L'INDIGNAZIONE
Testo corale per Piazza Maggiore
a cura di Bruno Tognolini
INDICE
Quadro
primo: "LA LAMENTAZIONE"
Copione per i dieci
gruppi nelle dieci piazze
Quadro
secondo: "L'INDIGNAZIONE"
Testo
corale per Piazza Maggiore
A . LE AZIONI
B . I TESTI
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A . LE AZIONI
1 . L'arrivo
in Piazza e la rete di poesie
Dopo le azioni nelle dieci piazze, i dieci gruppi giungono in Piazza
Maggiore da diverse direzioni, seguiti dai loro spettatori. Gli attori,
con le loro borse piene di pietre, si disperdono uniformemente tra il pubblico
per tutta la piazza, occupando posti prestabiliti, a formare una RETE.
Si spegne la luce centrale sulla piramide, l'intera Piazza viene illuminata
da macchie di luce, e la rete delle presenze si fa sonora: gli attori cominciano
a dire i loro brani dai tre poeti, rimandandosi l'eco a vicenda. Il ritmo
e il tono crescono, e in breve formano un vocìo diffuso.
2 . I Cori, i Messaggeri,
la Banda
Al terzo levarsi dal suolo tutti i cento attori sciamano via di
corsa, sulla piramide (senza mai attraversarne la cima) e sul lastricato
libero che la circonda. La gran parte corre ad occupare i luoghi prestabiliti
per l'azione corale successiva: sui quattro lati della piramide, seduti
a mezza altezza presso gli spigoli, si formano quattro gruppi coreutici
(le DONNE, il DISINCANTO, i GIOVANI, il CORO). Gli attori che fanno parte
della BANDA corrono invece a raggiungerla nella sua postazione, fuori del
perimetro scenico, sul lato verso il Nettuno.
In pochi istanti tutti son fermi, e restano in
corsa solo una decina di attoridanzatori: i MESSAGGERI, che rigano
di voli radenti l'intera piramide. Una danzatrice, infine, si ferma sola,
in cima e al centro, e leva un braccio: al suo gesto (l'Annuncio) la BANDA
intona la melodia "Modeh ani", e i MESSAGGERI prendono
a macchiare il biancore della piramide, seminandovi sopra una terra scura.
All'attacco della musica il gruppo delle DONNE si alza e si avvia lento
e compatto, fendendo la folla, verso il sagrato della Chiesa.
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3 . La Storia di Antigone
Lì, in cima alle scale, attendono le tre ANZIANE DELLA MEMORIA
(le vecchie signore bolognesi che leggeranno la Storia di Antigone). Vengono
sostenute con affetto dalle dieci giovani DONNE, in un gruppocomposizione
che attraversa lento la folla verso la piramide, e infine in cima ad essa.
Durante il tempo di questa processione, accompagnata dalla musica, i MESSAGGERI
continueranno a intrecciare corse e a seminare terra. Infine, giunte in
cima alla piramide, le ANZIANE si dispongono a triangolo di spalle l'una
all'altra, quindi rivolte all'intera Piazza; le DONNE siedono ai loro piedi,
tutt'intorno, a formare un altro gruppocomposizione, che affida ad
esse il racconto; i MESSAGGERI scompaiono unendosi ai loro gruppi coreutici,
la musica tace, e le tre raccontano la "Storia di Antigone".
Durante il racconto, tutti gli attori sulla piramide si volgono a loro
in ascolto.
Al suo termine, la musica riprende, le DONNE si
levano e sostengono le ANZIANE nella discesa. Quindi le lasciano sul bordo
esterno dello spazio, alla prima fila del pubblico, e tornano al loro sito,
presso lo spigolo della piramide che guarda la Via Rizzoli.
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4 . Azione corale: i Giovani e il
Poeta
Durante questa processione del ritorno, sul versante opposto della
piramide parte l'azione dei GIOVANI. Anche loro, sull'attacco della musica,
lasciano la loro posizione e corrono verso il margine dello spazio scenico
rivolto al Nettuno. Lì li attende il POETA, seduto su un carro portabagagli
della stazione. I GIOVANI spingono e tirano a gran fatica questo carro
su per l'erta; già vicini alla cima, desistono, frenano il carro,
sollevano di peso il grosso baule su cui il POETA siede, e lo issano a
braccia sul piano della piramide. Quindi riconducono il carro a terra,
e la musica tace.
Una delle DONNE dà l'avvio alla partitura del Coro con l'epigramma di Fortini "La passione contro il male non lo incalzi troppo dappresso. Indignarsi è consolarsi... " etc. Cui fa eco il POETA, e di seguito l'intero testo dell'azione corale.
Durante questa azione, il massimo movimento è
affidato al numeroso e forte gruppo dei GIOVANI: gli altri Cori resteranno
nelle loro postazioni, levandosi in piedi soltanto alla battuta. I GIOVANI,
da principio, percorrono camminando in gruppo compatto i quattro lati della
piramide, a mezz'altezza: ogni tanto qualcuno cade, tre compagni si fermano
a sostenerlo e quindi deporlo sulla pendenza (gruppideposizione),
quindi raggiungono il gruppo (che aveva proseguito). Alla fine di questa
sequela, la piramide sarà rigata da una linea sinuosa di corpi giacenti,
a mezz'altezza. E da quella posizione i GIOVANI diranno la loro prima battuta,
a suo tempo. Ancora si alzeranno, formeranno coppie che vanno, ancora uno
dei due cadrà e l'altro lo sosterrà (gruppipietà),
e da quella composizione diranno i loro testi.
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5 . Finale delle Pietre
E così via, attraverso una serie di figure, schieramenti
e corse, che interpungono le loro battute, e li portano a dirle ora sull'uno
e ora sull'altro lato della piramide, nel loro forte contraddittorio col
POETA, e per tutto il testo.
Alla fine, si troveranno riuniti in mucchio compatto alla base del lato che guarda la Chiesa. Lì l'ultimo morto cade, e viene questa volta sollevato sulle teste, come in un funerale indù, e mosso su un brulichio alto di mani verso la cima. Dove verrà deposto, infine, fatica inutile di Sisifo realizzata, accanto al POETA. E dove pronuncerà, giacendo, alcuni dei versi più forti del poema di Fortini ("Questo è il vero giudizio finale...", etc.).
L'azione volge alla fine. Il POETA lancia il suo "proclama" (il testo "Le nuove mura") mentre i GIOVANI, e tutti gli altri Cori, scendono alla base della piramide, riformando una fila quadrata intorno ad essa, prendono le loro borse, e quindi salgono nuovamente con lentezza. Ora, e per la prima volta, tutti i cento attori sono una folla accalcata sulla cima, e il POETA tra loro è scomparso. Qui dicono, tutti insieme, la loro ultima battuta ("Conoscerà ciascuno una cosa vera...", etc.). Poi tacciono tutti.
La tensione sale nel silenzio, la pietra che i cento stringono nella mano lentamente viene levata, forse nella volontà di scagliarla: ma il lancio raggiunge la sua soglia di scatto, e lì si blocca. Il gesto, paralizzato, verrà sostituito dal canto, pacifico e insieme minaccioso, che ora nasce senza microfoni, forte, da cento voci spiegate.
Alla fine del canto, i cento lasciano cadere la loro pietra lungo il pendio; quindi mettono mano alle borse, e rovesciano le altre pietre che vi erano contenute. L'effetto è quello di una frana, il rumore è un treno.
L'azione è finita. I cento attori scendono
lentamente dalla piramide, si avvicinano al pubblico, offrono le pietre,
invitano a raccoglierne altre, ed a seguirli con esse nella processione.
Che subito partirà, con la musica, verso Via Indipendenza.
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B. I TESTI
6 . Primo
testo: "LA STORIA DI ANTIGONE"
La genesi drammaturgica di questo testo è ben descritta
nel Racconto: aggiungerò
solo che è uno dei pochi scritti interamente da me. Antigone è
di certo una potentissima metafora, attenuata dal solo fatto che la sua
vicenda è sicuramente ignota a tantissimi spettatori. Era nostro
dovere raccontarla.
Questa è la storia di Antigone, che volle seppellire il cadavere
del fratello contro gli ordini del Re, e che fu fatta morire per questo.
Edipo, il grande e disgraziato re di Tebe, era morto, e dopo di lui era morta anche la sfortunata regina Giocasta. Avevano lasciato quattro figli: i due guerrieri Eteocle e Polinice, e le due ragazze Antigone e Ismene. Ma poiché questi erano giovani, al trono salì il tiranno Creonte, fratello di Giocasta, e loro zio.
Tebe era in guerra con Argo, città nemica, e un brutto giorno Polinice tradì: si mise alla testa dell'esercito nemico, perché diceva che il trono spettava a lui, e così voleva conquistarlo. La guerra fu molto dura, e alla fine Tebe vinse, ma i due fratelli nemici si batterono a duello fuori delle mura, e si ammazzarono a vicenda.
Allora il re Creonte disse che la guerra era finita, e che bisognava festeggiare e dimenticare tutto. Ma fece anche un editto che vietava di seppellire il corpo traditore di Polinice: che stesse lì sotto il cielo, e se lo mangiassero i cani. E che chiunque non obbedisse a questa legge fosse condannato a morte come traditore della patria anche lui.
Antigone non voleva obbedire, e chiese aiuto alla
sorella Ismene. Ismene anche lei voleva molto bene a Polinice, ma era timida
e innocente, e disse:
"Meschina, io cosa posso fare e disfare? No, bisogna pensare che siamo
solo due donne, e non siamo nate per lottare con uomini. Chi regna e comanda
è molto più forte di noi."
Antigone insisteva, e Ismene disse: "Non ci si mette a caccia dell'assurdo."
Ma non ci fu niente da fare, Antigone aveva fatto la sua scelta. Andò
sola e di nascosto, e per proteggere il fratello dall'offesa dei cani,
sparse della polvere sul suo corpo. Fece così... Solo un po' di
polvere. Ma c'era una guardia messa lì da Creonte e la guardia la
catturò. Poi andò da Creonte e disse: non l'aveva proprio
sepolto, c'era solo uno strato sottile di polvere. Creonte fu colto dall'ira,
e fece un discorso agli anziani, dicendo così:
"L'anarchia è il peggiore dei mali, quello che distrugge gli
stati, spiana le case, disperde gli alleati: e invece nell'obbedienza sta
la salvezza di tutti."
Poi chiese ad Antigone perché avesse disobbedito alle leggi, e lei
disse che quelle erano leggi di Creonte, non di Zeus, e che c'erano altre
leggi più importanti, che dicono che bisogna onorare i propri morti.
E disse così:
"Non sono di oggi, non sono di ieri, vivono sempre, nessuno sa quando
sono comparse, né dove. Ma nessun uomo poteva costringermi a violarle."
Creonte allora le disse: "Sei tu sola a Tebe che la pensi così."
E Antigone indicò il Parlamento degli Anziani e disse: "No,
anche loro, ma tacciono avviliti."
E infatti gli Anziani tacevano, o dicevano cose ambigue, o cose che davano
ragione al re.
Non ci fu niente da fare. Antigone fu condannata
ad essere sepolta viva, e mentre le guardie la portavano via disse così,
ma a testa alta:
"Guardatemi, concittadini miei! Io vi chiamo! Siatemi testimoni!"
E poi disse: "E sopratutto vi prego: non parlate di destino.
Parlate di chi mi uccide senza colpa. E' lui il destino!
E non pensate neppure di esservela scampata: altri corpi straziati giaceranno
insepolti, sopra altri insepolti, sopra altri insepolti, sempre!
Voi avete visto. E allora ricordate.
Conservate la memoria di ciò che è accaduto, e che può
ancora accadere.
Diverso, ma può ancora accadere. Addio."
E così fu portata via, e fu sepolta. Dopo un certo tempo arrivò
da Creonte il sacerdote cieco Tiresia, e gli disse che i sacrifici negli
altari non venivano più bene, perché il sangue grasso di
Polinice insepolto stava contagiando tutto. Ma Creonte non gli credeva,
e diceva che i morti erano morti, e non potevano contaminare gli dei. Allora
Tiresia disse che era il contrario, e che il marciume di quel morto era
un'epidemia d'odio, che aveva già contagiato il cuore dello stato.
Le sue parole precise anzi furono queste:
"Scoppiano epidemie d'odio, nelle città, quando pezzi di esseri
umani son consacrati da cani, da belve, da uccelli che portano l'empio
lezzo proprio fino al cuore dello stato."
E solo allora il Re si spaventò, e corse a seppellire Polinice,
e a liberare Antigone, ma ormai era troppo tardi. Antigone era morta, e
di lì a poco tutta la sua casata cadde in lutti e rovine, come Tiresia
aveva detto. Solo Creonte visse, infelice e nomade per le terre.
Questa è la storia di Antigone, accaduta duemilacinquecento anni
fa.
Ve l'abbiamo raccontata perché la sappiate.
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7 . Secondo testo: "LA PARTITURA
DEL CORO"
Rimandiamo di nuovo al Racconto
per una descrizione più approfondita della genesi drammaturgica
di questo testo. Qui sintetizziamo, per i frettolosi, che è nato
dal montaggio di brani tratti dai Testi poetici
di Franco Fortini e Franco Loi, e che scelta e montaggio dei brani
sono stati operati da Marco Baliani, sulla base di criteri e esigenze che
ancora il Racconto descriverà meglio.
UNA DONNA: - La passione contro il male non lo incalzi troppo dappresso.
Indignarsi è consolarsi. L'indignato finisce nel comico. Egli si
congratula con se stesso, che ha un'anima così ben fatta da scaldarsi
per il bene, la giustizia e la verità.
POETA: - E voi tornerete alle case con una pietra
sul cuore come nel pugno una pietra vera.
DONNE: - Oh quanta gente
morta su una strada
la storia è passata senza vedere!
Oh quanta gente
morta su una strada
sembra aspettare
e non aspetta più...
E passa l'aria
e corre lontano
dove la gente sogna che la vita
si tiene nascosta
ma un giorno tornerà.
CORO: - Dove la gente sogna che la vita
si tiene nascosta
ma un giorno tornerà.
POETA: - Anche i morti non tornano più in sogno.
DISINCANTO: - Della vostra indignazione me ne sbatto
mi importa solo quello che sapete
per questo mi pagano
e poi venga a vedere la mia collezione di disegni di Delacroix.
CORO: - Ci avete spinto tra le ombre,
noi, compagni ai morti,
noi, che nell'antica tragedia
eravamo ammessi nel coro,
eravamo il coro.
POETA: - Anche i morti non tornano più in sogno.
DISINCANTO: - Straccione laureato in improbabili università
non mi faccia ridere, disse l'ambasciatore al ministro
disse il ministro al sindaco
disse il sindaco a me
a me a te a tutti non mi faccia ridere.
POETA: - E dal portone uscirono i blindati dei carabinieri
uscirono le camionette graticolate della polizia
uscirono i provocatori in borghese trascinando
i più bei cadaveri dello scorso mezzo secolo
perché la gente vedesse e la mia verduriera (Orsola Ribetti)
svenisse a quello spettacolo e svenuta giurasse ad alta voce
che non aveva mai pensato neanche in sogno
di turbare l'ordine pubblico l'orario delle sedute
la processione delle panetterie il memorandum il recapito delle schede.
GIOVANI: - Tutti i morti a faccia in giù presto sostituiti
da viventi
parlanti
sudanti
chiavanti
mangianti
sniffanti
da viventi
studenti
poetanti
recitanti
caganti
cantanti
votanti
tutti i morti vivissimi immortali del niente.
CORO: - Ci avete spinto tra le ombre,
noi, compagni ai morti,
noi, che nell'antica tragedia
eravamo ammessi nel coro,
eravamo il coro.
DONNE: - Oh noi non siamo innocenti!
Anche noi dimentichiamo.
La memoria è più corta
della costanza e della fedeltà.
Ci siamo vestiti di nebbia.
CORO: - Ci siamo vestiti di nebbia,
abbiamo creduto alla forza delle pietre.
POETA: - Tutte le rovine sono restaurate
inutile distinguere le pubbliche calamità dalle pubbliche volontà
importante è non trovarsi sulla traiettoria.
DISINCANTO: - Importante è non trovarsi sulla traiettoria
la civile città la città civile la città vile
la vile verità
smettiamola una buona volta questa ironia cretina
queste gesticolazioni tragiche.
CORO: - Ci siamo vestiti di nebbia,
abbiamo creduto alla forza delle pietre.
GIOVANI: - Parla dell'amore che bisogna strappare e mangiare.
Comanda che tempo non c'è che per sempre
tutto se non si vince ritornerà.
Dì come ci hanno uccisi e i nomi dei nemici.
Tenta di persuadere. Pretendi, Interroga.
POETA: - Questa sera ho da fare
una persona cara è molto malata
mia cugina ha avuto un incidente d'auto
il mio migliore amico è riuscito ad essere ammesso
agli esami di procuratore
caro signore
non so se capisce che cosa significa.
CORO: - Passi svelta la vita.
DISINCANTO: - Chi ha dato ha dato i parenti delle vittime
non avranno una lira che è una lira
parola di papa parola di presidente parola di chiunque
chi uccide a colpi di bombe è un patriota
Tornado o valigia fa lo stesso
chi brucia a colpi di bombe difende la civiltà
il Papa
l'Occidente
gli Stati Uniti
le concedo: anche l'Unione Sovietica
Dante Mozart e tutti quanti
chi non sa che cos'è la civiltà torni a casa
prenda una enciclopedia e lo impari
e fuori dalle balle gli estremisti
di destra e di sinistra l'avete vista la Russia com'è finita
la Cina l'avete vista e la Rumenia
la Cambogia il Vietnam il Muro
ve lo siete preso nel bocciòlo.
POETA: - E quei nostri morti
vi guardano dal paradiso pallidissimi
e assai sconcertati per l'altitudine, li ho visti in TV.
CORO: - Eppure cantavamo ancora.
Eppure cantavamo ancora.
Eppure cantavamo ancora.
Ombre fuori dal teatro,
oggi ci aggiriamo come folli,
non più specchio a voi, e a noi,
come nuvole
che attendono il vento.
DISINCANTO: - Piantatela
cercate di sparire presto da questa terra.
Non ci deve restare nessuno neanche noi che parliamo.
L'estate passi presto. Passi svelta la vita.
CORO: - L'estate passi presto. Passi svelta la vita.
GIOVANI: - Anche i morti non tornano più in sogno.
Chi ricordava confonde gli amici e i nemici.
Quando all'orfano dici: "Ho conosciuto tuo padre"
va via senza rispondere.
DONNE: - Memoria, memoria...
Per chi? A chi?
Noi, le pietre scartate
siamo la scabbia e la ricchezza
della vita.
POETA: - Chi vi ha detto che non si vive senza giustizia?
Ci si vive benissimo.
DISINCANTO: - Me lo ha detto
il sottosegretario all'urbanistica,
il colonnello della Guardia Civile Vitalizia,
lo specialista di stilistica statistica.
POETA: - Chi ha detto che non si vive senza lapidi?
Ci si vive benissimo.
DISINCANTO: - Me lo ha detto
il vicepresidente della Corte delle Cortesie
l'agente notturno dei treni rapidi
lo specialista di balistica artistica.
POETA: - Chi ha detto che non si vive senza vivere?
Ci si vive benissimo.
DONNE: - Solo lei, l'ombra dei morti non passa,
rimane come una nuvola ferma
pesante tra le piaghe
dure del cielo.
GIOVANI: - No, non pensate
a noi con indulgenza.
Abbiamo sopportate mostruose cose fra noi
dicendole insopportabili, scrutando
sorrisi di condiscendenza
sul volto dei nostri assassini...
Ascoltateci, ascoltateci, razza di vipere.
CORO: - Ci si vive benissimo.
DISINCANTO: - Cittadini di Bologna, non indignatevi.
E' tutto uno scherzo.
Le stragi sono il destino degli uomini e delle donne
e dei bambini e della Guardia Civile. Anche i Servizi che servono
sono il destino dell'uomo.
E' stato uno scherzo.
Con tante scuse.
DONNE: - Ma Dio, che troia mondo,
che sporca umanità e che vergogna
di noi a noi stessi, e che svuotamento,
se la memoria è topo di fogna
e lo scherno s'aggiunge al patimento.
CORO: - Loro sono pietre fredde,
sono là, aspettano,
hanno pazienza, i morti.
Non gridano, non fanno chiacchiere.
DONNE: - Loro, qui con noi, qui,
che sognano, che guardano qui,
che aspettano.
GIOVANI: - Razza di vipere, state tranquilli, non dicevano nulla.
State tranquilli, giudizio finale non c'è.
Nessuno verrà a giudicare i vivi e i morti.
CORO: - Era tutto uno scherzo, possiamo
andar via dalla vita senz'altre scuse e per sempre.
POETA: - Negli anni della mia vita le vittime innocenti
hanno coperto di corpi i continenti.
E potrei farvi piangere e saprei farvi gridare
ma non serve al difficile lavoro che abbiamo da fare.
Per questo queste parole non sono poesia
se non per una rima debole che va via
di riga in riga sibilo o memoria
o augurio o rimorso per qualcosa che fu gloria
o pietà per la nostra storia feroce...
GIOVANI e POETA: - Ma se vi dimenticherete di questa notte;
se vi dimenticherete di voi stessi,
se anche una sola parola
di quelle che ora diciamo
vi entrasse ora nella crema del cervello
e se voi nel futuro non la ricorderete
come fossero non quello che sono
il balbettio di un vecchio
ma la musica grande
del mondo vero;
e farete finta di nulla
allora vi dico:
GIOVANE MORTO: - questo è il vero giudizio finale:
dimenticare di avere voluto
essere veri giusti eguali liberi
e non sentirne più dolore:
questa è la nostra condanna finale e per sempre.
CORO: - Questa è la nostra condanna finale e per sempre.
POETA: - Non avrete madre né padre né mogli né figli
né donne amanti né amici ridenti
e al momento del bisogno
al momento del sogno
ultimo, vorrete ricordarla,
la piccola verità,
la confusa verità
di questa nostra teatrale pietà
per noi, per te, per questo mondo che abbiamo sporcato.
GIOVANI: - Ma le cose che non sappiamo di volere
le cose che non sappiamo di vedere?
POETA: - Sono là, dove se ne è andato il vento
alto altissimo su tutta l'Emilia Romagna,
l'Italia, l'Europa, l'Oltremondo
il vento che agli altìmetri non parla
ma solo, la notte, a qualcuno e per sempre.
CORO: - Ed ora l'uomo è ombra dell'ombra,
l'aria vuota di ogni grido.
E noi, ombre, parliamo nel silenzio
dei poeti.
DONNE: - L'amore dello stesso sole
che in cielo va in uno svolo
dentro al nostro cuore tace e tramonta...
E quel grido doloroso
nessuno lo sente
tra levante e ponente
nel calor luminoso...
POETA: - Dunque fra poco tutto sarà compiuto
Ogni cosa sarà ferma tra noi
Al suo riposo come un giorno compiuto.
Conoscerà ciascuno una cosa vera.
E voi tornerete alle cose con una pietra
Sul cuore come nel pugno una pietra vera.
Domani sopra i tetti il sole griderà
le grandi opere ignude delle montagne
E noi e voi torneremo al lavoro.
CORO: - Conoscerà ciascuno una cosa vera.
E voi tornerete alle cose con una pietra
Sul cuore come nel pugno una pietra vera.
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8 . Terzo Testo: "LE NUOVE
MURA"
Questo testo è stato scritto a quattro mani, da Marco
Baliani e da me.
Raccontano che anticamente le città erano costruite sui morti.
Gli antenati erano sepolti là sotto e i loro corpi davano cibo alle
mura, che crescevano robuste, sane e belle.
Ma i morti, per poter riposare in pace, hanno bisogno che la loro storia
sia narrata tutta intera, che sia detta la loro morte, tutta intera, dai
vivi che restano, dalla memoria di quelli che verranno.
Se questo non accade, vedete, nessuna tomba è pura, i morti restano
ombre potenti, e i corpi immensi contageranno il cuore dello stato.
E allora che razza di città, quale stato, quale nuova repubblica
può essere mai costruita su questi morti inquieti? Su questi antenati
che non abbiamo mai soddisfatto con la sottile polvere della verità?
Ed è per noi, non è per loro, attenzione: noi, non loro,
dovremo vivere poi in "quella" città.
Eppure la pietra qui nella mano è pronta, vedete come è bella,
è dura, è vera. Prendetela, come un pegno. La sua storia
è ancora tutta da narrare. E' il pezzo mancante della città
da edificare.
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CONCLUSIONI
1 . "Di
questo"
Nel 1922 Vladimir Majakovskij scrive un poema che ha per titolo
"Di Questo". Intorno a lui, i poeti zelanti della RAPP
intonano inni rivoluzionari, larghi e virili, e servili. Ma lui in quel
momento ha altri problemi: Lilja Brik l'ha lasciato. "Di che cosa?
Di questo?" - si chiede il capoverso del poema. Di questo: "il
massimo poeta della rivoluzione", vuole parlare "di questo
tema/angusto/e personale", del suo amore. Questo cortissimo e
potentissimo proclama di settanta anni fa, solo invertendo i termini, torna
buono per oggi.
Oggi che scrivo Giovanni Falcone è saltato in aria con la moglie e tre agenti della scorta: e tutti i commenti continuano a parlare di mafia che attacca lo Stato, non di mafia dentro lo Stato. Ieri, gli imputati neofascisti della strage dell'Italicus sono andati ancora assolti in Cassazione. Dovunque, a Roma e a Sagunto, si discute. Ma di che cosa stanno parlando?
Come a teatro, dove sempre più spesso, a me e a molti, capita di sedere storditi, con un senso di esilio, di estraneità: di che cosa stanno parlando?
Perché il teatro non parla mai "di questo"?
E perché stavolta, invece, ne ha parlato?
Fin qui, ho raccontato un processo teatrale di
alta temperatura umana e politica: ma che poteva esser teso a parlare di
ogni cosa. Invece era stato chiamato a parlare della strage di Bologna.
Ed ora, che dopo tante pagine anch'io sono giunto dove dovevo, cioè
a parlare "di questo", non ho più pagine di racconti e
ipotesi, ma solo un breve elenco di domande, uno scarno questionario da
offrire.
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2 . Questioni
E' giusto ricordare le stragi e l'impunità dei colpevoli?
E' giusto ricordarle pubblicamente?
Tra le tante forme di cui può servirsi questa commemorazione pubblica,
comizi, cortei, documentazioni, concerti, film: è opportuno utilizzare
anche il teatro?
E il teatro: può parlare del presente?
Più stretto: di fatti specifici del presente? Per esempio, delle
stragi?
E perché solitamente non lo fa?
A chi ne può parlare: ai pubblici abituali nelle sale?
A un'intera città radunata nelle piazze per un rito civico, per
esempio la commemorazione di una strage?
Il teatro può "officiare" un rito civico?
E perché solitamente non lo fa?
Il teatro può parlare direttamente di fatti dell'oggi - per
esempio le stragi - "facendo i nomi", e con nuovi testi scritti
per questo scopo? O solo "dietro" allegoria, e "mediante"
testi classici?
Si può dire in scena "Bologna", o solo "Tebe"?
Si può dire "SISMI", "SISDE",
"Licio Gelli", o solo "Creonte"?
Un teatro che parla non a una sala di pubblico teatrale, ma a una
piazza di cittadini, è snaturato?
Un teatro che dopo aver "parlato a" una piazza di cittadini,
"agisce con" questi cittadini, li invita a compiere atti
e gesti insieme, per esempio a prendere un pietra e portarla in
processione: è snaturato?
Perché, oggi e qui, in Italia, un teatro civico e
rituale secondo questi termini non esiste?
Un teatro che parla direttamente del suo tempo, facendo i nomi, o con un
velo sottile d'allegoria, e un teatro rituale che condivida anche i gesti
con molti, sono stati possibili in certi momenti storici. Quali condizioni
li hanno resi possibili?
E quali li vietano oggi?
E come mai allora noi, il primo agosto del novantuno, abbiamo potuto parlare
"di questo", e in questo modo?
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Questa pagina è stata aggiornata l'ultima volta il 2 maggio 1997.