tre, che rovescia minacce di pene eterne sui costernati seduti poco più sotto. E l'eco risponde. L'intenzione dell'attore, il testo (Da Isabel Allende e da certi breviari), l'eco, la stanchezza e l'ora girano subito in comico l'azione, e ridono tutti. Così finiscono gli spettacoli giornalieri, o i "provini".
Ma ci sono altre tre ore, prima di andare a letto. In cucina, tutti seduti intorno, ognuno dice - come Gabriele ieri aveva chiesto - perché secondo lui il Colonnello ha nominato i figli secondo l'alfabeto. Non scriverò qui tutte le risposte, ma solo una lista di temi che sono emersi sopra gli altri: dare ordine alle cose secondo schemi, ordinare secondo le parole (il "logos", il "verbo") ogni nascente universo, scrivere il futuro (Genesi, Cabala, Borges). La riconferma delle dinastie (Riccardo I, II, III), i motivi mnemonici e sbrigativi delle stirpi povere, per cui contano altre cose (figli chiamati Primo, Secondo, Terzo). Un trucco per insegnare a scrivere ai bambini, un sussidiario vivente. Il caso determina l'inizio della serie, l'intenzione la prosegue sulla traccia segnata: Adamo, Beatrice, Colonnello, e poi D, E, F...
Un codice di riconoscimento, o un programma di limitazione delle nascite,
o perlomeno dei ritorni nella casa. E così via, verso il mattino.
Un altro giro di discorsi, ed un altro compito assegnato ieri, è
quello che racconta per ognuno l'origine della sua storia con "Dura
Madre". Sono le tre e mezza quando si sciolgono le righe.
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Oggi è il primo giorno di sole pieno e franco. Da quest'oggi il diario sarà più conciso, perché il suo redattore deve leggere e scrivere altro. Il traffico comincia come al solito alle undici: colazioni, passeggiate e corse degli attori, letture e scritture di lettori e di scribi. Salvo scambi di campo, quando per esempio il redattore di questo diario viene sollecitato da Mariella ad unirsi alle camminate. Una spedizione parte presto per Montalcino, in orario d'apertura di negozi, e raccoglie ordinazioni di molti generi civili, per esempio giornali.
Il pranzo non so dire come sia, perché con Mariella e Laura decido di stare qui, e mangiamo bruschette olio e basilico e altre frugalità. Da Santina vivandiera arriveranno però teglie di trippa, di pollo, di zucchine.
Dopo la sosta del pomeriggio, alle cinque, la confabulazione nello studio (cioè la fabulazione collettiva) questa volta è breve. Si parla delle presentazioni individuali, farsi avanti con nome e curriculum di tutti i personaggi. Si raccolgono molti esempi sui nomi e sulla loro importanza nel filo degli eventi: da Borges, agli antichi Egizi, ai molti nomi che - secondo Eliot - possiede ogni gatto, a Turandot. Nome pubblico e nome segreto di ognuno. Ecco spiegato perché nei racconti nomi d'attore e nomi di personaggi si alternavano così. Poi, con il compito di raccogliere esempi letterari di presentazioni nominali ("Mi chiamo..., mi chiamano..., il mio nome è..." etc.), ognuno si apparta. Nel frattempo anche gli attori lavoravano appartati per i "giornalieri" della notte: chi da solo, chi con l'aiuto di Roberto o Maurizio. Compito: sviluppare secondo indicazioni le presentazioni di ieri notte.
Ed ecco l'astratta notte. Sfortunatamente, possiamo dire poco di ciò che accade fino a mezzanotte, perché il redattore lavorava in una stanza con Silvia, ad impastare le righe del racconto di Marguerite Yourcenar che è la sua presentazione di una madre. Sappiamo però che il drappello di curiosi (Gabriele, Laura, Antonio, Maurizio) ha visitato il lavoro di Renata (da Cortazar), con successiva discussione. Segue Lucilla, Gea, la Terra Gravida, alla prese con la sua radio in cucina. Due possibili rivelazioni, su questo fronte: Gea è (o si sente) diversa e forse discriminata dalle altre due sorelle della matria originale perché non ha mai visto il Colonnello; in questo è più vicina agli altri fratelli, e forse complice loro: Gea è un trait d'union? Inoltre: Gea è invece la più forte di tutte, perché è lei che genererà la Madre Futura della stirpe (quando le farà comodo). Ma avanti: Fosca, sul declivio accanto alla casa, vicino alla fontana. Più brusca che mai, brontolona, cava fuori abiti su abiti da sposa e li stende. Ce l'ha con tutto, i mugugni sono equamente divisi fra teatro e vita: hanno la loro parte i fratelli personaggi, e tutti gli altri che passano di lì e le danno compiti d'attrice. Il tema diventa netto: memoria labile sui testi e sui racconti di famiglia, memoria salda e testa per i conti. Più che discutere regista ed attore, battibeccano regista e personaggio intorno a queste cadute di memoria, ed il comico in breve è padrone del campo. Poi Luca: nel suo porcile che è un tempio, vestita da sposa, Cassandra, il soldato, questa volta parla piano, canta, immobile ma attraversata da scosse. Il pezzo richiede un bis, per veder meglio. Alla fine l'indovina, cantando, diventa un porco, ma nemmeno il tempo di acccorgersene e svanisce. Niente discussione, questa volta.
Discussione invece attorno alla tavola rotonda, nella cucina. Don Tarcisio,
Giuseppe, legge una dissertazione da Agostino, "De Magistro".
Non sequitur. Segue infatti Gabriele. Compiti per ognuno: ipotizzare, per
i sei atti brevi degli attori, la circostanza, la situazione in cui avvengono.
Perché questi fratelli adulti vivono insieme in una casa, perché
ci sono venuti? Ipotizzare una spiegazione. E poi letture: per brani scelti
nell'arco di tre libri, Gabriele mette in evidenza un percorso di Guimaraes
Rosa. Si potrebbe chiamare "il progressivo sfondamento dell'io",
da sotto la lastra della terza persona, del racconto "oggettivo".
La necessità ineludibile di farsi avanti e "rendere una
deposizione". "Rendere": occorre capire meglio i modi
ed i motivi della "resa", che lampeggia elusiva nel "Tempo
fra le guerre". Forse portare in superficie l'io che parla, che
vuole parlare, che vuole rendere una deposizione, può non essere
un atto di protervia, ma, oscuramente, una resa. Vedremo. Come altre volte
si ha la sensazione di disseppellire tesori drammatici, e poi ricacciarli
sotto. Ma lasciando sporgere fuori una bandierina. Per andare poi a letto.
Sono le tre.
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Ore undici. Prime colazioni, e operazioni mattinali di routine. Parte la musica della marcia, che è il segnale delle camminate frontali dei fratelli, i quali convergono da varie direzioni. Giuseppe ha le vesciche nei piedi, Maurizio guida il training. Antonio e Bruno scrivono i diari.
Per il pranzo oggi parte la macchina di Bruno, con Luca, Lucilla, Maurizio e Renata. Santina brontola, un po' sul serio e un po' per scherzo, la nostra incostanza nel presentarci alla tavola in numeri sempre diversi, cosicchè non può mai calcolare. Poi ci prepara tre casse di derrate.
Il lavoro del pomeriggio si sparge nei suoi vari siti. Maurizio lavora con Renata nella camera da letto del lutto materno, Laura con Mariella alle radici dell'amnesia di Fosca. Luca, Lucilla, Giuseppe e Silvia lavorano da soli ai loro brani. Nello studio, ulteriori accostamenti al dramma. Novità del giorno: Gea in realtà si chiama Gaia. Fosca forse è così sempre fosca e smemorata perché lei ha conosciuto il Colonnello ma non se lo ricorda, quindi non può essere sicura che esista. Tea è un po' pazza visionaria, o forse semplicemente contaballe: il suo racconto di madri murate e fratelli uccisi (che ora torneranno mariti, come nella versione originale della Yourcenar) in realtà cela una madre in galera: questa storia nuova di Tea e Ulla, che si rivela, è una storia di amori, rivoluzioni e controrivoluzioni, fughe, sacrifici di donne per ragioni di stato (lo scheletro che sostiene le fondamenta della torre), che naturalmente ruota attorno al Colonnello. Tea e Ulla ne verranno segnate: una un po' visionaria (ha visto la madre in galera allattare Ulla attraverso uno "spiraglio"?), Ulla un po' scema (forse autistica).
Cena popolosa nella cucina, coi gomiti stretti: l'insalata russa arrivata dalle cucine di Santina riscuote un degno successo. Le patate bollite vengono condite con una salsa cruda che Antonio ha preparato saccheggiando alcuni orti della contrada, con erbe aromatiche e freschissimi odori.
Dopo cena il giro delle visite ai "giornalieri" degli attori. Renata. Il brano viene ripetuto per intero, con i suggerimenti di Gabriele: togliere astrazione, collocare, rivolgersi a qualcuno preciso. Silvia si siede sull'altro letto, è l'amica che ascolta lo sfogo, è autorizzata a rispondere. La malattia di cui è morta la madre è un enfisema: mimesi del respiro e dei gesti del concreto dolore dovranno entrare nell'azione di Renata. Poi Fosca. Ecco: qui si vede il risultato di un processo che può trasformare un disagio dell'attrice in testo del personaggio. Fosca si presenta, con un nome che offusca la memoria, coi buchi di conoscenza, con la paura della perdita delle cose, ed allora bisogna nominarle spesso (chiamarle, come dice Celati, e come Bruno scriverà in un breve brano, che poi le dà, più come segno di gratitudine che come consegna drammaturgica). Perché le cose non vadano via bisogna chiamarle, e poi bisogna tenere il conto di quanto costano, risparmiarle, comprarle, amministrarle. Ci sono delle ragioni perché Fosca si comporta così, e le stiamo imparando. In cucina Lucilla è un po' esasperata: ha lavorato da sola tutto il giorno, come del resto i giorni precedenti, e senza indicazioni sostanziali da parte dell'"ufficio drammaturgico". Oltretutto attende lì, pronta con la sua radio, da parecchio tempo, forse da più d'un'ora. Il suo brano è preciso, tutto il lavoro che poteva fare su quel materiale (in sostanza ancora una presentazione dei fratelli) l'ha fatto, ma è ora che riceva notizie più precise e favolose intorno a Gaia, alla sua storia, ai suoi possibili racconti. Infine Luca. Anche la sua versione di Cassandra viene di sera in sera cesellata, variata, arricchita. Ma anche a lui occorrono le sponde per il cammino da Cassandra a Nano. Domani si affronteranno queste due piste.
La tavola rotonda dopo cena è dedicata alla lettura dei due diari. Prima si legge questo fino al quattro luglio, poi quello di Antonio, quindi ancora questo per il residuo cinque, up to date. Gli attori riuniti, e l'altro personale di penna e di scena, accolgono l'opera dei segretari degli eventi con numerose risate, per nomi e fatti che riconoscono, o che ricordano avendoli già dimenticati, o per fatti che da questa lettura vengano rivelati ("soffiate" che filtrano dallo studio della drammaturgia). Le due versioni hanno alcune buone complementarietà, di fatti omessi dall'una e segnalati dall'altra, o di letture e commenti diversi di stessi fatti. Alcuni aggettivi, per esempio per Fosca "brontolona", ricorrono nelle due testimonianze. La fatica dei due segretari di memoria, in sostanza, viene adeguatamente apprezzata: questi due diari serviranno. L'onda del buonumore si allunga, e le discussioni che seguono sono ferventi. Compito assegnato ieri da Gabriele: perché i fratelli sono andati nella casa del padre, perché ci restano? C'è il buio alla spalle, non sanno dove vanno, stanno insieme per solidarietà (Maurizio). Li hanno mandati lì le madri, stanno insieme per povertà (Renata). Lì è un altro posto, lì tutto è possibile, anche che diciasette fratelli vivano insieme; poi il Colonnello è un eroe, qundo lui lo dice, si va (Laura). Sono i tre preti che li tengono lì, per salvare i frantumi di una civiltà, come i monaci nel medioevo (Maurizio). Forse aspettano le madri, forse anche loro potrebbero arrivare; poi hanno bisogno di una casa (Mariella). Sono una ditta, si accorgono che soli non sono niente, tutti insieme formano un universo (Lucilla). Disperazione, povertà, smarrimento: stanno insieme per contrastare solitudine - Pavese - matrimonio - Macbeth - paese, nazione, mondo; se un gruppo fa identità, un gruppo di adulti fa subito progetto, scelta, è subito un gruppo di lavoro (Luca, ma Gabriele gli chiede di scrivere tutto questo). Ancora altre motivazioni, ancora qualcosa da dire, qualcosa da fare, finché ce n'è qualcuno in piedi. Questa notte sarà davvero lunga: andiamo a letto oltre le quattro, le luci si spengono quando il cielo è chiaro.
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Ma c'è qualcosa di faticoso, di febbrile, nella luce del giorno salutata alle undici dopo averla già vista alle cinque, senza la celebrazione del buio, senza il riposo lunare. Diversi si aggirano infatti stralunati alle colazioni, a mezzogiorno, il sole è velato. Bruno oggi salterà un turno di diario, per inconcludenza, e in questo momento che scrive di venerdì in realtà è domenica mattina. Roberto viene, e mi dice che oggi aspetta la famiglia. Mentre gli attori fuori cominciano a studiare con Lucilla il brano corale del cinema, Gabriele, Antonio, Roberto, Bruno, nello studio, discutono qualche matria che non ricordo, mentre Luca attende che si parli di Nano. Poco dopo, infatti, siamo fuori, nel salotto che da qualche giorno s'è installato con un tavolino e due poltrone presso le scalette che scendono alla strada. Come giungere da Cassandra a Nano, il soldato. E' figlio di Cassandra? E' figlio dell'orrore: l'orrore di "Apocalipse now", di Alvarado, di Achille la bestia. Quando guardandosi intorno non ci sono più dei, più leggi, quando il gioco prende la mano, e si sterminano popoli. Ma basta uno solo: l'ufficiale di cavalleria scarica il suo winchester sul pellerossa che corre via ululando dopo averlo toccato con un bastone, per "segnare un punto", per l'onore. E' già l'orrore. "Così si fa!". Il resto viene da solo, e non c'è limite al peggio. Nano è l'unico soldato dei figli di un soldato. Per quella ybris che assegna ai figli l'esecuzione radicale delle conseguenze degli atti dei padri, Nano diventa, fatalmente, quello che il Colonnello poteva rischiare di essere, e non è stato: perché lui è il Colonnello, e perché non ci serve più a niente costruire un padre colpevole di tutto. Il campo è vasto, ricco, parrebbe che gli uomini non abbiano ragionato, scritto, cantato d'altro nei millenni. Ma a Luca infine non viene consegnato altro che questa vastità, che questo deserto pieno di fantasmi. Luca non insiste, ha tempo, abbiamo tempo.
A pranzo siamo lì tutti, questa volta. Tranne tre che vanno da Santina a fare scorte per il fine settimana. Ci sono fagiolini lessati in una busta di plastica, patate fritte in un'altra, frittatine di uova, penne ai funghi.
Pomeriggio. Qui devo dire una cosa che avrei dovuto dire prima. Laura sta imparando sul computer il sistema di scrittura chiamato Word. Bruno ha portato il suo computer, imballato in scatole, da Bologna, ed è stato montato nello studio drammaturgico, a confusione di chi è convinto che la tecnologia sia al solo servizio del mercato, e in generale di chi ci vuole male. C'è da dire che alcuni guardano la macchina stolida con una certa soggezione. Gira la leggenda di Umberto Eco alchimista elettronico o Faust, che si fa scrivere "Il Nome della Rosa" dal demonio. In realtà si tratta di uno schiavo segretario che copia e ricopia quanto tu gli detti, e lo ordina nell'ordine che vuoi, ma assai in fretta; o poco più. Laura da settimane prima della partenza aveva chiesto a Bruno di poter imparare, ed ora lavora un po' ogni giorno su un programmino di autoistruzione all'uso di Word, chiamato Tutorial, che Bruno ha portato apposta. Come al solito, è brava, e Bruno deve seguirla solo un po' i primi giorni.
Quanto all'ufficio drammaturgico, oggi il suo lavoro è diverso dalla normale prassi. Gabriele, dopo una breve discussione d'impostazione del lavoro, va via. Lavorerà con Silvia e con Renata per tutto il pomeriggio. Antonio consegna a Bruno una selezione di brani da "La casa degli spiriti" di Isabel Allende, come possibili fonti per la scrittura del testo che Lucilla attende da un po'. Questa parte di Lucilla dovrà narrare dei litigi fra il Colonnello e Beatrice, madre delle tre; litigi cui solo accennerà Fosca, nel raccontare la morte della madre. Una provvidenziale visita di Roberto corregge la traiettoria sbagliata che avevamo preso: era un piano poverello quello che intendeva questi contrasti dovuti a insodisfazioni o motivi sessuali. C'è di più. La questione dei nomi dei figli, dell'ordine alfabetico, con le ipotesi avanzate da tutti noi la notte di martedì quattro, entra nella vicenda. E' Beatrice che decide il sistema di nominazione, a dispetto del marito. La strada è aperta, e segnata: Bruno scrive. Presto il centro drammatico del conflitto fra i due risalta chiaro: è il nome segreto. Beatrice conosce il nome segreto del Colonnello. In altre parole, semplici ma infinite, "sa chi è" il Colonnello, suo marito. E quando glie lo dice in faccia il suo nome segreto, quando gli dice in faccia che lei sa chi è, quando gli dice in faccia chi è, lui la colpisce. Ed è da allora che non si parleranno più. Perché, attenzione: lui non sa il nome segreto di lei, glie lo chiede poi in lacrime, pentito. Ma i nomi segreti non si chiedono: un bellissimo libro di Natalia Ginzburg, che parla di questo, è intitolato "Mai devi domandarmi".
Dopo cena partono i giornalieri degli attori. Solo quattro, questa notte. Comincia Giuseppe, che da giorni taceva, e che anche oggi ha lavorato solo brevemante con Maurizio. Qui ci sono delle tensioni, delle attese personali e professionali che vengono percepite disattese. Ne parleremo poi alla tavola rotonda. Per ora Giuseppe è un prete visionario flagellatore, che parla solo da lontano, senza mostrarsi, attraverso un tubo che deforma e moltiplica la voce. Poi Gaia: nella sua cucina, come ieri, lodevolmente ripete la lista dei fratelli, in cerca di accelerazioni, motivazioni, variazioni interne al brano. Poco sugo, ma ormai è questione di tempo: le novità nel suo lavoro devono arrivare da fuori. Ecco Demetra, sulla sua sedia del racconto. Il pretesto dell'azione è cambiato: in peggio, dirà alla fine Gabriele. L'azione è stata collocata in uno spazio alieno, una sala d'attesa in cui lei aspetta un imprecisato turno. A questo spazio povero che invade la notte stellata di campagna, anche il personaggio reagisce in modo più povero ed alieno: si sbraccia, a disagio, per essere sicuro d'essere lì. Marcia indietro, demolire la sala d'attesa, ripristinare la notte dei racconti. Infine Luca. Anche per lui dobbiamo ripetere quanto detto ieri: cesello, modulazioni della voce, declinazioni dei verbi degli attori. Ma qui aggiungo una nota personale: fuori da Dura Madre, fuori dalle sue possibili collocazioni in un quadro più grande, come brano autonomo, la deposizione di Luca per Cassandra è bellissima. "Così si fa!".
Notte delle parole, nella cucina. Oggi parla Giuseppe, e rompe un silenzio.
Dice che si sente solo nel lavoro, senza indicazioni, sbalzato dalle prassi
teatrali a lui familiari e non indirizzato in altre nuove, trascurato da
coloro che dovrebbe chiamare fratelli, minacciato da Demetra, solo confortato
da Fosca. Ci sarebbero altre deposizioni in questo senso, ma il discorso
da Gabriele per il momento viene convogliato su un piano oggettivo: è
giusto, in fondo siamo qui per lavorare. Le azioni e le reazioni personali
esigono un quadro di riferimento per essere, prima che interpretate, comprese;
se fossimo una ingombrante compagnia d'amici in gita, il quadro serebbe
quello delle dinamiche interpersonali; se fossimo in un ritiro spirituale,
il quadro sarebbe l'amore e la carità; se fossimo un gruppo terapeutico,
il quadro sarebbe la psicoterapia; siamo un gruppo di produzione teatrale,
e il quadro è il teatro. Si parla di teatro. Di modi di produzione,
di tempi, di ruoli, di soldi. Siamo anche persone, le reazioni e le emozioni,
anche quelle negative, non sono proibite: non si esige che vengano appese
al guardaroba fuori del teatro con il cappotto, ed infatti non siamo in
un teatro. Ma basta guardarsi intorno, basta un po' d'attenzione: si vedrebbe
come altri, forse tutti, distillano faticosamente le forze e gli attriti
in materiali di scena, qualunque essi siano, atto d'attore, scrittura,
direzione del processo, o lavatura di piatti. Questa è una navigazione
d'alto mare. Ci vuole pazienza. Non ho descritto le fasi della discussione,
mi rendo conto, questa qui è una mia deposizione. Le tensioni, comunque,
trovano via di voce. Alcuni dicono che siamo tutti molto stanchi, ma che
vale la pena. Sono le tre.
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Oggi sono previsti molti arrivi. Alcuni veramente avrei dovuto registrarli ieri, e qui rimedio: Mirella, Gabriele suo figlio e figlio di Roberto, York il lupo, Andrea e Massimo, i due fratelli giovanotti. Andrea è il tecnico (uno dei tecnici) di Settimo, ha vent'anni, è di leva, qui in licenza. Massimo, suo fratello (carnale non teatrale), ha lavorato cinque anni fa con Settimo in "Kanner puro". Arrivano dopo le tre del mattino, accompagnati da Antonio e Roberto, che li hanno attesi tutta la notte a Montalcino. A suo tempo si presentano nella cucina delle colazioni. Fervon l'opre del mattino. Bruno, che ha cominciato presto, stampa e consegna il testo di Gaia. Gli attori corrono nei dintorni boscosi, per riscaldarsi, e poi partono per le marce frontali, avanti e indietro, e come slogan scandiscono titoli di celebri film.
A pranzo Roberto e Bruno soli vanno a Montalcino, con mezzi propri. Bruno a prendere Lucia Manes-Gravina, tecnico luci ed amministratrice della sua cooperativa (AULA Roselle - Teatro Evento, di Bologna - lo dico qui perché non l'avevo ancora detto), nonché sua fidanzata, che è venuta a trovarlo per due giorni. Il secondo a prendere Massimo Tradori, Padre Marziale, che starà qui anche lui per il week-end, e poi tornerà per lo spettacolo, il 15. Arriva da solo Pierpaolo, di cui non so molto. Tutti pranzano in casa.
Nel pomeriggio. Laura lavora con Luca ai brani di "Nel tempo fra le guerre" in cui lui sostiuirà, il 15 e il 16, Nano. Nano stavolta non parlerà inglese, ma tedesco: per cui Laura, che nello spettacolo fa una sorta di traduzione simultanea, oltre che di videoscrittura ora prende lezioni di tedesco, da Luca stesso. Renata si rinchiude da sè in una stalla, contigua al sepolcro di Silvia: ci starà, dal pomeriggio, fino all'una di notte, a studiare una disambientazione del suo brano da Cortazar. Lucilla non troverà il tempo e la concentrazione che vorrebbe per mandare a memoria il testo nuovo. Mariella continua le sue visite al piccolo cimitero, ed anche questo è un fatto che avrei dovuto dire ieri. Sono in ritardo di un giorno col diario (cioé due giorni rispetto all'accadere), e se non mi rimetto al passo farò sempre più confusione. Mariella ieri ha portato Bruno al minuscolo cimitero che ha scoperto qui vicino, poco a valle della strada per Montalcino, così distraendolo e mostrandogli che si può andare via mezz'ora dal gabinetto di scrittura, e non succede niente. Qui lo descriverò. In questo piccolo orto quadrato, recintato da un muro, chiuso da un cancello arruginito, legato con un esiguo canapino, si vedono bene i celebri segni del tempo che passa. Macchia fitta di spini e di fiori che sommerge poche croci di ferro arruginite, che non conservano più alcun nome. Alcune lapidi invece, in fondo a destra, raggiungibili a costi di graffi, sono linde e curate, dentro una piccola area diserbata. Sotto una di queste due dorme la prima notte di quiete un tale Aurelio. Fosca non ha dubbi: il povero nonno (Aureliano?), oramai dimenticato dalla stirpe, ecco dov'era finito. Non abbiamo timore di camminare sulle tombe di questi morti dimenticati, costano poco tre pensieri di quieto cordoglio, buoni per noi e per loro: qualsiasi uomo che muoia, muore sempre, tantissime volte, mio padre.
Torniamo ad oggi. Nell'ufficio drammaturgico (che d'ora in avanti chiamerò anch'io come Antonio: gabinetto) oggi si avanza a fatica, anche lì, nella macchia intricata. Ricostruzione della saga dei tre preti: madre, storia sua, storia di lei col Colonnello, storia di lei con ognuno dei tre figli. Le ipotesi che vengono avanzate paiono oggi gratuite, se si può dire tutto allora non si può dire niente. Mostra la corda la prassi di aprire subito, per ogni bisogna, Guimaraes Rosa, come i mormoni con le loro bibbie. Le fisionomie delle madri devono rispondere invece a molti e cogenti requisiti: per esempio devono essere in rapporto fra loro lungo una scala del sette, sette gradi di conoscenza nella strada del Colonnello, che ha risalito la vita lungo un fiume di guerre e di donne.
Cena. Impressiona i presenti la quantità spaventosa di cibo ingerita dal cane York: una tinozza immonda piena di penne ai funghi di ieri, di bocconi per cane, latte, pane, e chissà mai quant'altro. Nella cucina comincia ad essere assai difficile circolare con piatti in mano o vino, come pure sedere a tavola e mangiare nelle ristrettezze.
Ecco che dopo cena arrivano i primi visitatori esterni: Franco Marzocchi, Angela, Maria Grazia e Silvia, le due ragazze apprendiste dell'organizzazione, Sergio Marra, l'addetto stampa, ed altri di cui ignoro il nome. Dopo esser stati condotti in un giro di visita alla casa, o al cantiere, nei suoi siti di lavori diversi, siedono a lungo nella notte campagnola, aspettando gli eventi. La scaletta dei quali non è subito chiara. Antonio ha scritto nel pomeriggio un volantino, che l'organizzazione ci aveva richiesto, in cui si spiega cosa accade qui, e si invita a venire a visitarci. Vi si dice tra l'altro: "Per mettere a loro agio gli ospiti che verranno, non muteremo le nostre abitudini, e lavoreremo come sempre". Questo riesce subito un po' problematico, ma ne discuteremo nella notte.
Intanto, quando finalmente partono le azioni dei "giornalieri", è un pubblico abbastanza numeroso, fra "fratelli" ed ospiti, che si sposta. Comincia Giuseppe, Procolo Indemoniato più del solito, la cui voce nel tubo che è condita stasera con elementi materici di garantita ispirazione carioca: scoli d'acquaccia e deposizioni di scorie solide, segni di un mondo di seduzione e castighi corporali. Questo prete diabolico non è veramente un "corbaccio", come la confidente Fosca lo chiama, ma è un cinghiale sardo che squassa il sottobosco in corse capofitte rovinando giù a valle e facendosi anche male. Il pubblico perplesso si diverte e non fa commenti. Nota personale: a me la cosa, a prescindere dalla teoria, che ha poco a che fare con le risate, mi fa ridere anche adesso che la scrivo due giorni dopo. Demetra, che ci ha lavorato sù nel pomeriggio, ripresenta il suo brano "Io mi chiamo Demetra" nella versione originale, non in una sala d'attesa ma piazzata ancor meglio nel centro della notte signora dei colli, tra le stelle cadenti. E' seduta su una sedia rococò, investita di lato da un bel taglio che prende solo lei e rispetta il paesaggio. Col suo cappello in testa, col volo labiale sulle "v" e sulle "b", col vestito rosso, questo è forse un addio alla mimesi andina che l'ha accompagnata per un anno, e che ora dovrà diventare un segreto del cuore, non un'abilità della lingua. Domani, riscrivendo il suo testo con Bruno, lo piazzerà nel centro esatto del Mediterraneo. Poi Luca, prole maledetta di Cassandra, di cui ho già detto. Poi due turni di cinque persone l'uno nell'angusto sepolcro di Tea, Silvia voce bambina. Questa è una novità. Il racconto di Marguerite Yourcenar è rotto nei salti di tempo e di spazio, nella sintassi fatta di lanci avanti e di attese, nella parola in pericolo e in difficoltà dell'infanzia. Quando usciamo dal sepolcro Fosca ha già cominciato il suo racconto dei fratelli, di Settimo, dell'antefatto di Dura Madre. Padre Cinghiale passa, da qualche parte nel buio: si sente lo scroscio dell'erba, le grida "Dannati!", e scompare. La sua azione in qualche modo non era finita. Qualcuno del pubblico tace, ma si vede che volentieri porrebbe alcune questioni in proposito: col punto interrogativo sulla testa guarda in direzione degli strilli.
Bene, lo spettacolo è finito e gli ospiti, dopo un breve buffet a base di albicocche foruncolose colte dagli alberi, vanno via. Noi restiamo a leggere i diari, e poi a chiederci se appunto di spettacolo si è trattato, e cosa vuol dire questo, e come fare domani e i giorni successivi. Come fare per salvaguardare un processo fragile, guidato in apparenza da un fervido "disordine del giorno", senza per questo chiuderlo all'esterno. Si conclude che domani si vedrà. E domani dirò cosa si è visto. A letto quasi alle tre.
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Mattino con giochi di bimbi, cani, traffico di marinai. Stese sul prato, al sole, decine di giacche militari, uniformi di diverse armi e stati, molte possibili declinazioni del grigio: i costumi per un altro allestimento di Settimo, che Mariella e Luca ieri sono andati a comperare a Prato. Ci sono anche le casacche candide della marina italiana: una di esse Roberto indosserà tutto il giorno. Dentro un'altra è cascato suo figlio Gabriele junior, che poi allestisce il suo parco macchinine presso la scala. Colazioni, training degli attori, marce frontali, giaculatorie dei film. Antonio e Bruno ai diari. Prima di pranzo "briefing" del gabinetto drammaturgico sul problema del testo di Demetra, le cui necessarie riduzioni vengono discusse da Gabriele con Bruno, Roberto, Antonio, e poi Laura stessa. Ci si lavorerà questa sera.
Al pranzo stavolta siamo veramente tanti, si aggiustano automaticamente dei turni. C'è roast-beef, pomodori, riso per chi voglia farlo riprendere un po' sul fuoco, prosciutto cotto, capocollo, formaggio, verdure crude. Lucia ospite si dà da fare con i piatti.
Dopo la pausa pomeridiana, ecco i lavori. Laura con Lucilla, riflessioni su Gaia: più tardi è Gabriele che lavorerà con lei su alcune intenzioni o registri interpretativi del suo nuovo testo. Renata nella sua stalla e Silvia voce bambina nel sepolcro, con Roberto. Fosca oggi complotta con Luca nei cimiteri. Andrea giovanotto, aiutato dal fratello, e con Roberto, traffica con cavi e varia elettricità. Danno un'aria più serena al paesaggio gli ospiti che chiacchierano o passeggiano intorno. Laura con Luca, alla lezione di tedesco. Gabinetto drammaturgico: dopo una fuga in avanti ci siamo trovati a guardarci intorno nel deserto. Questa, più o meno, la sequenza: stiamo configurando presentazioni dei fratelli, deposizioni, testimonianze, ma ancora tutte e solo individuali; i personaggi non confliggono ancora, non c'è il dramma, non accade ancora nulla veramente. Curiosamente, proprio questa notte quasi tutti gli attori (tutti i "nuovi") si lamenteranno della solitudine nei loro lavori, esprimeranno il desiderio di avere a che fare l'uno con l'altro, in qualche modo. Il dramma preme alle frontiere. Come andrà a finire questa storia del Colonnello, chi sarà l'assassino? Tempo al tempo. Bruno e Laura si siedono al computer, dove staranno crocifissi per più di cinque ore, a riscrivere da cima a fondo la presentazione di Demetra, appaesando Eva Luna in un'isola al centro del mediterraneo. Empedocle, Giovanni Macchia, Vittorini, Tomasi di Lampedusa, i mostri di Palagonia, gli ossari della Cripta dei Cappuccini, le impronte sovrapposte dei greci, dei fenici, dei normanni dei borboni degli spagnoli e dell'islam, fanno di questo posto forse uno degli aleph del mondo. E' la Sicilia? E' Malta di Corto Maltese e dei Rosa Croce? E' Lampedusa dei razzi di Gheddafi? I due scrivani non vedranno nemmeno una delle azioni serali, per cui questa volta non le descriverò.
Parlerò invece di quello che ho sentito nella tavola rotonda
nella notte, che stanotte si tiene fuori, sotto il firmamento toscano sostenuto
dai cipressi, al cospetto di un sinistro "lupo marinaro".
Questo nome è una bell'invenzione di Massimo giovanotto, dopo che
Roberto - anche se nega - ha vestito il perplesso York con una giubba della
marina, che oltretutto gli stava benissimo. L'ambigua figura ha assistito
senza commenti a tutta la discussione, che si è svolta sul filo
seguente. Lettura dei due diari dell'altro ieri, e dell'unico di ieri (Bruno
è ancora indietro di un giorno, ma in questo preciso momento sta
recuperando). Segue una deposizione, o una requisitoria, di Giuseppe (o
di Procolo?), che è quantomeno curiosa: l'irrequieto prete si sarebbe
assunto il compito di vegliare da fuori, dalla macchia, con gridi e profezie,
la concordia dei fratelli, che vede minata da Demetra. Non si aggiungono
spiegazioni o circostanze a quest'accusa. Si passa invece da Demetra a
Laura, il cui lavoro d'attrice viene brevemente recensito con la medesima
benevolenza. Il mio compito è registrare l'accaduto: nella riunione
s'è lasciata cadere questa requisitoria "ad personam",
distillandone solo i dati utili a tutti ed al lavoro, per cui io stesso
non la commenterò. I dati utili, raccolti da Gabriele, sono l'urgenza
di Giuseppe di lavorare con qualcuno: lavorerà con Renata, la cui
azione, che assomiglia a una confessione, ammette un prete. Maurizio suggerisce
che lo stesso tubo ha funzione di confessionale. Luca spiega brevemente
le motivazioni della sua azione di stanotte, per cui addirittura si scusa:
esigenza di sciogliere un personaggio troppo denso. Aggiunge anche lui
il bisogno di rapportarsi un po' di più tra attori: mentre nel gabinetto
drammaturgico si lavora in equipe, gli attori si vedono a stento a vicenda
durante il giorno. Mariella racconta del suo lavoro pomeridiano con Luca,
nel cimitero. Lucilla avanza richieste di chiarimenti tecnici, registici,
sul testo: difficoltà a far rientrare nel testo nuovo il lavoro
d'improvvisazione precedente; ammirazione per Laura, che pare non avere
di questi problemi. Soluzione: lavorerà con Laura. Silvia voce bambina,
quando si riesce a smettere di ridere (ha ricevuto il compito di parlare
con la voce bambina anche "fuori scena"), traccia a sua volta
un quadro desolato di bimba chiusa per ore in un sepolcro in compagnia
di scarafaggi, e non un cane che sporga la testa per salutare tutto il
giorno: anche lei vorrebbe lavorare con Luca, che a quanto pare è
assai richiesto. Riassumendo: Luca lavorerà con Mariella, Giuseppe
con Renata, Lucilla con Laura. E Silvia, povera bimba? Hanno parlato anche
Maurizio, Antonio e Bruno, esponendo le considerazioni sul proprio lavoro
fino a quel punto, secondo la richiesta iniziale di Gabriele: ma in questo
diario si parla anche troppo delle storie dello staff regia-drammaturgia,
per cui verrò scusato se sorvolerò (tanto più che
erano in genere considerazioni meno problematiche, più soddisfatte).
Mentre un ragno, indifferente ai destini del teatro, scende lungo il muro
fiancheggiando il mio schermo, chiudo il racconto della giornata, che a
sua volta si è chiusa. Alcuni ospiti sono già partiti, altri
partiranno domani. Le due e mezza.
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Degli ospiti è rimasta solo Mira, col bambino e il cane York. E Bruno, che anzi non avevo presentato, e faccio ora: Bruno Macaro, amico di Lucilla, regista, studioso di teatro. Roberto e Andrea, dopo le colazioni, trafficano con le faccende necessarie ad accogliere gli ospiti serali con un minimo di casa ordinata: questa metafora con "ospiti" per "pubblico" e "casa ordinata" per "allestimenti" in questi giorni viene messa a dura prova. Comunque Mariella, che cura i rapporti con l'aristocrazia locale, ottiene dalla cortesia del marchese di trasferire qui una dozzina tra poltrone, sedie, puff, divanetti, che poi Roberto e Andrea traslocheranno: l'intenzione è di incrementare il salotto che si era insediato da sè sullo spiazzo dinnanzi alla soglia in faccia alla sera. Roberto, Andrea e Massimo tirano linee elettriche, piazzano radio dappertutto. Gabriele lavora con gli attori alle marce ed agli altri esercizi di affiatamento fraterno, che ora dovranno stringere all'approssimarsi della recita. Antonio e Bruno ai diari.
A proposito di Bruno, voglio annotare brevemente una cosa. Alla sera arriverà Gian Luca Favetto, amico di Settimo, giornalista, scrittore, e mio predecessore all'assistenza drammaturgica. Gian Luca, dopo aver letto alcune righe di questo diario, mi fa notare che io uso la prima e la terza persona: perché, in quale alternanza? Non lo so. Potrei avanzare l'idea che scrivo "io" quando parla il redattore dei diari, per descrivere o commentare le "sue" operazioni di scrittura; e scrivo "Bruno" quando devo render conto di operazioni ed atti del lavoro comune o della vita quotidiana qui. Ma un'analisi metaletteraria in questa circostanza non è utile a nessuno: molto meglio far notare che qui circolano, per la materia stessa del lavoro, parecchi nomi, nomi doppi, addirittura nomi segreti di ognuno. Gian Luca dice che così c'è un personaggio in più: è vero, accidenti, non ci avevo pensato. Ma del resto un "desocupado lector" che mai leggesse questi diari farebbe ben fatica a capire quanti cristiani circolavano in realtà in questo paesaggio. Forse sarà il caso di allegare a questo diario una tabella, un "capitolato", che dica che Demetra e Laura sono una persona sola (nel senso che c'è un coperto solo a tavola per tutt'e due: su altri sensi più approfonditi qui soprassediamo); che dica di Nano (attore che faceva Nano e che qui non c'è), di Nano (personaggio) e di Luca (attore che ora sostituisce Nano nella parte di Nano). La moltiplicazione dei nomi insomma è parte del processo.
Intanto, in questa dissertazione, mi è arrivato il pomeriggio. Nel pomeriggio l'altro Bruno, amico di Lucilla, lavora con lei al nuovo testo. Anche Laura studia la parte nuova di Demetra, che stasera farà. Silvia si chiude nel suo solito sepolcro. Luca e Mariella lavorano alla loro nuova fratellanza d'attori e di personaggi, prima sulla carta, poi vanno nel piccolo cimitero. Più tardi andrò a trovarli, e scoprirò questa bella trovata drammaturgica, che qui racconto. Nano, che da qualche giorno nella relazione con Fosca stava assumendo anche lui natura d'Angelo, è un "angelo pappagallo": cioè ripete quello che dice Fosca, ma essendo un Angelo lo ripete prima che lei lo dica. Ecco: l'esigenza di camuffare un suggeritore per un'attrice smemorata fa schizzare fuori una figura narrativa che uno scrittore si bacia i gomiti, come dicono a Bologna. Intanto nel gabinetto drammaturgico Roberto, Gabriele ed Antonio fanno calcoli complicati. Antonio aveva avuto l'incarico, ieri, di annotare le più interessanti fra le innumerevoli serie del sette: sette virtù, sette direzioni, sette cieli, sette giorni, e così via. Con un incrocio di simboli applicati alla materia, ermeneutica, cabala, storia recente, procedure anagrafiche e ostetricia (che non descriverò perché non l'ho nemmeno capito), si arriva a desumere l'età del Colonnello, le età delle madri, i mesi e gli anni in cui i diciasette fratelli sono stati concepiti, quindi età e segno zodiacale di ognuno, insomma la cronologia generale del racconto. Questo lavoro, cui Bruno contribuisce ben poco, è straordinariamente importante per la drammaturgia, perché si può poi confondere, alludere o sfumare solo ciò che è ben chiaro. Dirò solo che il Colonnello, forse, ha gli anni del secolo (è nato nel 1900), ed ha procreato fra i ventuno e i trentanove anni, quindi fra il 1921 e il 1939, e cioè a dire "Nel tempo fra le guerre". Che nel momento dell'azione, il qui e ora narrativo, ha 55 anni e si arrende. E' il 1955, in pieno neorealismo.
Sera. Arriva Favetto, Antonio è andato a prenderlo a Montalcino, ha fatto scorte di generi personali per molti e di sigarette, ha forato una gomma. Negli spazi intorno alla casa c'è un'aria di preparativi. Poco fa abbiamo visto passare un pullman pieno di venezuelani, che andavano a prendere possesso delle loro stanze giù nella casa delle favole, e dovunque: sono la Fondacion Rajatabla, gruppo teatrale segnalato da Settimo al Festival, che mettono in scena Marquez. Qui salta una delle consolle luci con un gran lampo, Roberto e Andrea rimangono sgomenti: ora come si fa per sabato sera? Noi prepariamo i salotti, ordiniamo e puliamo dovunque, cerchiamo di organizzare una strategia d'accoglienza dei visitatori che salvi però anche il nostro processo di lavoro. L'altro ieri ne avevamo discusso, dopocena, ed avevamo concluso che domani si vedrà. L'indomani, ieri, sono venuti solo tre, e poco si è visto. Questa sera davanti alle azioni saranno trenta, o più, e si vede che quasi tutto salta in aria. Annunciandosi dalla strada come tale arriva l'Assessora alla Cultura con il marito. A Gaia e Fosca che li accolgono alla macchina, in pochi metri di cammino, hanno già raccontato la loro vicenda familiare. Poi arriva Marzocchi, con Sergio, arrivano i venezuelani lavati, con le magliette di bucato e coi walkman, arriva il consigliere di minoranza di Montalcino, arrivano altri che chissà chi sono. Aria di foyer a fronte del tramonto. Bruno e Renata, guardando calare l'ultima calottina vermiglia del sole, non riescono a vedere il raggio verde. Alcuni si sono cambiati, ed hanno messo la camicia, altri no. E via, iniziamo.
Non descriverò le azioni, che son sempre le stesse, tranne Demetra,
che cimenta il pezzo nuovo, ridotto e riambientato. Descriverò la
trama dell'accadere generale. Cosa è successo? E' successo che Gabriele
ha ribadito agli ospiti riuniti, prima di cominciare, che avrebbero assistito
al nostro lavoro quotidiano così com'è. Ma così non
è stato. E' nota la sottigliezza del diaframma tra il "fare"
e il "rappresentare", è noto che la presenza di un pubblico
fa subito "teatro". Non pare cambiato molto dalle altre sere,
ma è cambiata la definizione generale della situazione: le stesse
cose, le stesse azioni, prendono un'altra luce, hanno un'altra funzione.
Ne parliamo poi in gruppetti, a notte, quando tutti lentamente vanno via.
Ne parleremo ancora domani, e non anticipo qui i temi del discorso. Dico
solo che la trama dell'accadere è un po' sfrangiata: tutti un po'
si aggirano senza sapere cosa viene dopo. Non si sa bene neanche chi debba
lavare i bicchieri e le tazze. Gabriele infatti accetta la stramatura e
disdice la riunione notturna, che tutti attendevano con poca convinzione.
Il primo "rompete le righe" è alle due e qualcosa. Un
piccolo gruppo di ostinati si attarda in cucina, a discutere di questa
stramatura e di come ricucirla. Infine una riunione drammaturgica fuori
orario nel reparto notte fra Laura e Bruno, che impara a sue spese come
veramente Demetra non dorma mai, "finché ce n'è qualcuno
in piedi". Ma non fa niente, la Dura Madre dei Racconti, cioè
la drammaturgia, rivela i suoi segreti quando vuole, per confabulazioni
laterali non meno che per riunioni indette. Le quattro e mezza quando l'ultima
luce viene spenta.
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Memoria labile, tu non ci abbandonare. Qui gli attori dimenticano le parti, gli scrittori dimenticano i libri che hanno letto e poi non sanno citare, gli uomini dimenticano la loro stirpe e non sanno mai raccontare indietro oltre i nonni, le famiglie dimenticano i loro morti nei cimiteri di campagna, ed i nomi sulle croci son già scomparsi, e non ritorneranno più. Ma noi siamo qui per ricordare la storia del Colonnello, e riscrivere i nomi in quelle croci. Perché dice Giovanni Comisso: "Il buio è una lezione che dà ragione ai padri e ai padri dei padri, che praticavano normalità e dovere". E allora fai il tuo dovere e scrivi, soldatino, ché il fronte non è lontano, nè vicino.
Mattino. Gabriele e Laura, dopo le colazioni, partono per un giro di approvigionamenti: a Montalcino i cartoni del rancio (che magari ci manda segretamente il Colonnello), a Buonconvento altri generi tra cui cartoncini colorati, penne e cancelleria per costruire tavole di Mendeleieff intorno alla cronologia dei personaggi. Bruno Macaro stamattina si unisce al training degli attori, che prevede le sue camminate e le giaculatorie dei film. Bruno Memoria (anche io ora ho un nome di personaggio), e Antonio, scrivono i diari. Gian Luca Favetto scrive un suo articolo in cucina, ed attende il turno per batterlo al computer.
A pranzo c'è un arrosto di vitello bianchissimo che non è male. Alcuni apprezzano anche le zucchine fritte, altri no. Dopo accurate analisi di laboratorio un'altra teglia rivela il suo contenuto: riso con melanzane. Cerchiamo di far svelti perché oggi l'appuntamento non è alle cinque, ma alle quattro, e con una riunione generale.
Ed eccoci alle quattro e mezza nello spazio antistante alla casa, in largo cerchio di sedie. Questa comunicazione è importante: Gabriele presenta un rendiconto dello stato attuale delle indagini che il gabinetto drammaturgico sta conducendo intorno all'intricata vicenda familiare e politica del Colonnello. Pensavamo di sapere molto della Prima Matria, Demetra Fosca e Gaia, e di poter lavorare a fondo sulle altre, specie quella dei preti. Invece una nuova pista s'è aperta intorno alle tre sorelle, prendendo parecchio tempo, e su questo tragitto abbiamo trovato deviazioni ed incroci verso altre matrie. Viene riferita la storia di Tea ed Ulla, anche loro una matria dei racconti, ma dei racconti rotti: due destini diversi di smemoratezza per la stessa verità che non devono ricordare. La storia dei Preti, figli di madre umiliata dall'andamento delle cose, ed infine suicida, ma senza collera, per oggettiva constatazione della fine; viene detto anche il poco che sappiamo dei loro tre caratteri umani. Ingid e Lilith, figlie bastarde di una signora bene, vengono citate solo per l'incrocio che nella loro vicenda si incontra con la vicenda di Tea e Ulla: un incrocio interessante perché è il primo che si presenta tra fratelli di matrie diverse, indizio del dramma, ma ancora piuttosto inesplorato. Di Osso e Scolastica, figli di poverissima emigrante, si sa ben poco: anche perché non ci sono gli attori, e non arrivano al gabinetto drammaturgico stimoli o pressanti richieste. Di Nano invece si sa di più, e viene riferito: incommensurabili visioni del mondo e modi di combattere separano occupanti e occupati sul piano zero dell'umanità, prima che sul campo di battaglia; l'inevitabile conseguenza è l'orrore. Una guerra di conquista, alcuni eccessi delle truppe del Colonnello, lo sterminio di un villaggio, un orfano che assomiglia ad Esteban e che il Colonnello adotta, la sua carriera militare al suo fianco e poi via solo, soldato, a risalire un fiume d'orrore verso il centro. Prima che lui ci arrivi il Colonnello stesso fermerà la sua mano, ma per il soldato che viene rispedito a casa oramai è tardi e un posto vale l'altro: abita nell'orrore. Finita la relazione sulle storie personali, viene presentata la tavola di cronologia generale della vicenda, messa a punto ieri ed oggi da Roberto e Gabriele: date e luoghi di concepimento e nascita dei diciasette fratelli, loro segni zodiacali. Infine una reimpostazione del lavoro generale, cui segue un compito per oggi ai quattro "nuovi". Da oggi le tre sorelle lavoreranno per conto loro, o con Maurizio, sulla loro drammaturgia di fondo già acquisita. Invece Padre Procolo (Giuseppe), Nano (Luca), Tea (Silvia) e Ulla (Renata), ora che sanno le linee della loro vicenda, dovranno rilanciarci nuove informazioni, e dettagli: inventeranno un racconto della loro vita precedente all'arrivo nella casa, e ce lo presenteranno questa sera. Si chiude formalizzando un ordine del giorno per i lavori valido fino alla fine dello "stage": ore undici, lavori di training e prove per le sostituzioni di sabato; ore quattordici: pranzo; ore sedici e trenta: lavoro dei quattro "nuovi" sui racconti della loro vita, e delle tre sorelle sulle presentazioni già avviate; ore venti e trenta: cena; ore ventidue e trenta: racconti e presentazioni; poi fino alle due o alle tre i diari e le comunicazioni della notte.
Sono le sei e mezza quando finisce questa riunione straordinaria del pomeridggio. Andrea e Massimo avevano già individuato ieri notte il guasto nella consolle: un collegamneto sbagliato, o meglio diverso dal convenzionale, fatto da Lucio a Settimo, col neutro giallo-verde invece che azzurro. Unico danno un fusibile bruciato. Ora rimediano e tengono acceso l'aparecchio per qualche ora, e tutto è a posto. Bruno Memoria ha appeso alla parete del gabinetto drammaturgico una galleria di ritratti fotografici di alcuni fratelli, scelti dai patinati "magazines" che usano oggi. Ci sarà un pellegrinaggio spontaneo e quieto per il resto del giorno, per vedere. Il resto del pomeriggio trascorre così: Gabriele e Bruno discutono con Gian Luca, in cucina con latte e biscotti, la matria dei preti. Antonio si cura delle fotocopie del testo di Guimaraes Rosa che è stato scelto per alcuni esercizi corali di tutti. Gli attori si appartano nei luoghi che hanno scelto, o passeggiano nei dintorni, occupati nel lavoro di inventare le loro storie per questa notte. Della cena non so molto, perchè a mia volta mi sono assentato per un'ora: prima per combattere con un dialogo dei preti che non vuole essere scritto; poi, dopo una resa dignitosa, per assistere all'arrivo della notte. La notte è l'urna, ed il mattino è l'arca. Le cose son tutte presenti, qui con noi.
Arrivano alcuni ospiti, questa volta non tanti. C'è Pasquale
D'Alessandro, che più tardi si presenterà a tutti come scrittore
televisivo per lavoro, e teatrale per passione. C'è Lorenzo Minnelli,
che qui nessuno conosce ma io sì perché ci ho lavorato insieme,
e qui dico che è un attore bravissimo, ma come molti altri è
anche un autore, per cui lavora solo. C'è ancora Sergio Marra. Ci
sono anche i venezuelani, meno di ieri, quindi più attenti. Noteremo
più tardi che così va molto meglio: il pubblico è
più selezionato, forse ad opera dell'organizzazione giù in
paese, o forse per autoselezione. Chi torna dopo avere già visto
ha un motivo, ed a costoro stanotte possiamo veramente aprire il nostro
processo senza strapparlo. Comincia Gaia, la prima volta del suo testo
nuovo. Gaia ride, un riso da lupa, di gola, insieme erotico, puerile e
mentecatto: il racconto fluisce su questo riso, ed ai suoi inciampi manca
pochissimo per diventare singhiozzi di memoria o pause vive del personaggio.
Poi Demetra. Nella sua presentazione, che è più sicura, risuona
il nome nuovo della madre, e riempie la bocca: la prima madre del Racconto,
che sa dire le storie, si chiama Benedetta. Laura mi racconta una cosa
che va assolutamente registrata. Poco prima ha visto passare i venezuelani
che brandivano bicchieri colmi all'orlo di un liquido nero, di cui parevano
molto soddisfatti: risulta essere Amaretto di Saronno. Ecco Fosca. Il racconto
della morte della madre è denso, Gabriele alla fine tenta alcuni
colpi di pennello sui gesti: lampeggia l'immagine di una sonnambula che
gratta la parete, per uscire fuori di lì. Forse Mariella gratta
questo testo: alla prova dell'azione forse rivela la sua letterarietà.
Dopo le tre sorelle, le novità. La stalla poco più sopra
sul pendio oramai è diventata un teatro: Nano ha il suo covo nel
porcile, di fronte, in un altro cubicolo laterale ha patito la sepolta
viva Tea, ora Ulla, appollaiata sul tetto, racconta. Del suo racconto,
come degli altri successivi, non dirò qui, perché il diario
di questo giorno importante sta diventando troppo lungo. Inoltre i racconti
verranno rielaborati, e ci saranno occasioni più larghe per dirli.
Non dico nemmeno di Maddalena di Bologna, nuova ospite, fantastica visione.
Dico solo che abbiamo sentito quattro racconti molto utili al seguito del
lavoro, come poco dopo si dirà nella riunione della notte. Come
si sperava, sono notizie fresche per la drammaturgia, che ora rilancerà.
I quattro fratelli si troveranno domani con i drammaturghi, mezz'ora ognuno,
per confrontare le versioni, correggere, reindirizzare. Gian Luca fa notare
giustamente che i quattro fratelli sono arrivati ad una notte di cammino
dalla casa: e che domani potrebbero entrarci, conoscere le tre sorelle,
e raccontare a loro. Questo incontro a dire il vero è già
avvenuto stanotte, in un cinema, nell'ultimo racconto, quello di Tea. Quasi
tutti gli ospiti erano andati via, i fratelli rumoreggiavano in platea,
nella stalla grande accanto alla casa, mentre Silvia, nel raggio e nel
ronzio di un proiettore cinematografico, racconta la storia di una maschera.
Qui è accaduto qualcosa, forse, che si attendeva dall'inizio. Ma
lo schiavo mi informa che sono già alla riga quarantasei della terza
cartella, ne parleremo un'altra volta. Lettura dei diari, breve dialogo
su quanto detto sopra, tutti a letto alle tre.
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Questo diario non può essere interrotto, mancano solo tre giorni, sarebbe un peccato. Allora, poiché Bruno deve e vuole lavorare in questi ultimi giorni ai testi di Nano, Procolo e Marziale, proverà ancora, speriamo con maggiore efficacia, a stringere e sintetizzare. Ore undici. Dopo le colazioni le camminate. Le attrici indossano vestitucci a fiori. Più tardi Luca prova con Gabriele e Roberto la voce di Esteban per la sostituzione ne "Il tempo fra le guerre". Maurizio è via con Silvia, lavorano ad una sintesi tra il suo racconto del cinema di ieri notte, la storia della sepolta viva dalla Yourcenar, e le caratteristiche di Tea così come risultano da "Il tempo fra le guerre". Lucilla e Procolo confabulano. Pasquale passeggia per visitare i dintorni. Gian Luca parla con Bruno Macaro sotto l'albero, a fianco alla casa. Massimo e Andrea trafficano con gli impianti.
Si pranza molto tardi. Gabriele e Laura sono andati a Montalcino a prendere il rancio, quando tornano sono le tre e si è scatenato un furioso acquazzone. Occorre registrare che lo spavaldo Andrea si offre volontario per correre alla macchina e prendere fuori gli scatoloni di viveri: entra in cucina fradicio.
Sono le cinque passate quando ci riuniamo tutti in cucina. Fuori piove sempre. Si pensa dapprima di ascoltare le testimonianze di Gian Luca Favetto, Carlo Infante (che è arrivato poco fa) e Pasquale D'Alessandro; a loro viene chiesto di restituirci un'immagine del processo che vedono in corso, in base - specie Favetto - a quello precedente de "Il tempo fra le guerre", cui hanno partecipato. Poi, vista l'ora, la cosa viene rimandata a questa notte. Questa notte, alle due passate, Carlo e Pasquale non ci sono più, ed ancora la comunicazione verrà rimandata a domani. Si farà un altro lavoro: Antonio, Bruno, e poi Gabriele e Roberto, ricevono in turni singoli di mezz'ora i quattro attori "nuovi" che ieri notte hanno narrato la loro vita fino all'arrivo nella casa. Ognuno dei quattro la riepiloga, i drammaturghi prendono nota. Successivamente, Gabriele consegna ad Antonio il compito di lavorare sulle donne (Tea e Ulla), ed a Bruno sugli uomini (Nano, Procolo, ed un anticipo per Hacca). Si tratta di trovare e cucire, o scrivere, un testo a partire da quattro istanze. Primo: il brano iniziale dei personaggi, quello su cui hanno lavorato fino a ieri (Yourcenar, Allende e breviari, Crista Wolff, Cortazar). Secondo: i racconti dell'antefatto, della vita dei personaggi fino all'arrivo in casa, come sono stati fissati nei quattro colloqui poco prima. Terzo: le indicazioni desunte da "Il tempo fra le guerre". Quarto: il quadro generale della vicenda, dei simboli, della cronologia e delle forze, così come in questi dieci giorni è stato elaborato dal gabinetto drammaturgico. Intanto, mentre aspettano il turno, ed avanti per il resto della sera, i quattro fratelli prepareranno a parte una versione dell'incontro con le sorelle della prima matria. Procolo verrà accolto da Demetra, Nano da Fosca, Tea da Lucilla ed Ulla ancora da Fosca.
Dopo cena numerosi ospiti cominciano ad arrivare. Ospiti molto teatrali, stasera, gruppi del festival ed altri, italiani e stranieri, che non elencherò per colpa del tempo tiranno. Dirò solo che alla fine della serata vi sono opinioni diverse intorno alla tenuta del nostro processo a fronte di questa visita numerosa: Roberto ha visto filare tutto liscio, Gabriele è più dubbioso, alcuni attori ed io stesso siamo un po' sperduti. Parte Demetra, solida rocca, quindi Gaia e infine Fosca. Alla fine delle loro azioni brevi consultazioni per definire i possibili sviluppi: intorno a Demetra lavora Gabriele, Bruno, Laura, ed ora Antonio; intorno a Gaia Gabriele, Bruno Macaro, Bruno Memoria, Maurizio; intorno a Fosca Gabriele, Roberto, Bruno. Si è detto che il lavoro su questi tre brani sarà sacrificato, per ora, ai quattro nuovi, ma è difficile tenere fede a questo: creature teatrali che si vedono crescere e arrivare all'età della parola, chiederebbero ancora più cura, non meno. Intanto nella cucina e nel cortile di casa c'è una fitta passeggiata, sembra un party: sedie e poltrone, divani e puff, tavolini, bicchieri, frutta. Anche una cassa Bose è stata avvicinata, e trasmette, collegata alla radio, la registrazione di una trasmissione della serie "Audiobox - La scena invisibile", curata da Carlo Infante: è in onda Settimo, con una versione radiofonica di "Istinto occidentale". Dopo un po', cominciando le azioni, viene spenta. Ora sono di turno i quattro racconti degli arrivi, e gli incontri con le sorelle. Anche questi sono intervallati da lunghe pause di controllo, suggerimento, analisi dell'accaduto, che diradano il pubblico: particolarmente curato è l'incontro di Nano con Fosca, il cui dialogo, inizialmente in italiano con accento tedesco da parte di Nano, viene quasi totalmente ammutolito, ridotto in gesti.
Sono passate le due quando ci ritroviamo tutti in cucina. Come ho detto,
la testimonianza di Gian Luca viene rimandata perché è solo,
gli altri tre sono andati a dormire. Dopo poco, andiamo a dormire anche
noi. I prossimi giorni saranno intensi, occorrerà impegno, e siamo
stanchi. Saranno intensi perché altri eventi, allestimenti de "Il
tempo fra le guerre", spettacoli di altri gruppi cui assistere,
altre visite, si intersecheranno col nostro processo. Occorrerà
impegno perché il nostro processo non esige un prodotto finale,
ma una sintesi ed un'eredità sì, anche a brevissimo termine,
per Drena: testi, azioni, linee di proiezione, memoria. E siamo tutti stanchi
forse proprio per questo: questa prassi, di lavorare sul fecondo o inevitabile
principio di indeterminazione, applicato all'accadere teatrale, ed insieme
l'assoluta necessità di sponde e sintesi, di linee direzionali,
contiene un'aporia, una contraddizione faticosa. Per gli attori che devono
lavorare senza "la parte", per gli autori che devono scrivere
"sul vivo", per tutti.
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Demetra è l'ultima che va a dormire, Bruno è il primo che si alza: prepara due caffettiere, rimette fuori il salotto di vimini, che in queste ultime notti ripariamo all'interno per il caso di pioggia. Il quale salotto stamattina vede un salto di qualità: Pasquale D'Alessandro, Carlo Infante, Gian Luca Favetto, Antonio, Gabriele e Bruno intrecciano con tazze in mano un'escursione sulla drammaturgia in lavorazione. Pasquale fa domande ed avanza rilievi precisi, è un filologo: chiede conto di varianti verbali tra due successive versioni di "Io mi chiamo Demetra". Dopo un po' parte il frastuono delle marce, ed il simposio è costretto a traslocare sull'altro fianco della casa. Bruno non partecipa oltre, pressato dai diari, e quando infine, verso l'una e mezza, esaurito il suo compito, si unisce alla discussione, trova in gioco alti profili d'accademia: uso dei simboli e delle strutture, forme e tropi, figure retoriche e prassi d'invenzione. Non posso rendere conto del tutto perché - come ho detto - non c'ero, e poi perché questa è materia che chiede altro spazio di testo che un diario. Alla fine della discussione, però, si parla di cose eccellenti, cui devo accennare: drammaturgia verbale e drammaturgia espansa; il processo d'invenzione collettiva tende a coicidere con la giornata stessa, coi suoi casi quotidiani; predisposizione di uno stato sensitivo, di una rete d'attenzione in cui vengono convogliati gli accadimenti, di un campo magnetico in cui vengono attratte le tensioni vaganti, e che finisce per captare anche magiche coincidenze - che diventano, a questo punto, quasi premeditate. Ciò che la rete cattura è poi pazientemente trasformato in testo, cui dunque è garantito un continuo rifornimento di vita. Questa pompa energetica, questa alchimia, non è nuova: nuovo è però che venga attivata senza vertigine faustiana, scoria dell'ottocento, e senza punti esclamativi ideologici, scoria del novecento. Si tratta piuttosto di un'operosità quieta, mite: come accettare d'essere artisti, e fare il proprio dovere, che si fa solo così.
Così la descrizione della mattina è stata occupata tutta da questioni complicate, e non rimane spazio per il resto. Che comunque è stato routine, con gli allenamenti degli attori, ed un'attenzione sempre crescente alle prove per le sostituzioni. Il pranzo è vasto e felliniano, in una lunghissima tavola che è comparsa ieri notte, completata da due panche adeguate. Apparecchiata con una tovaglia, gremita di oramai venti persone, la tavola propone insalata di pollo, ottima ed abbondante. Il vino rosso dell'umbria non lampeggia al sole, perché il sole non c'è: al contrario un cielo plumbeo ci fa stare sul chi vive, pronti a scappare dentro per il caso di un improvviso acquazzone. Anche quest'ultimo però minaccia e non mantiene, e possiamo finire il pranzo in buona pace.
Il pomeriggio oggi è un po' stramato, ma tranquillo. Alla ripresa dei lavori Bruno prepara una documentazione drammaturgica per Pasquale, che l'ha chiesta: i testi di Demetra e di Gaia, nelle versioni successive. Poi ognuno ai suoi lavori. Fosca è l'unica che lavora in compagnia: con Nano, alla scena del primo incontro quando lui arriva nella casa, sulla traccia della prima versione dell'altro ieri. Renata lavora su Ulla autistica, con una pietra in bocca, e con l'aiuto di Antonio. Silvia riordina la storia di Tea sul suo quaderno. Gabriele parla a lungo con Giuseppe che gli racconta la sua vita avventurosa, alla fine anche Bruno sta a sentire. Qui il passaggio di energia tra vita vera e personaggio è frenato: la vita vera qui è materia troppo incandescente, il personaggio invece è ancora labile, e scoppierebbe. Occorre forse un'alchimia più lunga.
Arrivano le otto e mezza. Questa sera, per la prima volta, tutto il gruppo trascorrerà la serata in paese, non ci saranno i giornalieri nè la discussione della notte. Andiamo a vedere lo spettacolo dei Rajatablas. Questa è una novità che sopraggiunge in un ritmo dei giorni così intenso e così uguale che a tutti sembra vada avanti da mesi: la novità porta eccitazione, ed allegria. Le donne si fanno belle con i trucchi, Lucilla col suo raggiunge pregevoli risultati. Quanto alle toilette da sera, uniformi. Viene infatti a qualcuno l'idea bizzarra, visto il freddo, di indossare tutti le giacche militari che Mariella giorni fa ha preso a Prato. Così è una compagnia di ufficialetti ed ausiliarie di vari paesi ed armi che posa per la fotografia, davanti a casa. Sei giocano a pallone in attesa della partenza. E poi si parte, coi due furgoni già carichi degli allestimenti di "Nel tempo fra le guerre", e con la macchina di Bruno.
Il resto è cronaca di routine di un piccolo festival teatrale.
Le attese trascorse negli incontri, nei bicchieri di Brunello in fiaschetteria,
tutti in divisa. Poi lo spettacolo dei Rajatablas, nella Rocca, che lascia
tutti un po' tiepidi perché è assai tradizionale, da compagnia
capocomicale, ma con più forza. La cosa finisce di convincere che
Marquez (lo spettacolo è tratto da "Nessuno scrive al Colonnello")
non può essere ridotto con le procedure di drammaturgia testuale
della tradizione. Dopo lo spettacolo i conversari del foyer sono allietati
da un bel buffet toscano, con panzanella, crostini al fegato, porchetta
e Brunello, nella bellissima conca della Rocca. C'è da dire che
questo stage di lavoro è stato assai morigerato, non un minuto libero
per intrecciare seduzioni: alcuni ci tentano stasera, con il vivaio di
signorine attrici e fiancheggiatrici dei progetti, ma con poca convinzione
e ancor meno frutto. Torniamo guidando sulla pericolosa strada bianca nella
notte, facendo alcune curve quadrate, come dice Antonio, per via del vino,
ma arriviamo sani e salvi. Andiamo a letto alle tre.
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Mattino, partenze di alcuni, arrivi di altri. Ieri sera è arrivato Stefano Peruzzo, attore di "Nel tempo fra le guerre", Padre Hacca, e subito si mette in marcia con gli altri per le camminate di affiatamento. Questi lavori dedicati agli spettacoli di domani e dopo si fanno più fitti, provano Tea e Ulla (Silvia e Renata) con Roberto, Luca prova la voce di Esteban, tutti insieme provano "il cinema" e "la resa". Più tardi si preparano e controllano tutti i materiali di scena, costumi, attrezzi, caveria, e si carica sui furgoni. Il computer, che poggiava su una cassa da trasporto per il mixer voci, si vede sfrattato e deve cercare alloggio. In poco tempo cortili, corridoi, stalle, stanze di deposito, tutto quanto era imgombro di ogni mercanzia, è vuoto e strano, quasi si sente l'eco. Partono i furgoni, ed il silenzio stralunato regna sul pranzo di Antonio, Bruno, Fosca e Favetto, rimasti soli. Dopo pranzo parte Favetto, va via, a vedere un altro festival in Versilia. Parte Fosca, che era rimasta indietro per definire col Marquis la complicatissima questione di camere e letti per ospiti e attori domani e dopo. Bruno e Antonio, finalmente soli, scriveranno nella suprema pace campagnola per tutto il pomeriggio. Testi per Nano, Procolo, Tea, Ulla, revisioni per il testo di Demetra. Tutti gli altri sono alla Rocca di Montalcino, dove preparano un'intervento per stanotte.
Nel pomeriggio arriva Gerardo Guccini, che insegna drammaturgia all'I.M.E.T. di Bologna. Con sua moglie trascorre parte del pomeriggio nella villa a Castiglione, esplorando i dintorni e leggendo questo diario, che per la prima volta funge da documentazione del processo per un "esterno". Sono passate le nove quando i due ospiti, con Bruno, raggiungono gli altri a mensa, e poi alla Rocca. Qui troviamo già quasi tutto a posto. Quattro azioni verranno presentate, le solite quattro, le più formalizzate: piccoli, distanti uno dall'altro, spalle all'altissimo muro di cinta, strisciato da un faro radente appeso altissimo, a doccia, nell'ordine depongono Nano, Gaia, Fosca e Demetra. Il pubblico applaude ad ogni tappa, poi deve spostarsi con le sedie. Gabriele questa volta ha introdotto il lavoro in modo assai dettagliato, l'offerta sl pubblico è spettacolare al punto giusto, gli effetti sono due, essenziali. L'idea della fucilazione è premeditata, ma allusa solo alla fine da una scarica di luce.
Poi un breve buffet, per tutti quelli che hanno lavorato qui e non hanno
cenato. Sono arrivati Stefano Peruzzo e Andreina Garella, attori di "Nel
tempo fra le guerre", e Roberto Fociani, che viene presentato
come "funzionario" del Festival di Narni. Dopo il buffet tutti
in cerchio ascoltiamo una dissertazione di Gerardo sulla drammaturgia applicata:
una breve analisi del testo di "Nel tempo fra le guerre",
e una serie di opinioni "a caldo" sul lavoro di questa sera,
in relazione al testo stesso. La lezione è chiarissima ed efficace:
Gerardo ci mette in guardia contro pericolosi "anticorpi antidrammaturgici"
che si scatenerebbero dall'abuso di materiali o di approcci letterari (parla
di "geniali apocrifi" di Marquez). Tratta ed esemplifica questa
tesi con riferimenti letterari e teatrali: Ovidio, Alfieri, Verdi. Un quadro
globale di ingegneria narrativa, che diventa chiaramente allegoria di un
millennio, rischia di soffocare i personaggi. L'invadenza della forma "racconto"
non è compatibile con una piena drammaturgia del personaggio, il
cui fine non è il "racconto", ma la "presenza".
Alcuni attori concordano su questo. Più tardi, a casa, nella solita
chiacchierata fino a giorno, Gabriele dirà che questo taglio d'analisi
non convince. In realtà l'impressione è di essere messi in
guardia contro il racconto, forma in questa fase del lavoro necessaria
e forse gradita, in nome di un'ortodossia drammaturgica che ha fondamenti
storici, non pragmatici (cioè non "poetici"), e forse
inoltre non del tutto attuali. Se ne conclude, alle cinque, che occorre
trovare forme di convenzione che consentano di eludere l'aporia "presenza
del racconto/presenza del personaggio": per esempio "presenza
del personaggio che racconta". Si citano esempi (per poi scartarli)
dei modi convenzionali di introdurre non un narratore, ma un personaggio
narrante: Mille e Una Notte, Decameron. Si parla di possibili forme. Noi
non siamo teorici, la teoria, l'autoconsapevolezza dei processi, è
un patrimonio che rivendichiamo (con mitezza): ma questa teoria non precede
le forme per indurle, le segue venendone sedotta. Sono le forme nate dai
processi che aprono la strada, e seducono il resto. Una parola, non ancora
una forma, una parola appena è nata e ritorna con frequenza in questo
processo: "deposizione". Questa sera, dopo le azioni contro
il muro, la seduzione di questa parola si è fatta più forte.
E se n'è aggiunta un'altra, che per ora lasciamo appesa lì:
"oratorio".
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15 e 16 luglio, sabato e domenica
Questi due giorni saranno descritti insieme, una settimana più tardi, brevemente, e per solo dovere di cronaca. Sono stati infatti occupati del tutto da attività di allestimento per lo spettacolo dell'ultima sera.
Arrivano altri attori, troppi ormai e troppo estranei al progetto "ab origine" per nominarli. Prendono posto come possono nelle varie dimore a Castiglione (oramai ci saranno anche materassi per terra) e al mattino tutta la truppa parte per la Rocca di Montalcino, dove passa le ore nei lavori soliti e durissimi di questi allestimenti. I venezuelani hanno lasciato lo spazio scenico coperto di terra, sono quintali, e vengono rimossi dagli attori di Settimo riuniti (per fortuna son tanti). Hanno lasciato anche due galli da battaglia nelle loro gabbiette, di cui ci si cura, ma non abbastanza da impedire che uno muoia. I tecnici, gli attori, i direttori lavorano lì tutto il giorno: ripensare il disegno dello spazio, tirare cavi, piazzare fari. I pochi e familiari litigi con l'organizzazione, per i soliti disguidi dei festival all'aperto, non incrinano di un millimetro la gratitudine che tutti noi dobbiamo a Franco Marzocchi, ad Angela, e a tutti gli altri. Altrove parleremo meglio di questo.
Solo Antonio e Bruno sono rimasti a Castiglione, alle prese coi loro compiti di scrittura. Sabato arriva Paola Poli, dell'Aula Roselle di Bologna. Arriva De Sanctis, molto atteso, il regista di "Riso amaro", amico e maestro di Settimo. Con lui c'è il suo produttore, di cui ignoro il nome. Nel pomeriggio questi ultimi ospiti, venuti solo per lo spettacolo, passeggiano per i bellissimi siti, leggono i diari. Antonio, Bruno e Paola scendono a Montalcino alle nove di sera, con l'intenzione di assistere alla prova "filata" che sarebbe programmata alle dieci, e che invece comincerà all'una. L'ambiente è reso irreale da un freddo incomprensibile in luglio, che costringe il piccolo pubblico di amici in attesa ad infagottarsi nelle trapunte di scena. Gli attori invece, che spesso attendono fermi i turni di movimento o i puntamenti di luci, con i loro abitucci da fratelli non hanno scampo.
L'indomani il programma è il medesimo. Antonio e Bruno riescono appena a strappare a Gabriele ed al tempo tiranno una veloce riunione nel primo pomeriggio, per leggere insieme i testi elaborati in questi due giorni: una nuova versione di "Io mi chiamo Demetra" in una lingua spezzata alla Guimaraes Rosa, elaborata da Antonio, e le presentazioni di Nano e Procolo, scritte da Bruno. Queste ultime due stasera verranno consegnate a Luca e Giuseppe, per il prossimo lavoro a Drena. E' l'ultimo atto del progetto "ab origine" qui a Montalcino.
La sera lo spettacolo apre nella vasta piazza della Rocca le sue marce
di gloria minore, e di qui in poi sarebbe recensione. Uno spettacolo è
la fine di un processo? Questa è l'ultima replica di "Nel
tempo fra le guerre", lo spettacolo muore: ma la sua vita è
ricominciata qui, a Montalcino, "ab origine". Cos'è
questa vicenda d'inizi e fini, che si accavallano come le onde? Chi può
dire quando comincia "la vigilia" di un'opera? Sembra arrivato
il punto dei bilanci, e come è regola dei testi le post-fazioni
diventano pre-fazioni, anch'esse obbedienti al flusso delle onde. Il diario
finisce qui, il seguito, che è uno sguardo d'insieme sul lavoro,
io non l'ho ancora scritto, ma tu l'hai già letto.
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