Laboratorio Teatro Settimo
AB ORIGINE: LUOGHI PER DURA MADRE MEDITERRANEA
TESTI TEATRALI
I principali testi e materiali letterari elaborati nel corso
del laboratorio
a cura di Bruno Tognolini
NANO
Prima
Versione
Seconda
Versione
Indice
dei TESTI
Indice
del SAGGIO
Indice di
Dura Madre Mediterranea
Home Page
Prima versione
"I LEONI DI PIETRA"
Questa prima versione, tratta da "Cassandra" di
Christa Wolf, fu subito la più forte: ritoccata e cesellata dall'attore
Luca Riggio per giorni e notti, con l'aiuto del regista e di altri attori,
cambiò sostanzialmente di poco, specie nel testo.
I leoni di pietra. Questo cielo, un blocco di azzurro intenso, alto, distante. "Proprio come il nostro cielo - ha detto - soltanto più vuoto". Io il nostro cielo lo ricordo a fatica, e anche questo lo vedo così poco. "C'è qualcosa in me che corrisponde al vuoto del cielo, c'è qualcosa di ognuno in me. Sono arrivata perfino a comprendere l'odio di chi mi odiava". Di chi ci odiava, madre, di chi ci odia, anche se non sembra.
E' toccato a te. Non ha voluto perdere coscienza fino alla fine. Ci parlava come fossimo grandi: "Scissa dentro mi vedo, su questo maledetto carro. Dovunque io posi lo sguardo, non un dio, non un giudizio, me stessa soltanto".
Non voglio parlare più. Tutte le consuetudini sono bruciate, e deserti i luoghi dell'anima dove potrebbero rinascere. Soltanto un sentimento potrei riaccendere in me: l'odio, l'odio contro l'odio, ma non ha senso...
"I miei bambini non se la caveranno, perché sono i miei bambini". Sono vivo, ma', sono solo. Esiste un dolore che non fa più male perché è tutto. Aria, acqua, terra, ogni respiro, ogni boccone, ogni movimento, tutto. Non si può dire. Devo parlare al passato di tutti quelli che ho conosciuto. Ripenso agli addii, ognuno fu diverso: talora ci abbracciavamo, talora alzavamo appena la mano, mi scompigliavano sempre i capelli. Ora la mia città esiste nella mia memoria soltanto. Qui dentro la voglio rifondare, non voglio dimenticare nemmeno una pietra, nemmeno un taglio di luce, nemmeno un grido, nemmeno un sorriso. Marpessa.
Marpessa avrebbe dato la vita per noi. Non parlava mai, non chiedeva mai niente, ma bastava guardarla negli occhi per capire quanto le voleva bene. A mia madre. Il padre di mia madre voglio ricordarlo come era prima della guerra: bianco, grande, profumato. Poi è diventato "il re", poi "il potente re", e quando la guerra andava davvero male allora è diventato "il potentissimo re". La madre di mia madre con le guerre diventava sempre più dura. Ogni figlio che moriva si asciugava un po'. Di mia madre non ha mai saputo, credo, se ancora può sapere.
La guerra. Quando fu annunciata la notizia della spedizione punitiva tutti rimasero freddi. Già da molto tempo erano cambiati i nomi delle cose, occorreva fare attenzione alle parole, s'erano formati schieramenti. Mia madre diceva sempre: "E' possibile sapere quando comincia la guerra, ma quando comincia la vigilia della guerra? Se ci fossero delle regole precise, occorrerebbe inciderle nella pietra".
Fu lei a scoprire che il pretesto per l'aggressione era completamente inventato, ma ormai non importava più niente a nessuno: anche la verità era diventata un'ingarbugliata questione politica.
Mio padre già da tempo mandava solo ambasciatori, poi nemmeno più quelli, poi portarono via la campana della torre - per motivi bellici, dissero - e così né di giorno né di notte potevamo più sapere che ora era. Presto non avevamo più scampo.
Quando ho visto l'esercito nemico schierato di fronte alla reggia, e i nostri ultimi giovani andare ridendo e correndo incontro al nemico, alcuni erano poco più grandi di me, allora ho maledetto tutti, vedevo le marionette umane stramazzare a terra, lontano e senza suono, i fratelli di mia madre erano vestiti di bianco e invitavano i nemici al duello secondo le regole dei nobili, come avevano imparato, ma quelli non capivano nemmeno e scaricavano subito su di loro le loro armi, che tenevano sempre pronte. Così si fa.
Quel giorno tutte le regole caddero in polvere, per sempre. Ma il peggio doveva ancora venire, e non ci fu più limite al peggio.
Lei diceva, quando fummo costretti a fuggire: "Non tutti percepiscono la nuda insignificante figura degli eventi: si danno valore, si buttano dentro ogni fuoco, ogni acqua, ogni fiume di sangue, per non vedere. Cosa? Se stessi".
Se tu fossi ancora qui potresti insegnarmi tutto quello che sai, e io potrei dirlo ai miei figli, e i miei figli ai loro figli, e così via, affinché questo piccolo rigagnolo possa arrivare fino alle genti future, più felici, forse più sagge. Ma io non avrò figli. Vedo nei vincitori anche coloro che vivranno, che devono vivere perché continui ciò che chiamiamo "vita".
Volete sapere da me il futuro della vostra città: la città continuerà ad esistere se riuscirete a smettere di vincere. Non so se è possibile. Forse in futuro ci saranno uomini capaci di trasformare la loro vittoria in vita.
Mio padre invece, a furia di odiare i militari, a furia di combatterli, è finito per diventare uguale a loro, e non c'è al mondo un ideale che meriti tanta abiezione. Di questo passo arriverà non solo ad essere un dittatore dispotico e sanguinario, ma perfino a lasciare uccidere tutti i suoi figli per mettersi a posto la coscienza.
Io non avrò figli: se vengono a prendermi,
sono pronto.
Prima Versione di NANO
Indice di Dura Madre Mediterranea
Indice dei TESTI
Indice del SAGGIO
Home Page
Seconda versione
"MI CHIAMO NANO"
Questa seconda versione fu da me scritta "ex novo",
su blandi spunti tratti dalla prima, e integrandovi la rete di richiami
alle vicende delle altre "matrie" che il gabinetto drammaturgico
andava rivelando. Ebbe un unico tentativo di realizzazione, poi decadde.
Mi chiamo Nano, che non vuol dire niente.
Ho imparato daccapo le parole in ogni terra dove sono stato, non servono tante parole per vincere, una decina, sempre quelle. Quelle che mi ha insegnato il Colonnello mio padre, all'inizio. E' comparso nel quadro accecante della porta, nella capanna, con una borsa nera, con un cappotto militare verde, sbiadito, avevo nove anni e lui era alto, più alto di tutti gli altri lì dentro, e ha cominciato a insegnarmi le parole.
Ora io sono alto come lui, rispondo al nome di Nano, anche se so che non ci sono più risposte. Fosca mi faceva domande, quando sono arrivato, tante domande, ed io dicevo Nano, Nano, Nano. Poi tutti i fratelli, per qualche tempo, mi facevano domande, volevano sapere il mio passato. Io mi chiamo Nano, conosco una canzone, sono stato soldato, ho combattuto. La mia città era piccola, c'è un orto, una casa, un viale fiancheggiato da cipressi, altre case con teste di cervo, una scalinata che porta alla reggia, non sono autorizzato a rivelare altro, non voglio parlare più.
Wasser, acqua. Il mare intorno a quest'isola è azzurro, pieno di pesci, di granchi, i mezzi da sbarco quando toccano terra rompono centinaia di conchiglie, poi i bambini raccolgono i pezzi, ma io non ne ho più. Cinque navi all'ancora nella rada, ferme, non si ricordava nemmeno più da quando, sempre lì, ogni mattina nel fumo dell'alba. Sapevo che nell'incrociatore c'era mio padre, il Colonnello. All'inizio mandava staffette con gli ordini, poi solo la radio, poi poi nemmeno più quella. Avevo dimenticato da tempo qual era la missione, ma bisognava continuare lo stesso. Quando tornavamo alla spiaggia, qualche volta a distanza di mesi, guardavo il mare, guardavo l'incrociatore nella nebbia, pensavo mio padre è lì. Poi anche le navi diventarono parte del paesaggio. Il mare, see.
Himmel, cielo. Le sigarette che fumo sono fatte con tabacco orientale. Io sono stato laggiù. Il cielo è un blocco azzurro, alto, distante. Proprio come questo cielo, ma più vuoto. Le sigarette che fumo non riescono a riempirlo questo cielo, come fanno gli incendi. E io allora fumo, c'è qualcosa di vuoto, da riempire di fumo, e non so altro. I bombardieri arrivavano sempre all'improvviso, mai quando li chiamavamo, colpivano bersagli che noi non avevamo segnalato, incendiavano parti di foresta dove non c'erano nemici, quando scomparivano restava il rombo per un po', poi solo il fumo. Rauch.
Stadt, le città. Strassen, platzen, gli appartamenti dove ho abitato, sotto falsi nomi che non ricordo più, le notti di veglia davanti alle radio, che mandavano canzoni incomprensibili, pubblicità di prodotti inutili, giornali radio. Le radio dei miei fratelli stanno accese tutto il giorno, loro non lo dicono ma io conosco il sistema, so che aspettano messaggi cifrati del Colonnello, che non verranno. Occorreva fare attenzione a ogni parola, a ogni nota musicale, ed alla fine niente voleva dire più niente. Quando incontravo i miei uomini nei supermercati, o negli stadi, non c'era nemmeno bisogno di fingere di non averli mai visti. Nelle città tutti i civili facevano così.
Fosca. Io non sono l'angelo che aspetti. O forse sì. Esiste una colpa che non è più colpa, perché è tutto: cielo, acqua, città, ogni boccone, ogni movimento, tutto. Esistono angeli dei racconti cattivi, tu lo sai Fosca, che non tutti i racconti sono buoni, che è meglio dimenticarsi. Ti aiuterò. Ti dirò tutti i nomi delle cose, erba, albero, casa, angelo, Nano. Ma non sono autorizzato a dirti altro, se ci sono delle regole precise le devi custodire. Custodisci anche me. Ricordati, tienimi a mente, tieni a mente i miei vestiti, i miei soldi, i miei orari durante il giorno. Chiamami, chiama il mio nome, Nano, Nano, durante il giorno, e forse alla fine anche io mi chiamerò così.
Demetra, chiamami, riconosco benissimo il tuo tono di voce, aspetto ordini, vedrai che sarai contenta. Vuoi davvero combattere la pace? Brava, così si fa. Ti conviene fidarti di me, pensa che almeno per me il peggio è già venuto. Per voi non so. Pensa anche che io conosco il Colonnello meglio di tutti voi, sono stato con lui per molti anni, cosa ti importa di chi sia mio padre. Se la tua è veramente una guerra, stai attenta, non puoi lasciarti distrarre da questo. Puoi pensare che sono un angelo anche tu, andrà benissimo. Ricordati che sei responsabile di me. Tienimi qui, proteggimi, e dimmi solo che cosa devo fare, il resto è tuo, ma stai attenta alla vittoria. La casa continuerà ad esistere se riuscirai a non vincere, almeno per una volta.
Procolo, padre, fratello, né padre né fratello, tu sei una spia, ti riconosco. E' per questo che un giorno forse ti chiederò di confessarmi. Sei l'uomo giusto. Dio e i Colonnelli si servono sempre di gente come noi, siamo avamposti nell'orrore, solo noi possiamo andare in certi posti, e tornare giù vivi. Ma io ho finito la mia ultima missione, tu no. Potrei dirtelo io cosa c'è nella sorgente del fiume, quello che anche tu stai risalendo. Per questo mi guardi sempre, vero? Forse un giorno sarò io a confessarti, se me lo chiede Demetra lo farò.
Gli altri fratelli, preti, ragazzi, donne, qualunque sia la cosa che aspettate, aspetterò con voi. Potevo finire in qualche altro posto, ad aspettare altre cose, potevo finire male, a non aspettare più niente sul serio. E invece qualcuno mi ha mandato qui, come un pacco. Qui, nel nostro cortile, non si sta né bene né male. Ci sono ramarri, erba, coperte, radio. Ci sono armi, incendi, dispacci, ci sono morti dappertutto. Dovunque io guardi, non un dio, non una frase, non una minima possibilità di giudicare. Ormai l'orrore fa parte del paesaggio, ma anche io faccio parte del paesaggio, e abito qui. Sono vivo, ma', sono solo. Ma voi lo sapete perché mi tenete qui: con il vostro alfabeto non potrete scrivere niente di importante senza la lettera N, senza il mio nome, Nano, Nano, che non vuol dire niente.
Ed allora scrivete, sono pronto.
Non voglio parlare più.
Prima
Versione di NANO
Seconda Versione di NANO
Indice di Dura Madre Mediterranea
Indice dei TESTI
Indice del SAGGIO
Home Page
Questa pagina è stata aggiornata il 6 maggio 1997.