Laboratorio Teatro Settimo
AB ORIGINE: LUOGHI PER
DURA MADRE MEDITERRANEA
PERIPEZIA
DELLE MADRI
di Bruno Tognolini
Ricostruzione narrativa delle vicende delle sette matrie,
dall'incontro delle madri col Colonnello alla partenza dei figli
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Drena, agosto 1989
Bologna, settembre 1989
Terza Peripezia:
BUTTERFLY
Madre di Ingrid e Lilith
Quarta Peripezia:
NANO
Senza Madre
Quinta Peripezia:
SCOLASTICA
Madre di Osso e del Figlio Innominato
Peripezia è una parola greca, che significa "avvenimento imprevisto" (letteralmente: che cade in mezzo a qualcosa): così veniva anche chiamata, nel dramma antico, una "mutazione per improvviso accidente di fortuna". Nel dramma moderno, supposto che esista, non c'è peripezia perché, per assioma, non c'è storia. Ma le prime due fasi del progetto "Dura Madre Mediterranea" sono state intitolate "ab origine": viaggio verso le fonti ignote della storia del Colonnello, dei suoi figli e delle loro madri. E questo viaggio, ha detto in qualche occasione Gabriele Vacis, è mosso da una sorta di "nostalgia del dramma", e si è parlato anche di "nostalgia del mito". Bene, non è una novità. Tutto il novecento è scosso da feroci singhiozzi di nostalgia per il mito. Allora qual è il problema? Recuperare il mito perduto perché è duro vivere in un reale nudo e crudo? E come: scrivendo "peripezie"?
"Il problema, allora - ci dice Edgard Morin - non è quello di vivere in un reale nudo e crudo, che abbia eliminato tutti i miti: questo reale, semplicemente, verrebbe meno. Il problema è di conoscere e di chiarire la realtà dell'immaginario e del mito, di vivere con una nuova generazione di miti, i miti riconosciuti come miti, di creare con i nostri miti una comunicazione non più folle e non più cruenta, di possedere i miti nella stessa misura in cui essi ci posseggono".
Esatto: nello stesso preciso modo Luigi Meneghello, per esempio, possiede col pieno della potenza culturale di oggi il dialetto a cui tuttavia appartiene, cioè che lo possiede. Allora: una comunicazione folle o cruenta coi nostri miti è quella che si rivolge loro solo per "possederli": il che significa, nel novecento, analizzarli "scientificamente" e quindi "demitizzarli", cioè sopprimerli in quanto miti. Una comunicazione non più folle e non più cruenta, invece, ai miti rivolge la parola solo per raccontarli ancora, e ancora. Daccapo, ab origine. Riproviamo a raccontare, per vedere se ne siamo ancora capaci? O meglio, se siamo capaci di vivere (e per quanto ci riguarda, lavorare) con una nuova generazione di miti: i miti riconosciuti come miti, e tuttavia raccontati ancora?
Il dramma è una delle molte cristallizzazioni del mito, un modo di raccontarlo. Il mito è complesso, impreciso, ubiquo, con elusive radici sacre, forse divine: il dramma è una sua incarnazione tangibile, una ipostasi. Al mito diffuso degli Atridi, ci faceva notare Gerardo Guccini, segue la trilogia di Eschilo. Allora qual'è il mito che sta dietro il dramma del Colonnello e della sua stirpe? Dove e quando è stato raccontato, nelle forme pervasive ed evasive che gli spettano? "Nel tempo fra le guerre" forse è un dramma senza mito. Come una creatura senza passato, senza memoria, come rischiamo di essere noi, Peter Schlemihl che hanno venduto l'ombra. Allora "Dura Madre" è un progetto temerario che si propone di restituire al dramma il suo mito, a quel preciso spettacolo il suo passato, la sua ombra.
E come si fa? Un mito è pervasivo ed evasivo, forse per ricostruirlo occorrono metodi pervasivi ed evasivi. Un mito possibile oggi, un mito riconosciuto come mito, ci possiede nella stessa misura in cui lo possediamo: forse occorrono processi che siano insieme di possessione e appropriazione, che un po' ci prendano la mano e un po' noi guidiamo con polso. Di qui forse i modi talora esasperanti del lavoro collettivo in "Dura Madre", i molti momenti di deriva alternati ai momenti di chiarezza. Di qui il senso di lavorare nell'incertezza. Ma se questo ragionamento, o questa visione è vera, allora ecco il salto del pensiero complesso di Morin: per ricostruire un mito, che è un ente incerto, non si tratta più di "lavorare nell'incertezza", ma di "collaborare con l'incertezza".
Questo è molto difficile, e genera ansia. Se tutto fluttua troppo a lungo l'ansia spinge a trovare al più presto qualcosa di stabile su cui mettere i piedi. Anche questo però, se collocato in un quadro di collaborazione con l'incertezza, è poco male. Basta sapere che le forme stabili che edifichiamo sono anche labili, tengono solo fino al prossimo rilancio del moto, e servono a quello.
Per esempio, queste "Peripezie" sono nate dall'incertezza: dalla vertigine, mia personale, di vedermi girare intorno, troppo veloci e troppo sciolte, mille differenti e spesso contrastanti versioni narrative. Occorreva fissarle, confrontarle e intrecciarle con puntiglio, e scrivere nero su bianco le storie delle madri, aggiustando, o scartando ciò che non si poteva aggiustare. Il risultato è una forma stabile/labile del mito in costruzione, così come altre forme prodotte, che sono scene teatrali, testi, diari, video, ragionamenti. Una forma naturalmente degradata, semplificata, rispetto alla natura pervasiva ed evasiva del mito. Un'utile forma di collaborazione coll'incertezza.
Ed è stato divertente vederne venir fuori una pappa narrativa pressoché immangiabile - nonostante le spezie verbali - se servita come piatto e non come ingrediente. Ma c'è qualcosa di felicemente giusto, in questo. E' una bella "lallazione", un esercizio di bocca che racconta, una "diceria", direbbe Gesualdo Bufalino. Ma non sono forse queste dicerie, dette da tanta gente in tanti posti, che poi fanno il gran corpo di un mito? E non avevamo detto che provavamo a raccontare?
Un'ultima cosa, un piccolo scherzo vertiginoso e borghesiano, scambiato
a Drena con Gabriele Vacis: abbiamo detto, certo semplificando, che occorreva
ricostruire il mito che sta dietro lo spettacolo "Nel tempo fra le
guerre". Sarebbe bella se dopo una minuziosa ricostruzione, lunga,
nelle dure regioni dell'incertezza, venisse poi fuori uno spettacolo che
è "Nel tempo fra le guerre" tale e quale...
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Prima
Peripezia
BENEDETTA
Madre di Demetra, Esteban, Fosca e Gaia
Benedetta è una trovatella allevata dai frati che la madre del Colonnello, Donna Alba, una vedova benestante, accoglie nella sua vecchia casa nobiliare come serva. Il Colonnello è in quel tempo un ragazzo labile e malato che non esce mai dalla stanza, se non per imprecisate agitazioni studentesche, da cui in genere torna ancora più malato. Nel disperato tentativo di guarirlo da sé, vista l'inefficacia di ogni cura conosciuta, Donna Alba ha raccolto nella casa una summa dei saperi del mondo: non troverà la cura per preservare la vita del figlio, ma scoprirà fortuitamente un sistema infallibile per conservare i morti. Da allora suo lavoro e sua mania sarà imbalsamare le salme in odore di santità, a futura reliquia per le chiese. In quell'immane biblioteca Benedetta completa, di nascosto e di notte, la formazione di dispensatrice di racconti che aveva intrapreso nella nativa isola del mediterraneo, dove imparò leggende e miti. Intorno a lei e intorno al ragazzo, nella casa, forme stagnanti di vita che si spegne e di morte che assume le forme della vita. Benedetta pare immune a tutto questo, ed aiuta con dedizione serena la padrona nelle sue pratiche mortuarie.
Ma Donna Alba, dopo qualche anno, deve interrompere la sua attività per sopraggiunte restrizioni legali: la sua autorità, e forse anche la sua stabilità mentale, ne vengono scosse. Dopo l'ennesima spedizione rivoluzionaria il Colonnello, a diciott'anni, è moribondo. La madre Alba, fuori ormai da ogni umano orizzonte, ordina che le vanga portato morto, perché possa imbalsamarlo, e guarirlo finalmente per sempre. Benedetta, che ha trent'anni, impietosita, vuole dare al moribondo almeno il viatico del canto estremo della carne, e vergine si congiunge con lui in punto di morte. Così viene generata Demetra.
Ma il Colonnello non muore, al contrario guarisce, e prende come sua sposa Benedetta da cui avrà ancora tre figli, in sei anni: Esteban, Fosca e Gaia. Nella vecchia casa, in cui convivono con la nonna Alba, Benedetta e il Colonnello decidono di fondare una stirpe: restaurano la casa ed acquistano una tomba di famiglia, investendo parte di un vecchio patrimonio di origini lontane e, secondo le narrazioni di famiglia, divine.
Presto però i loro rapporti sono guasti: il Colonnello, pur guarito dalla forma giovanile e letale della sua malattia, cade ancora in solitarie depressioni, estraneità, si isola nella sua stanza dove ascolta nelle radio i notiziari delle guerre del mondo. Con Benedetta litiga furiosamente per varie cause, e per esempio, ad ogni nuova nascita, per la scelta dei nomi. Benedetta tuttavia ha sempre la meglio, e impone la chiave dell'ordine alfabetico per i nomi dei figli.
Nell'ultimo di questi litigi, mentre aspetta Gaia, Benedetta rivela il suo piano sui nomi segreti: ogni figlio deve avere un nome segreto noto solo a loro due, che conservi la forza nella stirpe. Il Colonnello nega irritato perfino l'esistenza dei nomi segreti, e Benedetta allora gli dimostra di conoscere il suo: lui la colpisce, lei non gli parlerà mai più.
Alla nascita di Gaia Benedetta muore di parto, a trentasei anni, e viene seppellita nella tomba di famiglia. Il Colonnello, pentito, si dispera: si rende conto che mai più conoscerà il nome segreto dell'unico essere umano che conosceva il suo. Parte per le guerre, portando con sé il figlio maschio, Esteban, che ha cinque anni, ed il compito di proseguire, lungo la scala alfabetica, la stirpe.
Le tre bambine, Demetra di sette anni, Fosca di due, e Gaia neonata, vivono con la nonna del rimanente patrimonio famigliare, che la vecchia, nonostante la demenza senile, riesce ad amministrare con sufficiente efficacia. Con gli anni Demetra assume, come un'eredità materna naturale, il compito nascosto della stirpe, di volerne e proteggerne la continuazione; e, con esso, il compito palese della custodia e della ripetizione dei racconti che questa stirpe fondano e giustificano, racconti che appartenevano a sua madre, e che lei in parte ricorda per averli sentiti di persona, e in parte apprende dalla nonna e dai diari di Benedetta. Fosca assume il comando della casa e la responsabilità della vita materiale della stirpe. A Gaia compete la sua continuazione, grazie ad una gravidanza misteriosa, che misteriosamente lei estende senza limite.
Le tre donne vivono una vita d'attesa, una sorta di lunga e febbrile
vigilia, di cui probabilmente ignorano i tempi e gli scopi, punteggiata
di tedio, di amari costi personali, di eventi quotidiani senza storia.
Finché cominciano ad arrivare i fratelli, e la loro attesa passata,
come quella diversa e futura che di lì parte, prende forma.
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Seconda
Peripezia
BERTHA
Madre di Hacca, Marziale e Procolo
Per due anni, dopo la partenza, il Colonnello cura solo gli esordi della sua carriera militare e l'educazione del piccolo Esteban. Il bambino però muore di stenti durante le prime campagne del padre, allora Capitano nella guerra di Spagna. Prostrato dal lutto, ma nella ferma intenzione rimpiazzare il primogenito perduto, a ventisei anni, in Germania, il Colonnello incontra un'altra donna, che ha la sua stessa età.
E' Bertha, una donna tedesca, forte e mite, che ha sempre lottato contro la povertà e l'inerzia del suo stato, e che conosce il valore delle cose. Una certa dignità o autonomia degli individui provati dalla vita fa sì che Bertha non cada subito, nè mai del tutto anche in seguito, ai piedi di quell'ufficiale dall'accento straniero: in parte per reazione a questa sfida all'orgoglio e ai sentimenti, in parte per precoce nostalgia di una vita familiare semplice e regolata, il Colonnello s'innamora di lei profondamente. Bertha è in fondo la prima donna che lui abbia scelto di sua piena volontà. La rispetta, la riempie di attenzioni, di regali, la protegge. La loro casa è povera, pulita, ordinata: i gesti di cura quotidiana che la moglie dedica ad ogni umile oggetto paiono all'uomo, incantato a guardarla, un rito di antica e profondissima sapienza. In questo unico anno sereno dell'amore viene concepito il primo figlio, Hacca.
In seguito spesso Bertha si sarebbe chiesta quanto sarebbe durato l'amore o l'umore domestico del Colonnello se non fosse scoppiata la guerra. Non lo potè mai sapere: la guerra scoppiò, il Colonnello, che non voleva arruolarsi nell'esercito nazista, partì, e per un anno e mezzo Bertha non ebbe di lui che sporadiche cartoline dall'oriente. Il Colonnello è nelle Filippine, dove ha intrecciato una relazione con una ricca cinese del Macao, da cui ha due gemelle, Ingrid e Lilith.
Il suo primo ritorno, a ventott'anni, è assai triste. Il Colonnello nella Germania in guerra è clandestino, sperpera parte di un misterioso patrimonio che ha portato con sé dall'oriente per pagare il silenzio di funzionari e vicini, ma è egualmente costretto a una forzata prigionia in casa. Passa le sue ore attaccato alla radio che egli stesso ha regalato alla donna, in avido ascolto dei casi della guerra, di cui per la prima volta è un estraneo spettatore. Astensione dalle armi, clandestinità, grigiore e tedio d'amore non durano più di qualche mese: dopo aver dato istruzioni alla donna affinché battezzi con un nome di guerra, Marzia o Marziale, il suo secondo figlio di cui è incinta, il Colonnello, entrato nel suo ventinovesimo anno, parte per il Messico, lasciandole una piccola somma di denaro.
Nasce Marziale. Bertha ancora una volta faticosamente tiene fronte alle cose, e ricostruisce una vita di povertà estrema ma attenta al decoro, tra certificati di indigenza e pellegrinaggi in cerca di lavoro. All'età di sei anni Hacca viene mandato in seminario, e l'anno dopo Marziale lo raggiunge.
Quattro anni più tardi, dopo nove anni di silenzio, il Colonnello ricompare. Ha trentasei anni, è reduce dalla storia finita malamente dell'adozione di un orfano, Nano, la cui madre è uccisa dalle sue stesse truppe, e che lui ha istruito alla guerra; e viene dagli abbracci di una donna singolare, una contadina boliviana che vive in un piccolissima fattoria in mezzo al niente, e da cui ha avuto già il piccolo Osso. Bertha accoglie questo ritorno assurdo con gli ultimi spiccioli di forza e rassegnazione. Non si chiede neanche più quale vento contraddittorio riporti tra le sue braccia quell'uomo elusivo, che non conosce più, e che accetta come altri eventi ormai né fausti né infausti della vita.
Presto è di nuovo incinta, e quando, nel giro di pochi mesi, il Colonnello riparte, non tenta nemmeno più di trattenerlo. Ha superato in quei mesi il breve ma immenso crinale che divide la forte pazienza dei miti dalla rassegnazione dei vinti, ed abita oramai una condizione definitiva, di infelicità senza desideri. Nasce l'ultimo figlio, Procolo, che lei riesce ad allevare nella abituale povertà dignitosa e senza miseria, fino all'età necessaria per mandarlo in seminario a raggiungere gli altri due.
Il resto della sua vita è senza storia, oramai ogni momento può essere quello buono per la fine. Si ammala di fortissime emicranie, di vertigini, perde spesso conoscenza, ed infine, all'età di quarantacinque anni, si toglie di mezzo senza residui di vendetta e senza rumore. Con una lettera avverte delle sue decisioni non il maggiore, Hacca, che oramai ha quasi vent'anni, ma il secondogenito Marziale, minore di un anno, che sapeva più forte, ed affida a lui le sue volontà e la cura dei fratelli.
I due ragazzi poco dopo prendono gli ordini. Procolo, il più giovane ed inquieto, che aveva dieci anni alla morte della madre, è fuggito dal seminario, e i fratelli, dopo una breve ricerca, desistono dal seguirne le tracce. Scoppia un conflitto fra Marziale ed Hacca: quest'ultimo non sopporta che la madre, di cui era il prediletto, figlio del suo unico anno felice, abbia poi dimostrato maggiore fiducia in Marziale. Hacca lascia il seminario e la tonaca cattolica e si fa ministro della chiesa protestante.
Dopo alcuni anni a Marziale, divenuto intanto parroco in una grande
città di porto, giungono notizie allarmanti di suo fratello Procolo,
che lo danno allo sbando tra alcol e mari del mondo. Marziale, che ha appreso
dalla madre la storia del Colonnello e della sua casa lontana, e sa dell'esistenza
delle tre sorellastre, si sente investito di un compito familiare, o di
cristiana carità, o di rimorsi: va a trovare Hacca e lo convince
della necessità di ricomporre la famiglia, poi parte alla ricerca
di Procolo. Si danno appuntamento nella casa del Colonnello. Dopo una lunga
indagine Marziale rintraccia Procolo allo stremo delle forze in una terra
lontana, e presto i due raggiungono Hacca nella casa.
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Terza
Peripezia
BUTTERFLY
Madre di Ingrid e Lilith
A ventisette anni, abbandonata per la prima volta Bertha e il primogenito Hacca, il Colonnello entra in forza come consulente militare presso il protettorato americano delle Filippine. Frequenta ambienti governativi e diplomatici, frequenta i salotti della plutocrazia locale. Conosce una donna bellissima e assai ricca, cinese originaria del Macao, di madrelingua portoghese: scherzosamente, la chiama Butterfly.
I due diventano amanti, e la cosa è nota ed accettata in società. Il Colonnello non ama questa donna come aveva amato, in modo diverso, Benedetta e Bertha: ma a fronte di queste due spose umili e scabre, è inebriato dalla sapienza d'amore, dal doppio fascino d'oriente e d'Europa, e dal mondo crudele e dorato che ruota intorno alla sua nuova amante, e in cui lei ruota. La donna invece, colta, inquieta, disgustata da quel mondo apparente che subisce, vede in lui l'occasione per fuggirne, e poter finalmente edificare, sulle sue spalle forti, una vera casa.
I due convivono intanto in una villa principesca a Managua, i cui ricevimenti esclusivi sono occasione di intrighi politici e affaristici internazionali e di privati intrighi amorosi. Il Colonnello non è estraneo né agli uni né agli altri. Alla fine di quello stesso anno Butterfly genera due gemelle, cui il Colonnello, seguendo il compito dell'alfabeto, dà i nomi di Ingrid e Lilith.
Dopo il parto Butterfly entra in un periodo di assoluto splendore: dalla rocca di una bellezza rigenerata e di uno spavaldo potere sulla vita e sugli altri intorno a lei, pare muovere le fila di quella febbrile e pericolosa società. In breve il Colonnello viene informato, ed invitato a collaborare, ad una trama d'affari che coinvolge forniture di guerra, concessioni delle miniere d'oro, traffico di segreti militari col Giappone. I fondi distolti al governo americano, le tangenti delle miniere ed i compensi per lo spionaggio verrebbero in massima parte destinati al movimento indipendentista filippino, con cui il Colonnello da qualche tempo segretamente simpatizza. In realtà i piani di Butterfly sono altri: all'insaputa dello stesso Colonnello conduce un rischioso doppio gioco, che prevede la fuga in Europa con l'intera enorme somma, con le gemelle e con lui.
Il colpo riesce, ma quando Butterfly, trionfante, mette al corrente il suo uomo del vero piano, la situazione precipita rapidamente. Il Colonnello già da tempo vedeva esaurirsi il fascino dell'alta società, le seduzioni erotiche della geisha, e le gioie di una famiglia di cui ha visto più caldi esempi. Di fronte all'evidenza della corruzione, di cui oltre tutto egli stesso è complice, non ha dubbi: lascia la donna e le figlie e parte immediatamente, da solo, per non tornare mai più in quelle terre. Porta con sè però tutto il danaro, che confusamente, forse a riscatto dei rimorsi, si ripromette di investire in cause di guerre e di libertà.
Torna invece in Germania, dove lo richiama un senso incerto di responsabilità, e un prepotente bisogno di respirare arie più pulite, affetti più dimessi ed umani. In questa seconda tappa del loro amore, che sarà invece assai grigia, il Colonnello e Bertha generano Marziale.
Butterfly dal canto suo, a differenza di Bertha, non accetterà mai l'abbandono, e reagirà fino alla fine con atti di rappresaglia e di rivalsa. Ha i mezzi per ottenere informazioni su ogni mossa successiva del Colonnello, e tenta a più riprese di ricattarlo, non esitando a minacciare e poi eseguire un'oscura ritorsione rituale sulle gemelle: verrà loro tagliato un tendine della caviglia, azzoppandole lievemente, perché "non possano vendicarsi del padre, sfuggendo ai loro futuri mariti". La donna non sa più se vuole veramente indietro i soldi, o l'uomo, o entrambi.
Non ottiene tuttavia nulla, e cade allora in una progressiva e cinica abiezione: beve, abusa dell'oppio, si abbandona a sistematici eccessi amorosi, colleziona rapidi amanti, costringe le figlie a tenere un'accurata lista alfabetica di queste controfigure di vendetta. Ingrid e Lilith crescono in un clima caldo e malato di rancore, dove i nomi delle nazioni in guerra, le indiscrezioni su complotti e tradimenti, i numeri di morti e prigionieri, unici segni del vero padre, si alternano solo ai nomi ed ai volti innumerevoli di uomini sprezzanti e frettolosi: questo clima fa di loro due ragazze astute e taglienti, forti della loro simbiosi, amorali.
Quando le due gemelle hanno diciott'anni Butterfly si ammala, o si avvelena, e giunge a morte. Nell'attimo estremo chiama presso di sé le figlie, rivela loro ogni cosa sul passato del Colonnello e sul furto, e le costringe a un giuramento: dovranno partire, recarsi alla casa del padre, lì esigere da lui tutto quello che è loro dovuto, e che a lei il Colonnello ha negato. Dovranno insomma riscuotere il prezzo della vendetta, in affetti e in danaro.
La donna muore, le due ragazze partono, per vie sicure e protette dai
canali diplomatici e dalla valuta pregiata. Ma il viaggio è lungo,
e le gemelle sfuggono alla traccia che gli amici della madre hanno predisposto
per loro. Continuano il viaggio a piedi e con mezzi di fortuna, conoscono
il mondo, si separano e si ritrovano. Giungono alla casa del padre solo
alla fine di questa iniziazione, che dura parecchi anni: non lo trovano,
si dispongono all'attesa.
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Quarta
Peripezia
NANO
Senza Madre
Il Colonnello ha 29 anni quando lascia, per la seconda volta, Bertha, la casa poverissima, e la Germania in guerra. La breve parte di spettatore in mezzo al fragore delle armi lo ha lasciato con un perentorio bisogno di tornare ai fronti: Marzia o Marziale, i nomi che ha scelto per il figlio di Bertha nascituro, portano i segni di queste inclinazioni.
Il bollettino delle guerre del mondo, che attraverso le radio il Colonnello ha seguito per tutta la vita, lo indirizza in America Centrale, in Messico. Qui combatte nelle file della guerriglia che si oppone alle truppe regolari del governo, sulle montagne. E in un piccolo villaggio montanaro, che la sua brigata mette a ferro e fuoco perché sospettato di collaborazionismo, il Colonnello incontra Nano.
Nano è un bambino perso, che si stringe al muro di un tempio, sulla cui scale giace il cadavere della madre sacerdotessa. La donna, con altri sacerdoti e con i capi del villaggio, si era abbigliata dei paramenti rituali per accogliere i guerriglieri, che eccedendo gli ordini avevano sterminato tutti. Il Colonnello raccoglie il bambino che non parla e non piange, intontito dall'orrore, e lo porta con sè: ha la stessa età che avrebbe avuto il suo primo figlio maschio, Esteban, dieci anni.
Da allora, per sette anni, il Colonnello si dedica a lui: lo porta di guerra in guerra, di continente in continente, tenendolo al sicuro nelle retrovie durante le battaglie, mostrandogli i paesaggi bellissimi del mondo nelle tregue. Gli insegna a leggere e scrivere, lo introduce allo studio della storia, della geografia, e infine della guerra. Durante questi sette anni il Colonnello non avvicina alcuna donna, o se lo fa non è per generare. Il ricordo amaro di Butterfly e del suo mondo, le minacce e le ritorsioni che tuttora gli giungono da lei, i mesi scuri dell'impossibile rigenerazione dell'amore con Bertha, e infine il caso bruciante di Nano, hanno forse incrinato il suo proposito: l'opera di costruzione della stirpe si è fermata.
Nano cresce rapidamente, pronto agli stimoli, forte, avido di ogni forma del sapere che il padre adottivo gli propone. Ma è sempre in lui come una tenuissima nota stridente, estranea e chiusa, un grano di orrore che le cure del Colonnello non sciolgono, e intorno a cui le stesse conoscenze che il ragazzo acquisisce si incrostano, come attorno ad una perla via via più gonfia, potente, pericolosa. Questa inquietante presenza, in certi brevi attimi, è ombreggiata da dolcezze e abbandoni struggenti, come onde di sangue dolce sotto una dura cicatrice, che si spengono presto.
Le sue prime azioni di guerra, a quindici anni, sono estremamente efficaci e misurate. Il Colonnello è orgoglioso di lui: vede vicino il compimento della sua istruzione, e intravede una sua rapida carriera, anche se un'informe e inconfessata inquietudine gli vieta di godere a pieno di queste speranze paterne.
Infine, quando il ragazzo ha diciassette anni, il Colonnello ritiene realizzato, con la sua istruzione militare, il proprio compito di padre, ed esaurita in ciò stesso la lunga astinenza di espiazione o disgusto della paternità: gli affida un comando in una piccola guerra di frontiera, e parte per la Bolivia.
Nano conduce le operazioni con un misto di economia e di ferocia, un algebrico professionismo della vittoria, inattaccabile e inumano: il massimo del risultato col minimo delle perdite, e nel rispetto delle convenzioni di guerra quando sia strettamente necessario. I suoi successi oggettivi giungono a conoscenza del Colonnello, che lo incoraggia con lettere, e lo raccomanda agli stati maggiori di varie nazioni.
La carriera di Nano è rapida, ma non priva di contrasti. I suoi rapporti sulle azioni di guerra, e ancor più le sconcertate testimonianze dei suoi sottufficiali, lasciano perplessi i generali più coriacei, e sgomentano i più moderati. L'equilibrio tra ferocia, economia dei risultati e legalità militare è in queste azioni belliche insieme oggettivo e mostruoso, e in qualche modo suscita un orrore più cupo che non una manifesta crudeltà. Varie volte il giovane ufficiale viene allontanato, a dispetto della sua innegabile utilità, per scongiurare crisi interne nei governi o nei comitati di liberazione.
Ma le guerre del mondo possono tollerare tutto questo: Nano ha imparato da suo padre che ci sono sempre altre guerre, che c'è sempre bisogno di altri uomini che mettano a disposizione altra forza, e che non viene chiesto che tipo di forza sia. Per dieci anni, in giro per il mondo, può sperimentare tutte le forme e le varianti dell'equilibrio tra l'uomo e l'orrore. Il Colonnello, dopo i primi tre anni, non vuole più sentire sue notizie, evita le guerre in cui il figlio combatte, e le stazioni radio che parlano di quelle guerre.
A ventisette anni Nano è Colonnello: poco dopo, l'equilibrio si incrina, e cede di schianto. Conduce alcune operazioni fuori di ogni regola umana, esce di sua iniziativa, prima di venirne cacciato, da ogni guerra ufficiale, si arrocca con una personale armata di scarti di vari eserciti in un villaggio di montagna simile al suo, dove coordina un delirio.
Lì, solo e senz'armi, va a recuperarlo il Colonnello, poco prima
che i suoi stessi uomini lo uccidano. Nano pare seguirlo, per la seconda
volta, docilmente, come un bambino paralizzato dall'orrore: è un
uomo muto, senza più risorse. Per la via più breve, attraverso
canali militari, Nano viene trasportato nei pressi della casa, e lasciato
lì.
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Quinta
Peripezia
SCOLASTICA
Madre di Osso e del Figlio Innominato
Terminata l'iniziazione di Nano, e con essa la sua personale quaresima di sette anni, durante i quali si è astenuto dal generare, a trentasei anni il Colonnello torna al suo compito di costruzione della stirpe. E' in Bolivia, a capo dell'organizzazione periferica di un partito armato antigovernativo, stanziata nelle grandi pianure, lontanissime dalle città. Il quartier generale clandestino è alloggiato in una fattoria requisita, che confina con altre minori, labili avamposti al centro di piccoli appezzamenti coltivati a cereali e caffè, e circondati da pascoli immensi.
Una di queste fattorie è proprietà di una donna, Scolastica, che l'ha avuta in eredità dai genitori morti senza figli maschi. E' un patrimonio assai modesto: un edificio centrale con un camerone comune per il giorno ed un altro ambiente molto più angusto per la notte; un granaio e una stalla, una piccolissima latrina. Scolastica convive in questo universo minore con un numero indefinibile di persone: parenti più o meno remoti, lavoranti, estranei arrivati di passaggio e poi stabiliti lì con ruoli incerti. Gli spazi immensi intorno, e la monotonia dei paesaggi, più che dare respiro alle vite della piccola comunità, la comprimono come in un punto senza dimensioni, e senza direzioni di partenza: nessuno riesce a farsi un'idea di come possa essere, o addirittura che possa esistere, un altro luogo fuori di quello, e oltre i pascoli, che paiono infiniti.
Ma da questo infinito circolare comincia ad arrivare, ogni tanto, una jeep con due uomini vestiti da soldati: è il Colonnello con il suo attendente, che nelle ore libere, come suo solito, visita i dintorni. Il Colonnello conosce Scolastica, e le sue visite divengono frequenti, abituali, e infine quotidiane.
Scolastica è una contadina grande e generosa, che governa quel suo universo concentrato con una stordita energia, e perfino con gioia. Il Colonnello non ha ancora conosciuto, nella sua vita, una donna così, senza proteste, senza ambizioni, senza pena: in un "qui" assoluto, il dono e la risata di un assoluto presente. Per lui, rimbalzato come una scheggia impazzita sempre su un'altra guerra, un'altra nazione, un'altra donna, potrebbe essere il porto di quiete.
Le operazioni di guerra sono in stallo: il Colonnello istruisce una staffetta quotidiana, e si stabilisce nella casa, anzi, nell'unica stanza, che come l'umanità campionaria che la abita si apre ad accoglierlo con assoluta e felice noncuranza. Da lì, con la radio da campo, dirige la routine della guerriglia. Presto Scolastica è incinta, e alla fine dello stesso anno nasce Osso. Il tempo di battezzarlo con l'iniziale che, dopo Nano, gli compete, e il Colonnello già parte: i mobili casi della guerra forse coprono questa volta un'incredulità, un'irrealtà della storia e del posto, un disagio o una paura che ignora.
E ignora cosa lo porti per la terza volta, dopo nove anni, ancora in Germania, in cerca del più spento, del più modesto, e del più ostinatamente perseguito dei suoi amori. Bertha è invecchiata, piegata dalle sue guerre contro lo stato delle cose, oramai perse. Se nove anni prima l'incontro era stato teso e oppresso dalla forzata prigionia, ora è piano, chiaro, svuotato, come sono gli addii. Il Colonnello dopo pochi mesi scompare, questa volta per sempre, lasciandosi alle spalle una donna ancora incinta, e la precisa istruzione di battezzare il figlio con la lettera P: sarà Procolo.
Altri viaggi, altre guerre, altri due figli: due gemelli, da una prostituta di Sidney, cui la madre darà i nomi bizzarri di Quaranta e di Radio, per rispettare l'alfabeto, e ricordare i casi per cui conobbe il suo unico amore.
Sono passati quattro anni quando il Colonnello fa ritorno da Scolastica. Per la prima volta non trova una donna in pezzi, o in collera, o in pianto: Scolastica lo accoglie con la rassegnata gratitudine con cui accoglie il sole dopo i lunghissimi acquazzoni, e fa una festa. Il Colonnello mangia, beve, e riprende il suo posto nella casa.
Passa un anno, durante il quale l'uomo comincia a raccontare alla sua amante i nomi straordinari del mondo, l'aspetto delle città, il corso dei fiumi, la voce delle radio e delle guerre. Nelle sere, durante le sue assenze, Scolastica ripete quelle fiabe alla piccola umanità della casa, mentre la sua pancia cresce di una nuova gravidanza.
E un giorno, durante uno di questi racconti raddoppiati, la famiglia sente Scolastica esclamare che sarebbe bello andare, vedere, lavorare, comprare, vivere dove sono tutte queste meraviglie. Non c'era nessun accento di frustrazione o di avidità in quelle parole: con lo stesso tono di voce, e con lo stesso animo, la donna avrebbe potuto desiderare di cucinare un cibo da ricchi per tutti gli abitanti della casa. Ma da quel giorno una decisione silenziosa fu presa da ognuno di loro: dopo una grande festa, quel piccolo universo in mezzo al niente esplose nelle quattro direzioni, emigrarono tutti.
Il Colonnello, per la prima volta in vita sua, fu abbandonato da una donna, che partiva incinta di lui, sorridendo, come sorrideva quando lui era partito, per incoscienza, per generosità. Non poté o non volle fermarla. Le fece solo giurare che avrebbe battezzato il secondo figlio con l'iniziale della S, che avrebbe narrato ad entrambi di lui, della sua e della loro stirpe, e della casa dove la stirpe aveva fonte, e avrebbe dovuto avere foce.
Non seppe più niente di lei né del bambino, che a cinque
anni morì. Quando, molti anni dopo, Osso arrivò alla casa
del Colonnello, portandosi dietro la salma del fratello, di cui anche lui
ignorava il nome, questo fu chiamato col nome della madre: così
Scolastica entrò nell'alfabeto.
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