ANTIGONE DELLE CITTÀ
o dell'insepoltura del corpo del fratello
Una cerimonia civica e teatrale
per la memoria delle vittime della strage della stazione di Bologna
NOTA DEL CRONISTA, marzo 2024
Queste pagine web hanno custodito per ventisette anni la memoria e il racconto di due grandi eventi teatrali residenziali, a cui ho partecipato come drammaturgo a Bologna nel 1991 e 1992.
Nel 1991, su mandato del Comune di Bologna e del Comitato di solidarietà alle vittime delle stragi, cento giovani attori provenienti da ogni parte d'Italia si radunarono a Villa Guastavillani, sui colli bolognesi, e in 15 giorni allestirono con la regia di Marco Baliani una cerimonia teatrale corale e potente, che nasceva in dieci piccole piazze del centro e poi confluiva, portandosi dietro i dieci pubblici, in piazza Maggiore: dove fu vista e condivisa da forse ventimila spettatori.
Nel 1993, su mandato del Comune di Bologna, scrissi queste pagine che raccontano e argomentano il processo di costruzione di quell'evento e ne raccolgono i testi: i tre poemi originali di Franco Fortini, Franco Loi e Gianni D'Elia, e gli altri mille testi drammaturgici che nascevano nel farsi del lavoro teatrale e affinacavano e infiltravano quei versi. Quella pubblicazione cartacea nel tempo di fatto scomparve: ne resta probabilmente qualche copia negli archivi e nelle biblioteche comunali, ignota e quindi inaccessibile.
Nel 1996, nel mio faticoso compito di copista amanuense web delle mie opere, trasferii in HTML e pubblicai nel mio sito l'intero carteggio. Nei decenni questi racconti e resoconti son stati scovati online, immagino coi motori di ricerca, da laureandi e dottorandi che ne hanno fatto le basi documentali per le loro tesi.
Nel 2024 ho ritrovato per caso (se mai esiste il caso) nella mia cantina una scatola di cartone contenente otto videocassette VHS, che io stesso avevo girato nel 1991 per documentare il farsi dell'evento, e che credevo perdute. Il ritrovamento ha ridato slancio a un corso del DAMS, condotto dalla professoressa Laura Budriesi, che ora sulla base di queste pagine e di quei video (con alcune necessarie visite di guida alla lettura da parte di Marco Baliani e mia) ricostruiranno e studieranno quell'evento.
"E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia" (Blade Runner).
"Alcune cose che non avrebbero dovuto essere dimenticate andarono perdute" (Il Signore degli Anelli).
"Scripta manent" (antica locuzione latina).
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L'ANTEFATTO
Qui comincia un raccontoresoconto del processo teatrale che ha condotto all'Antigone delle città. Vi sono alcuni rischi, in questo tipo di scritture, che conosco e non sono in grado di eludere. Diamo subito per scontate e funzionali, allora, le maggiori "parzialità" di prospettiva: quella di un osservatore coinvolto nei fatti (il racconto di un "esterno" avrebbe sofferto di altre parzialità); e, tra i coinvolti nei fatti, quella di un drammaturgo (un attore, un organizzatore, un regista avrebbero raccontato le stesse cose in modo diverso). Ancora: la parzialità di chi non ci pensa nemmeno a presentare i fatti senza le idee, ma cerca di esporre entrambi nelle forme più ricche e stagliate (da qui l'ossimoro di "raccontoresoconto"). E infine quella di un racconto ampiamente "a posteriori", che rischia di vedere metodo e disegno dove invece operava (o a me pareva operare) un sano e vitale "sistema caotico" . Con queste ed altre riserve, tuttavia, le pagine che seguono, lette e "sottoscritte" dagli altri, sono di fatto una versione ufficiale dell'accaduto.
Un problema rimane, e spinoso: il lettore. Questo genere di testi soffrono di un'asfissia tendenziale: rischiano d'essere scritture interne, dispacci di teatranti per teatranti. Anche questo limite va accettato serenamente, finché non si sia in grado (e pochi lo sono) di parlare, di queste cose, a tutti. Tuttavia uno spiraglio esiste: ho descritto un processo collettivo di produzione di senso, le forme di funzionamento di una mente collettiva (o di una "mente" tout court, direbbe Bateson) che lavora a buon regime d'armonia tra le sue parti. Queste forme di funzionamento, o i loro ultimi modelli, possono essere comuni ad altre "menti": la redazione di un giornale, un set di cinema, una squadra di calcio, o un prato. Letto nella prospettiva di questa trasponibilità, anche il racconto di un processo teatrale può interessare molti.
Questo, poi, è il racconto di un processo
che costruiva uno spettacolo sulla strage di Bologna. Questo sfondo rende
diverso quello spettacolo da ogni altro, e quindi diverso e importante
il suo racconto. Ma avanzare questa diversità e rilevanza come una
petizione di principio è sbagliato. La miglior cosa che la compagnia
di Antigone potesse fare, per quella strage impunita, era fare del suo
meglio nel suo campo: fare il miglior teatro che poteva, e così
prestare altra vita a quei morti, non attingerla da loro. La stessa cosa
vale per il racconto di quel teatro: dev'essere una testimonianza efficace
di per sé, non di riflesso al tema. Se riuscirà ad esser
tale, una buona documentazione di un evento teatrale, sarà anche
un buon documento politico: ma non viceversa.
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Bologna, sera del primo agosto 1991. In dieci piazze, slarghi, cortili, a un tiro di pietra da Piazza Maggiore, si affolla un pubblico paziente. E' stato richiamato dai giornali, dal passaparola, da inviti nominali a persone e associazioni; o è capitato lì per caso, durante la passeggiata della sera. Un centinaio di sedie sono presto occupate, molte file di persone in piedi si aggiungono alle loro spalle. Davanti, nel posto che l'orientamento delle cose indica come scena, c'è solo un cumulo di macerie, calcinacci e frantumi di mattoni. Alcune lampadine nude pendono dall'alto, qualche faro è posato per terra. C'è il solito vai e vieni indaffarato di persone che parlano, portano cose, tendono cavi, chiedono gentilmente di spostarsi, danno il pieghevole, e il pubblico legge: "Comitato di solidarietà alle vittime delle stragi - il mondo della scena prende la parola - ANTIGONE DELLE CITTÀ - o dell'insepoltura del corpo del fratello". Il buio sta calando in fretta, adesso, e le figure si muovono con maggiore agitazione, alcune vestite di bianco; da questi e da altri segni che il pubblico è addestrato a leggere s'intende che lo spettacolo sta per cominciare.
E infatti ecco: buio, silenzio. Le persone vestite di bianco ora sono nascoste chine dietro le macerie. Van sù le luci, si sentono risate fuori scena. Infine uno si mostra, scala il mucchio: e subito prende a vagare nella polvere senza costrutto, tenta di raccogliere pietre, ma cadono, accorre altrove, ancora cambia idea, ancora altrove, tenta di far qualcosa, ma infine siede e prende a lamentarsi. Una ragazza che ride corre fuori, supera la montagna, si slancia tra il pubblico, prende per mano un'altra ragazza, la porta via dicendole: "Pensa che sui giornali il giorno dopo c'era scritto: questa volta bisogna prenderli subito...". Ridono tutt'e due, e scompaiono di nuovo oltre il mucchio. Se facessimo un volo d'uccello vedremmo che dieci ragazze diverse, vestite di bianco, in dieci piazze, più o meno in quel momento, hanno detto le stesse parole.
E' cominciato qualcosa che non è facile
definire uno spettacolo, che ha occupato molti luoghi e molte ore di quella
notte bolognese, e che qui tenteremo di raccontare.
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Per cominciare a raccontarlo, torniamo indietro più di un anno, all'antefatto. Ne parleremo sinteticamente, per brevi dati di cronaca, lasciando agli interventi di Festi e Baliani che precedono questo racconto il compito di descrivere gli scenari più profondi di questa fase di preparazione. Giugno 1990: nonostante gli indizi probatori che l'accusa è riuscita a presentare in aula, il processo d'Appello per la strage di Bologna azzera le condanne dell'Assise. Fioravanti, la Mambro, Fachini, Picciafuoco, i colonnelli Musumeci e Belmonte, l'ideologo Signorelli, il faccendiere Pazienza e Licio Gelli, cioè manovali, fiancheggiatori e cervelli, sono assolti. Il Presidente della Repubblica, poco dopo, chiede scusa ai fascisti.
Nei larghi ambienti d'opinione che rifiutano quest'amnesia imposta con svagata arroganza, la rabbia e l'umiliazione sono grandi. Valerio Festi e Monica Maimone, costruttori di spettacoli ed eventi, scrivono una lettera a Renzo Imbeni, sindaco di Bologna e presidente del Comitato di solidarietà alle vittime delle stragi. Vi si dice: se le parole indignate dei proclami politici si stemperano nella ripetizione di troppi anni, cerchiamo parole nuove, parole esperte nell'arte di eludere ogni usura, di rigenerarsi a ogni bocca che le dice: queste sono le parole della poesia. E se le forme usuali della commemorazione, i concerti, i cortei, le mostre, paiono a loro volta stanche repliche inadeguate alla spavalderia di quest'ultima offesa, cerchiamo forme nuove: il teatro. La poesia non sarà chiusa nei libri che ognuno deve comprare, ma offerta agli occhi e alle orecchie nel teatro; e il teatro non sarà chiuso in una sala, ma sparso in tutta quanta la città.
Alla lettera è unito un progetto che parla di appello al mondo della cultura e della scena di tutta Italia: "si invitano attori e scenografi a Bologna, per percorrere insieme le sue strade e le sue piazze, declamando il lamento e la protesta di Antigone, che volle seppellire il fratello morto, contro la volontà del re". Compare qui per la prima volta il nome di Antigone associato al fosco tema delle stragi, e l'abbraccio è immediato: come Antigone ogni metafora potente, nonostante migliaia di anni, è una ragazza.
L'atto che il progetto disegna (ben diverso da come sarà realizzato l'anno dopo) è "Una veglia d'indignazione", il cui inizio andava battuto a mezzanotte da ottantacinque gong in altrettanti luoghi della città, uno per ogni morto della strage. Le parole di Antigone, dette da molti attori, dovevano poi percorrere l'intera città "come un infinito ed estenuante eco", che i cittadini avrebbero incontrato spostandosi da un luogo all'altro.
Era luglio, evidentemente troppo tardi per mettere
in piedi qualcosa di assai più semplice di questo. Ma la risposta
di Imbeni fu entusiasta, e il tutto si rimandò all'anno dopo.
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Ed ecco l'anno dopo, per tempo, un primo progetto nel febbraio '91. La metafora d'Antigone s'allarga, combacia, abbraccia l'intera città. "Povera Bologna, - scrive Festi - rimasta sola, Antigone delle città, a lottare contro un invisibile nemico, che dileggia nell'indifferenza il cadavere insepolto del fratello. Povera Bologna, pescata che accudiva il morto, per mondarlo dalle sozzure degli omissis...". Per Renzo Imbeni la cosa è sempre più convincente: sa che Bologna è pronta a prendere su di sé il compito d'Antigone tra le città; sa che l'ha sempre fatto, e che mancava solo un emblema, una grande narrazione che rendesse visibile, stagliato questo compito sopra il brusio di fondo dell'ordinario sdegno.
Ecco allora farsi avanti il teatro, ed alcuni uomini del teatro che nonostante i tempi irridenti lo sconsiglino, sanno prendere a mano le grandi narrazioni. Bisogna dire che l'incontro tra questa città e questo teatro è stato fecondo per entrambi. Pareva incredibile: poter di nuovo lavorare a simboli che non rimandano solo a simboli, ma a fatti; avere per committente una città, e per spettatore la stessa città che ti chiede di narrarle in forme simboliche la sua stessa storia. Un mandato dal sapore molto antico, e molto vero. Una città che "ha bisogno del teatro", non come vaga formula d'assessorato, ma per quel preciso lavoro: e un teatro che si sente di nuovo necessario.
Insomma parte l'opera, si articola il progetto. Valerio Festi chiama al lavoro Marco Baliani per la regia. Di quest'incontro, e delle riformulazioni profonde che ha comportato sul disegno originario, Festi e Baliani stessi hanno parlato in altre parti di questo libro: qui diamo solo una panoramica delle maggiori variazioni delle forme.
Lo spazio: dagli "ottantacinque luoghi cittadini" del progetto '90 si passa alle "dodici porte" del febbraio '91, e infine alle "dieci piazzette del centro" nella versione finale.
I testi: alle parole eterne di Sofocle si affiancano quelle odierne di tre poeti viventi (Franco Fortini, Franco Loi, Gianni D'Elia), cui vengono chiesti poemi originali.
Gli interpreti: ai pochi attori celebri citati in origine si preferiscono cento giovani sconosciuti, allievi delle scuole teatrali di molte città, ospitati a Bologna in un laboratorio stanziale di produzione lungo quindici giorni. Tutta l'opera finirà per assumere il colore dell'età di questi ragazzi.
Le scene e gli oggetti: gli "squarci di velluti
rossi" previsti in Piazza Maggiore, e i "chilometri di teli bianchi"
che dovevano accecare i portici di Via Indipendenza, cedono il passo a
una enorme piramide tronca, alle macerie e alle pietre, che come vedremo
non saranno mai decori, ma vere funzioni sceniche potenti.
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4 . Teatro e Città si preparano all'incontro
Anche il lavoro organizzativo, spesso difficile fino all'estenuazione, intanto cresceva. Il teatro e la città si preparavano all'incontro. La segreteria del progetto aveva diramato inviti e comunicati a molte scuole di teatro nazionali, e le adesioni erano due volte il necessario. Già dalla primavera Marco Baliani in vari teatri e scuole d'Italia parlava con centinaia di attori e allievi. Non si trattava di "provini" in senso stretto, non venivano richiesti a questi attori esempi tecnici di recitazione: si trattava di spiegare le motivazioni del progetto, e capire le loro. Né si offriva una "scrittura" in senso stretto: un modesto rimborso spese, vitto e alloggio, e la possibilità di partecipare ad un'esperienza unica di formazione teatrale era quanto. Sul piano di quelle motivazioni personali, e di questa disponibilità, la selezione fu operata.
Venti teatranti più esperti, professionisti, provenienti dal teatro di ricerca e di gruppo, furono scelti e chiamati da Baliani per lavorare come "guide" e "skipper" dei dieci gruppi che si volevano formare: una sorta di aiutoregia che si evolverà nel corso del lavoro, come vedremo. Io fui chiamato per tessere con Baliani la drammaturgia e comporre le scritture dell'evento. Paolo Baroni fu chiamato per inventare le luci; tecnici e fonici, esperti ed apprendisti, risposero a loro volta agli appelli. Responsabili organizzativi, logistici, coordinatori, addetti stampa: la numerosa compagnia si componeva.
Dall'altra parte si preparava la città.
Il Comitato di solidarietà alle vittime delle stragi raccoglieva
le adesioni cittadine: associazioni, enti, circoli, cooperative, compagnie
teatrali, gruppi di danza, centri anziani, ogni genere di soggetti. Forme
e gradi dell'adesione erano vari: tutti - o quasi - sottoscrivevano l'iniziativa,
garantivano la presenza alla serata dei loro iscritti, associati, cooperatori,
e prenotavano le piazze. Molti s'impegnavano a fornire persone, mezzi,
cose: le cooperative edili porteranno nelle piazze camionate di macerie,
e le faranno sparire il giorno dopo; la cooperativa teatrale La Baracca
manderà quattro persone a tempo pieno, attori e tecnici, per tutti
i sedici giorni, ed altri ancora per i giorni dello spettacolo; la cooperativa
La Casetta cucinerà benissimo per noi (e dell'importanza teatrale
di questo apporto parleremo ancora) a prezzi scontati; e via, l'elenco
sarebbe lungo.
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5 . Una compagnia di centoventi
L'elenco sarebbe lungo: non è difficile immaginare quale macchina organizzativa debba girare per garantire il soggiorno e il lavoro di centoventi persone, che preparano uno spettacolo per trentamila in undici piazze.
Bene o male, al giorno fissato le cose erano pronte. C'era la dimora, e magnifica: Villa Guastavillani, gran magione cinquecentesca sui primi colli bolognesi, a dieci minuti dal centro, una volta colonia estiva e ora adibita a sede di scambi e ospitalità del Comune. C'erano letti, lenzuola e servizi per novantadue su centoventi: dei rimanenti, i bolognesi erano invitati a dormire a casa loro; e in fondo al gran prato posteriore, sotto gli alberi, sorsero presto sei tende. C'erano anche, già allestiti ed attrezzati, due luoghi scenici per il lavoro degli attori: due grandi mucchi di macerie erano stati deposti nei due angoli protetti tra la facciata sporgente e le ali arretrate dell'edificio.
La base organizzativa in città era insediata in un ospitale centro anziani, con macchine da scrivere, fotocopiatrice, telefoni. Il "gabinetto drammaturgico" era pronto in una stanza fresca della villa, con tavoli, sedie, libri e documenti forniti dall'Associazione familiari delle vittime, e computers (portati da noi). L'ufficio stampa era pronto, con telefoni e fotocopiatrice; gli addetti all'accoglienza, i cuochi erano pronti. I carpentieri erano pronti a partire in Piazza Maggiore con la costruzione della grande piramide tronca.
La mattina del sedici luglio, mentre arrivavano
alla spicciolata i cento attori, una riunione organizzativa con le guide
disegnava mansioni e calendario, almeno per i primi giorni. Al pomeriggio,
nel prato dietro la Villa, si riuniva la prima vasta assemblea. Siamo partiti.
Parte seconda: VILLA GUASTAVILLANI
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